domenica 3 novembre 2013

Nuova lettera aperta alla Signora Ministra di Giustizia che non ha risposto alla precedente




Cara ministra,
vedo che a me non rispondi. Eppure hai detto che rivolgi sempre una buona parola ai supplici che si rivolgono a te. Io non chiedo altro che un segno di risposta sia chiaro, ma questo piccolo dono così caro a noi gente grama, a me lo hai negato.
Tornerò quindi a darLe del lei.
L’ho pensata ieri mentre correvo tra Pesaro e Fano. Con questa mia Le trascrivo i pensieri. Pensieri di un cervello lucido in una  stagione triste.
“Quella Signora di Roma ha deluso le mie aspettative.
Tuttavia,  mentre sono qui che corro digiuno sulla sabbia della costa pesarese, mi sento ancora seguito dall’immagine del suo volto che mi osserva con occhi innumerevoli e fitti: quelli del prefetto, quelli del ministro, quelli del presidente in pectore, quelli della mamma di Piergiorgio Peluso, quelli della grande Signora beneficentissima che si prende cura di tutti, eccetto me, uno dei tanti, uno che del resto assai poco le chiede. Visto che  non mi ha dato risposte, rivolgo una domanda a me stesso : ‘dove mi portano questi lungivaganti passi? Troverò aperto il “Pesce azzurro” di Fano?
 O dovrò procedere fino a quella simpatica bettola del porto di Senigallia?’
In entrambi i locali bastano e avanzano  i pochi euro che mi sono rimasti dall’ultima trita pensione.  Pochi, ma sufficienti per il necessario. Non voglio niente di più. Entro questa sera però devo nutrirmi.
 So che se non mangio prima di  Falconara, divento pazzo.
 Fino alla sazietà, alla nausea della fatica, mi stanno sfiancando gli innumerevoli passi erranti su questa cedevole rena, e le onde marine non mi lanciano innumerevoli sorrisi[1] siccome il sole non c’è in questa estate dei Morti,  mentre lo sciabordare dell’acqua mi bagna le scarpe di gomma appesantendo la corsa. Sono così minuto nei fianchi[2] che uno di questi gabbiani affamati potrebbe trapassarli con il becco, poi divorarmi.

Ma è il pensiero della  grande Signora che non mi risponde, il vero cormorano che mi divora[3].
Ma Lei è ben pasciuta, e forse del mio parlare di fame e di cibo poco Le cale, e mentre ascolta il singulto della Ligresti che volontariamente non mangia, non sente il grido di quanti non hanno alcunché da mangiare.
Ora non parlo di me. Sia chiaro che non sono qui a questuare. Non chiedo  soldi a nessuno. Anzi, offro gratuitamente, a chi lo vuole, quel poco sapere che ho messo insieme in una vita di studio.  La maggior parte del mio lavoro è volontariato. Collaboro gratis perfino con il Ministero della Pubblica Istruzione, pensi un po’. Non ho chiesto nemmeno il rimborso che potevo avere per l’albergo e il viaggio.
Non voglio denaro dunque, né raccomandazioni, però una Sua risposta, egregia Signora, la vorrei: aiuterebbe tanto questo vecchio maratoneta assillato dal suo silenzio.

Sono arrivato a Fosso Seiore che, tra Pesaro e Fano, divide in due l’Italia linguistica: da Pesaro in su, “io” si dice “me” o “mi”; da Fano in giù si dice “io”. Sopra fosso Seiore insomma c’è l’ex Italia celtica. Con qualche propaggine fino a Senigallia. 
I Galli come i Greci delle colonie italiote e siceliote erano considerati dai Romani  poco affidabili: Livio racconta che dopo il disastro di Canne, dovuto anche all’aiuto che Annibale ricevette dai Celti e dai Greci  dell’Italia meridionale, vennero sacrificati nel foro boario un Gallo e una Galla, persone dico, non pennuti, un Greco e una Greca[4].
Ma io sono di sangue prevalentemente etrusco, preso dai Martelli di Sansepolcro, e questo popolo chiuse le porte ad Annibale, rimase fedele ai Romani. Dunque non credo che Lei in quanto Romana ce l’abbia con me anche se vivo nell’Italia ex celtica, tra Pesaro e Bologna. L’origine toscana dovrebbe salvarmi.

