sabato 2 novembre 2013

Lettera aperta al Guardasigilli Anna Maria Cancellieri.




Gentilissima signora Cancellieri,
La chiamerò anzi Anna Maria, e addirittura, pur con tutto il rispetto dovuto alla grandezza dell’augusta  persona quale essenzialmente sei e all’altezza sublime del ruolo che degnamente, assai degnamente ricopri, ti darò del tu, ricordando la tua natura profondamente democratica, buona,  e sinceramente amica di tutte le donne e gli uomini, a partire dagli ultimi, dai miserabili, insignificanti, privi di qualsiasi potere e appoggio, quale sono io da sempre.
Faccio parte della schiera delle genti grame, dei poveri morti di fame che, però, dormono in pace[1]. Per ora su questa terra, poi si vedrà.
Ho letto del tuo atto di generosità, magnifica ministra, della tua carità, virtù senza la quale, pur con tutti i mezzi di questo mondo, saremmo pezzi di rame risonante o un  cembalo che tintinna. Lo insegna Paolo di Tarso[2],  cui ti dimostri devota. Continua l’apostolo: “Caritas patiens est, benigna est caritas, non aemulatur, non agit superbe, non inflatur. Non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum[3]”.
Tu sei la carità in persona: caritas ipsa  Non traduco qui di fianco per non fare torto alla tua cultura che cede solo alla tua carità. La tua carità non avrà mai fine.
Sono certo che farai altrettanto per tutti gli altri infelici carcerati rimasti ammucchiati, come panni sporchi, nelle carceri.
Con la tua carità, Anna Maria, hai restituito la forza della fede e della speranza quei poveretti, a me e a un popolo intero.

Ma prima di continuare devo presentarmi: mi chiamo Giovanni Ghiselli. Sono persona minuta, insignificante, non possiedo nulla se non qualche banale lettura scolastica, ricordata or sì or no,  appresa del resto quando la scuola  funzionava ancora e potevamo andarci anche noi emaciati e smunti, magari con l’aiuto del presalario.
Mi chiamo Giovanni, ma non grido  nel deserto come l’onesto Battista che preparava la via a Cristo[4],  siccome non ho la sua voce, però gli sono devoto e non solo per l’omonimia, ma anche perché, come lui, sono assai trito e parco[5], e, se non mi nutro solo di miele selvatico e locuste[6], peso comunque soltanto cinquantacinque chili, se non si contano i pochi altri etti che si aggiungono per qualche ora in seguito all’unico frugalissimo pasto quotidiano annaffiato con acqua di rubinetto. Che qui a Bologna del resto non è peggiore di quella imbottigliata.
Talora, nei giorni di festa, mi permetto di aggiungervi un po’ di limone e di cospargere gli orli del bicchiere con il liquido dolce e biondo del miele. D’ora in avanti renderò celebrativi tali pocula  dei dì di festa brindando alla salute tua. 
Non ho fatto nessuna carriera, giustamente, poiché non me lo meritavo.
Non ho mai avuto la  carità tua che procura le benemerenze. Non ho nemmeno un millesimo della tua cultura. Sono rimasto un povero professore di liceo classico con qualche contratto all’Università, qualche chiacchierata qua e là da conferenziere  vagante e alloggiante in albergucci ordinari. Camere singole però, e pulite. Quindi non ho bisogno di un tuo intervento come i prigionieri ammassati.
Sono comunque molto contento di questo mio lavoro modesto ma non disonesto, né inutile. Mi è piaciuto educare i giovani e i meno giovani. Se rinascerò, lo rifarò. Come il mendico di Pascoli, arrivato al tramonto, dico: “Ti lodo, Fortuna!”
Forse lascerò qualche eredità solo di affetti ma questi buoni e forti, e a non poche persone.
 Dal basso gradino della scala sociale in cui mi trovo ,  ti dirò, guardando in alto, nell’etere sublime dove meritamente eppure nolente ti hanno fatto salire, che il tuo comportamento davvero magnanimo con la poverina in ceppi, mi ha fatto pensare a un paio di versi dell’Odissea, che tu signora conosci certamente molto meglio di me, da a[ndra moi e[nnepe Mou`sa all’ultimo piede dell’ultimo esametro, ma che voglio comunque riferire qui a edificazione di eventuali altri lettori di questo mio  blog minimo, l’unica ricchezza mia, oltre gli affetti, una dovizia che, paragonata alle tue colossali, le spirituali dico, è ben povera e piccola cosa, ma è comunque a me molto cara.

