lunedì 29 febbraio 2016

Introduzione alla tragedia greca: Eschilo. Parte V

Scene dal mito di Oreste (Musei Vaticani)

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Oreste prova a difendersi da solo dicendo che il sangue della sua mano "dorme e svanisce"(Eumenidi, v. 280), in quanto oramai "la macchia del matricidio è lavata"(v. 281).
Ma questa volontà unilaterale non basta. Il figlio di Agamennone chiama in aiuto Atena, eponima della città dove si è rifugiato, e in cambio promette che la dea: "conquisterà senza battaglia me e la mia terra e il popolo argivo che sarà giustamente fedele e alleato per sempre"(vv. 289-291). Con questi versi Eschilo vuole dare una base mitico-religiosa alla lega stipulata tra gli Ateniesi e gli Argivi , successivamente al “maggiore errore politico”[1] commesso da Cimone che nel 462 portò aiuto agli Spartani in guerra contro gli Iloti ribelli. Il contingente ateniese venne bruscamente congedato e fallì la politica filospartana di Cimone che fu ostracizzato dagli Ateniesi (461 a. C.). Argo approfittò di tale alleanza per stabilire il suo dominio su Micene e Tirinto. “Nell’alleanza con Argo si intravede anche una motivazione ideologica: Argo aveva trasformato il suo regime in democratico, e le Supplici di Eschilo, datate ormai tra il 463 (o il 466), e il 461 a. C., ne sono un interessante riscontro. Contro l’oligarchica Sparta, l’intesa con Atene ha un profilo ideologico”[2]

Oreste dunque si fa portavoce anche della nuova tendenza antispartana propugnata da Pericle. La corifèa  però cerca di annientarlo apostrofandolo con un:"dissanguato nutrimento dei demoni, ombra"(v.302).
E’ di nuovo l’attualizzazione del mito. A questo proposito sentiamo Dodds: “Argos is not yet a democracy. But Athens, is, or so it would appear. The curious circumstance that in the Eumenides, alone among greek tragedies, Athens lacks a king has hardly received the attention it deserves. True, ‘the sons of Theseus’ are casually mentioned at line 402; but even if this means Akamas and Demophon rather than the Athenians generally (a point which is open to doubt), they are plainly not sovereign. The only sovereign is Athena, cwvra~ a[nassa (288). She it is who, exercising the same royal function in the Supplices, wheighs the grounds for accepting or rejecting the suppliant’s claim; she it is who in the trial scene takes the place of the a[rcwn basileuv~. In mythical time, as her first words show (397-4029, we are still within a few years of the Trojan war, but in historical time we have leapt forward to a new age and a new social order. This telescoping of the centuries is characteristic of the Eumenides, and I believe essential to his purpose. The Athenian audience must have begun to be aware of it when at line 289 Orestes provides a mythological ai[tion for the recent alliance with Argos; and when in the next breath he speculates on the possible presence of Athena in Libya, ‘helping her friends’ (295), I imagine they asked themselves ‘What friends?’ and quickly guessed the answer: ‘Of course, our other ally, those Libyans whose king we are just now helping to break the yoke of Persia.’  ( That the actual campaigns of 459 and 458 were fought not in Lybia but in the Delta is true, so far as our limited knowledge goes, but surely unimportant. The ancients had no war correspondents and no maps of front. Probabily neither the poet nor the majority of this audience would be in position to know just where the battles were taking place; what they would know is that many of their kinsfolk were overseas, fighting for the Libyans. The phrase cwvra~ ejn tovpoi~ Libustikh`~ (292) is in fact studiously vague[3], while the reference to Lake Triton is added only for the sake of the necessary mythological link)[4], Argo non è ancora una democrazia. Ma Atene lo è, o così vorrebbe apparire. La curiosa circostanza che nelle Eumenidi, unica fra le tragedie greche, Atene non ha un re, ha ricevuto appena l’attenzione che merita. E’ vero che ‘i figli di Teseo’ sono casualmente menzionati al v. 402; ma anche se questo significa Acamante e Demofonte piuttosto che gli Ateniesi in generale (un punto che è aperto al dubbio), essi sono chiaramente non regnanti. L’unica sovrana è Atena, cwvra~ a[nassa (288). E’ lei che, esercitando la stessa funzione regale che Pelasgo nelle Supplici, pesa le ragioni per accettare o respingere la richiesta del supplice; è lei che nella scena del processo prende il posto dell’arconte basileus.  Nei tempi mitici, come le sue prime parole mostrano (397-402), noi siamo ancora entro pochi anni dalla guerra di Troia, ma nel tempo storico noi siamo balzati avanti in una nuova età e in un nuovo ordine sociale. La condensazione dei secoli è caratteristica delle Eumenidi, e io credo essenziale al suo scopo.
Il pubblico ateniese deve avere cominciato ad essersene accorto quando, al v. 289, Oreste procura un ai[tion mitologico per la recente alleanza con Argo; e quando nel successivo respiro egli fa una congettura sulla possibile presenza di Atena in Libia, ‘soccorrendo gli amici’ (v.295[5]), io immagino che che si chiedesse ‘Quali amici?’ e ben presto indovinassero la risposta: ‘Naturalmente, l’altro nostro alleato, quei Libici il cui re noi proprio ora stiamo aiutando a spezzare il giogo della Persia.’ (Che le reali campagne del 459 e 458 fossero combattute non in Libia ma sul Delta, è vero, fin dove la nostra limitata conoscenza arriva, ma sicuramente non ha importanza. Gli antichi non avevano corrispondenti di guerra né mappe del fronte. Probabilmente né il poeta né la maggioranza del suo pubblico era in grado di sapere dove le battaglie avevano luogo; quello che essi potevano sapere  è che molti del loro parenti erano oltremare, combattendo per i Libici. La frase “nei luoghi della terra libica” (292) è di fatto volutamente vaga, mentre ilriferimento al lago Tritone è aggiunto solo in grazia del necessario legame mitologico.