Ha sentito dire che la vera Italia per i Romani era quella cisappenninica?
Se vuole saperne di più, venga  alle mie conferenze. Sono gratuite e forse Le saranno utili.  
Intanto la fame mi punge con aculei terribili.
Salto il fosso che fa da confine tra Pesaro e Fano. D’ora in avanti lo chiamerò Bosforo, in ricordo dei pensieri che Lei mi ha ispirato[5].
Devo raggiungere il Pesce azzurro di Fano prima che lo chiudano, alle 14. Le pene dell’inedia per ora non rallentano i miei balzi, anche perché mi sono trasferito sulla pista ciclabile dopo avere rischiato una storta in una buca della cedevole sabbia. Come mi capitò quando balzai  nel prato di Lerna in cerca della corrente Cercnea dolce da bere[6].
Ora procedo impetuosamente.
Ancora non dispero che  Lei, pasciutissima Ministra, risponda a me come agli altri cento e più supplici che l’hanno interpellata. E lo faccia senza intrecciare ambigui enigmi con voce roca, o spiattellare generici luoghi comuni con dizione confusa.
 Se vorrò degli enigmi, tornerò a Delfi, in bicicletta, a pregare  sull’intangibile ombelico della terra[7], o all’ancora più antica Dodona  dove le profetica quercia[8] dall’alta chioma scossa da Dio sussurra sacri presagi agli uomini pii. 
Voglio sapere come hanno fatto i detenuti a contattarla. Io che sono un quidam de populo non saprei farlo. Voglio anche sapere perché Suo figlio che, come dice Lei è “un bravo figliolo” guadagna centinaia di volte più di quello che riceve per il suo lavoro un bravo maestro o un onesto bidello. Ha forse donato il fuoco ai mortali come Prometeo[9] il suo Piergiorgio?
E’ stato di  conforto alle pene comuni?
Se non è così, non si vergogna il Suo rampollo di fruire di un trattamento tanto diverso da quello della maggior parte degli altri mortali?
Queste enormi disuguaglianze sono state trovate per il male dell’uomo, come, secondo Erodoto[10], il ferro strumento di guerra

Lei ha chiesto: “non lo fareste voi?” Intendeva l’atto prendere vari milioni di liquidazione dopo un anno di lavoro.
 Io no, egregia Ministra molto nutrita, io sono fiero della mia magrezza stilizzata, del mio essere parco e sobrio. Sono fiero di andare a dormire negli ostelli della gioventù quando giro la Grecia in bicicletta con  tre amici. Sono contento di lavorare gratis e, come me lo sono tante persone del volontariato, uomini e donne che non sono certo peggiori del suo “bravo figliolo”, anzi, per i miei gusti, sono molto migliori di suo figlio. E, mi perdoni, pure di Lei.
Ora l’aria si annera minacciosa. Anche il mare si è incupito e  non si distingue dal  cielo. 
Del resto oramai sono alle porte di Fano,  fanum Fortunae. Mi porterà fortuna.  
Poi la  tempesta  esala il suo furore: si alzano  i turbini che fanno girare la sabbia[11]   e il cielo, il mare e la terra sono sconvolti insieme.
E’ il correlativo oggettivo della confusione politica, culturale, morale che affligge l’Italia da più di trent’anni.

Ma sono arrivato al sicuro: il Pesce azzurro mi ha accolto con la bella cassiera bruna, sorridente che festeggiava la mamma mia tutte le volte che ce la portavo dagli ottanta ai novantasette suoi anni.
Ce la porto ancora. Dentro di me.
Prendo tre diversi piatti di pesce e un bicchiere di vino per 11 euro.
Ottima è l’acqua e ottimo tutto il resto.
Non voglio più nessuna risposta da Lei, Eccellenza.
La prego, non mi risponda: "to; mh; maqei'n moi krei'sson h] maqei'n tavde"[12],  non sapere certe cose per me è meglio che saperle.
Del resto le sue risposte  sono tutte prevedibili e non dicono niente di nuovo.

giovanni ghiselli

 g.ghiselli@tin.it
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[1] Cfr. Eschilo,  Prometeo incatenato , 89-90:   pontivwn te kumavtwn ajnhvriqmon gevlasma" innumerevole sorriso delle onde marine.
[2] Cfr. Dante, Infeeno, XX, 115.
[3] Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost di Shakespeare, Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
[4] Tito Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario,  in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano.
[5] Cfr, Eschilo, Prometeo incatenato, 733.
[6] Cfr. Prometeo incatenato, v. 676.
[7] Cfr. Sofocle, Edipo re, vv. 897-898
[8] Cfr. Odissea, XIX, 295-296.
[9] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, 612.
[10] Storie, I, 68, 4: "ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai".
[11] Cfr. Prometeo incatenato, 1084-1085
[12] Cfr. Eschilo,  Prometeo incatenato, v. 624. Sto preparando una conferenza su questa tragedia. Verranno ad ascoltarmi in tanti, gratis e con amore

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