sabato 15 dicembre 2012

Stefano Cucchi - di Giovanni Ghiselli






La questione morale non
può prescindere da un ritrovato e rinnovato umanesimo, nel senso di “amore per
l’umanità”.


Il decadere dell’umanesimo, il suo tramonto,
comportano l’insorgere dell’immoralità appunto, della sopraffazione, della
violenza sadica. Come quella di cui abbiamo triste, ripetuta notizia, e che non
dobbiamo smettere di denunciare, perpetrata su persone come Stefano Cucchi,
Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi massacrati al pari dell’Ecce homo dei Vangeli.






 Le loro ferite sono povere bocche tutt’altro
che mute. Chissà quante, del resto, sono rimaste silenziose e sconosciute. Temo
non siano poche, dato che, in questa folle rabbia antiumana c’è del metodo, e
c’è un’abitudine. La parola metodo contiene odós,
che significa “strada”. La strada della violenza va vietata per sempre; la mala
abitudine deve essere confutata e soppressa. Certe esplosioni di furia peggio
che bestiale da parte di chi è arruolato per garantire l’ordine e casomai
aiutare gli esseri umani in difficoltà, tali delitti contro l’umanità devono
subire castighi esemplari quando hanno già causato morti con lutti, ed essere
costantemente prevenuti con un’opera di educazione. “So di essere uomo e in
quanto tale mi sento in dovere di aiutarti. Anche io ho sofferto”, risponde
Teseo nell’Edipo a Colono al vecchio
mendico cieco, vagabondo incestuoso e parricida, che, cacciato da Tebe, gli ha
domandato come mai, lui che è re di Atene, ascolti e voglia esaudire le
preghiere provenienti dall’ultimo degli uomini. I picchiatori sadici, i
sanitari indifferenti o complici, gli addetti alle indagini frettolosi e
distratti dovrebbero acquisire proprio questa coscienza di essere uomo senza la
quale non c’è fondamento ma  l’abisso del
caos. Un’altra creatura di Sofocle, una ragazza, una sorella coraggiosa,
Antigone, si ribella al tiranno dicendo: “io non sono nata per condividere
l’odio ma l’amore”. E sacrifica la propria vita per dare sepoltura al fratello
Polinice inviso al despota, compiendo quell’ atto di pietas estrema rinnovato in questi giorni da Ilaria, la brava
sorella di Stefano Cucchi.


I massacratori
dovrebbero imparare a  mettersi nei panni
degli altri. Andrebbero educati con questo rimedio, una terapia  già suggerita da Pirandello nel saggio L’umorismo. La mancanza di riflessione
ci impedisce di immaginare il dolore del prossimo, le sue difficoltà, la sua
stessa umanità.





Da una parte
 anche i carnefici che massacrano o
trascurano i ragazzi ubriachi o drogati possono suscitare una qualche forma di
pur riluttante commiserazione, se pensiamo quanta miseria mentale, quali ordini
folli e criminali, quale ambiente possono averli indotti a tanto orrore;
dall’altra a costoro, anche se non sanno quello che fanno, anche se sono
“strumenti ciechi”, e
  vittime a loro
volta di una colossale ignoranza, deve essere impedito di fare altre vittime
quando si trovano tra le mani furibonde
 
persone deboli e indifese. Vanno puniti con severità e nello stesso
tempo educati a diventare persone. Bisogna metterli davanti a
  uno specchio perché vedano l’orrore del loro
sembiante di belve
  capaci di tali  misfatti: Perseo vinse la crudele Medusa
ponendo davanti al viso stravolto dell’ibrido mostro
  uno scudo lucido come uno specchio. Atena, la
dea della sapienza, la dea pensante, guidò la sua mano.
    


 Uomini e donne non si nasce, ma si diventa
usando sensibilità e intelligenza. Una regressione verso la bestialità è sempre
possibile dove manchino educazione, riflessione, comprensione del prossimo,
insomma il possesso e l’uso delle facoltà squisitamente umane. La strada che va
percorsa ogni giorno è quella che conduce “metodicamente” al riconoscimento
della propria umanità e al rispetto di quella degli altri.





Giovanni
Ghiselli. g.ghiselli@tin.it

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