Nell'Agamennone (del 458) del resto Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori.
 invece di uomini
urne e cenere giungono
alla casa di ciascuno"(434-436).

Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[6].



 
Nel Primo Stasimo (vv.307-396) le Erinni danzano e cantano "un canto di orrore"(v.308) mentre Oreste si tiene avvinghiato alla statua di Atena. L'"inno" delle Furie è "un laccio per la mente, senza accompagnamento di lira (u[mno~ajfovrmikto~), aridità per i mortali"(vv. 331-333, ripetuti, vv. 343-346, in ejfuvmnion, ritornello).
“Gli esseri sotterranei aborriscono la musica, ve. Eschilo, Eum. 331 u{mno~ ejx j Erinuvwnajfovrmikto~, “l’inno senza cetra delle Erinni”, e l’ingresso di Orfeo nell’Ade commuove le ombre dei morti e gli dèi inferi tramite il suono della cetra che non risuona mai tra i defunti”[7].
Mi pare che questo pensiero di Guidorizzi contenga una contraddizione.
  Le Erinni dunque minacciano la distruzione del pensiero, dell'arte e della stessa vita umana, se non verranno riconosciuti i loro diritti, prima di tutti quelli della vendetta
 Infatti queste creature si proclamano "le venerande memori delle colpe"(vv. 382-383); dunque il coro delle Erinni rivendica " una dignità antica” per la quale, precisa, “non accetto il vituperio, anche se occupo un posto sotto terra e la tenebra nemica del sole"(vv. 393-396).

Queste donne spaventose di tanto in tanto si affacciano nella letteratura europea: vengono utilizzate dagli autori di visione  ampia. Nell’Inferno dantesco Virgilio, dopo avere individuato “le meschine[8]/ della regina dell’etterno pianto”, le mostra a Dante :"Guarda-mi disse- le feroci Erine"[9].
 Goethe  le mette in scena, con altro aspetto, nel Faust , dove l’araldo le presenta con queste parole  :"Le Furie, sono!... E non mi crederete!- Vaghe, ben fatte, giovani, attraenti.- Accostàtele un poco, e proverete- che le colombe han morsi di serpenti. Son false, sì! Ma in questo dì nel quale-ogni folle de’ suoi vizii si sfama,-non pretendon di angeli la fama,-si confessano pèste e fortunale"[10].
Poco più avanti (Galleria oscura) compaiono le Madri che spaventano Faust e inquietano Mefistofele il quale dice: “ A malincuore, svelo un grande enigma.-Auguste dèe, troneggiano-in una sconfinata solitudine.-Nessun paese, intorno.E tempo, ancora meno.-A parlar di lor, ci si sconcerta.-Son le Madri!
Faust (con un sussulto di spavento) Madri?
Mefistofele
Rabbrividisci?
Faust
Madri! Madri! Misterioso suono!
Mefistofele
E misteriose sono!-A voi mortali sconosciute iddie,-a noi demonii nominarle spiace.-Per rintracciarne la dimora occulta,-ti occorrerà frugare-nel più profondo baratro.- La colpa è tua, se d’esse abbiam bisogno”[11].

 Il narratore del Doctor Faustus di T. Mann, il professore umanista Serenus Zeitblom, spiegava dalla cattedra agli scolari del liceo “come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[12]. E’ quello che ha fatto Eschilo. E’ il caos che si fa cosmo.
Alla fine dell’Orestea le Erinni diventano Eumenidi: “ Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni-forze scatenate, arcaiche, istintive, della natura-sopravvivono: e sono dee, sono immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti, ripeto, questo problema”[13].
La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste già nelle Coefore , quando l'assassino della madre le vede quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche e intrecciate/di fitti draghi"(vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre" (v1054) che appaiono soltanto al matricida:" uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd  j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo"(1061). Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi quale epigrafe di Sweeny agonista (1930), :" You don’t see them, you don’t-
But I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia (1939)   Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land  bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Non sempre del resto c’è redenzione dopo un delitto del genere: Nerone, dopo avere ammazzato Agrippina (59 d. C.) sebbene rassicurato dalle congratulazioni dei soldati, del Senato e del popolo: “neque tamen conscientiam sceleris…aut statim aut umquam ferre potuit, saepe confessus exagitari se materna specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus” (Svetonio, Neronis vita, 34), tuttavia non poté subito né poi sopportare il rimorso del delitto, e spesso confessò di essere tormentato dalla visione della madre e dalle fruste e dalle fiaccole ardenti delle Furie. 
Nerone del resto amava interpretare sulla scena la parte di Oreste, ossia del matricida assolto.



continua



[1] D. Musti, Storia greca, p. 337.
[2] D. Musti, Storia greca, p. 350.
[3] Despite Dover, op. cit. 237, it should be remembered that ‘Libya’ was a general name for the African continent, and that its frontiers wew uncertain (Pind. Pyth. 9. 9 and schol, Hdt, 2. 16).
[4] Dodds, The ancient concept of progress, p.  47.
[5] Fivloi~ ajrhgou~’
[6] Storia dei Greci , II vol., p.91
[7] Avezzù-Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 343.
[8] Schiave.
[9] Inferno, 9, vv. 42-43 e 45.
[10] J. W. Goethe, Faustseconda parte, I atto, Gran Salone.
[11] Faust, in Goethe Opere, trad it. Sansoni, Firenze, 1970, p. 1102.
[12]T. Mann, Doctor Faustus ,  pp. 12 e 14.
[13] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.

1 commento:

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