Ecco dunque i versi di Omero che il tuo comportamento nobile e umano mi ha fatto tornare in mente. E’ come se tu stessa me li avessi insegnati di nuovo facendomeli davvero capire con una comprensione profonda, anche emotiva, di cuore.
Odisseo si presenta assai malridotto alla principessa Nausicaa nel VI canto e al guardiano di porci Eumeo nel XIV  dell’Odissea.
In entrambi i casi l’uomo perseguitato da un dio  malevolo è bisognoso di aiuto, e lo chiede mostrando tutta la sua indigenza. Come ha fatto il tuo  amico con te, quando ti ha chiesto di intercedere per quella sua miseranda parente in carcere et  vinculis[7].
Nel poema omerico  la ragazza soccorre Odisseo naufrago  e l’uomo addetto ai maiali aiuta Odisseo mendico.
Entrambi dicono, e  con parole identiche, qual è il movente della loro carità: “pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te[8].
Non metto qui di seguito la traduzione per non urtare con  tanta indelicatezza la tua finissima sensibilità: non ho dubbi sul fatto che tu conosca molto meglio di me questo antico idioma che altri ministri hanno reso oramai sepolcrale. Ma tu lo possiedi con sicurezza e sai impiegarlo ad ogni evenienza: lo sento dalla maestria cruscante e dalla finezza principesca  con cui ti esprimi quando parli con voce flautata padroneggiando la nostra lingua fino alle radici più nascoste di ogni vocabolo. Solo chi conosce il greco e il latino sa mettere tanta bellezza nelle parole.
Tu hai morfh; ejpevwn oltre che  frevne~ ejsqlai[9].

Io ti assimilo a Nausicaa la giovanissima principessa dei Feaci, fresca come un germoglio (qavlo~[10]), dritta e slanciata come  un nuovo virgulto di palma (foivniko~ nevon e[rno~[11]) e , per altri motivi, ti reputo  uguale al porcaio di Itaca, il generoso Eumeo che accoglie Odisseo travestito da pitocco, senza riconoscerlo e quindi sicuro di non ricevere nulla in cambio. Anche tu, magnifica signora, hai aiutato una creatura chiusa in un carcere orrendo, una prigioniera povera che non potrà mai contraccambiarti se non con un fievole “grazie, il buon Dio ti ricompenserà” e con un mesto sorriso.
Infatti la persona di cui ti sei presa cura e la sua famiglia  non hanno altro da darti che la loro gratitudine.    
Tu dunque, amabile Anna Maria, sei l’idolo mio e lo sarai sempre poiché ho già innalzato in camera un altare con la tua immagine santa, un’ara tutt’altro che sfarzosa,  ma ricca della mia devozione.
Presto diventerai un modello, o modella dato che sei donna, per tutti: ti imiteranno anche i cuori  duri di  quanti non si curano del dolore dei fratelli che  stravolti dalla povertà e dagli stenti, tendono loro le mani.
Tu con il tuo gesto emblematico, hai dato un esempio di generosità destinato a brillare in saecula saeculorum. D’ora in avanti non mancherò di togliermi dalla bocca metà del poco pane che la ridotta pensione mi consente per donarlo al povero cui anche un piccolo dono è gradito.
L’avevo letto in Omero ma l’ho capito veramente leggendo di questa tua grande generosità disinteressata, ovvero interessata soltanto a fare del bene. Nessuno dei sessantanovemilanovecentonovantanove carcerati rimasti in carcere et vinculis cadrà più nella disperazione dopo la tua epifania, angelica benefattrice ispirata da Dio.
Mi sembra un’infamia che alcuni sacrileghi vogliano presentare una mozione di sfiducia e altri blasfemi chiedano le tue dimissioni.
Dio è con te, e li punirà.

Tuo devoto
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Giovanni Pascoli, Il mendico,
[2] Ai Corinzi I, 13, 1
[3]  Ai Corinzi I, 13, 4. La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,  non è finalizzata al consenso, non cerca il suo interesse, non si adira, non concepisce il male
[4] Cfr, N. T. Marco I, 2
[5] Cfr. Paulo Uccello di Giovanni Pascoli
[6] N. T. Marco I, 6:  Et locusta set mel silvestre edebat
[7] Cfr, De Profundis di Oscar Wilde.
[8] Odissea VI 207-208 e XIV 57-58. Infatti gli ospiti e i poveri vengono tutti da Zeus, e il nostro piccolo dono è gradito
[9] Nell’XI canto dell’Odissea, Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368).
[10] Odissea, VI, 157.
[11] Odissea, VI, 163

2 commenti:

  1. fiera di appartenere alla nobile schiera delle genti grame che pero' dormono in pace,condivido in tutto la lettera alla ministra e la sottoscrivo Margherita

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  2. Non appartengo alle genti grame per mia fortuna, ma se la Cancellieri farà questo per tutti i carcerati anoressici... Vedremo!!!

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