martedì 2 febbraio 2016

La commedia nuova. Menandro. I parte

busto di Menandro, epoca romana

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Materiale per un corso che terrò nel liceo classico di Bronte dal 29 febbraio al 2 marzo 2016


La commedia nuova. Menandro, Il Dyskolos, Gli Epitrepontes.


Menandro di Atene (342 - 291) è il principale autore della Commedia Nuova.
Questa, in una tripartizione fatta dopo Aristotele, il quale nell'Etica Nicomachea distingue solo l'Antica dalla Nuova, è preceduta da una fase intermedia che costituisce la Commedia di mezzo, caratterizzata dalla parodia mitologica e, quindi, dall'abbandono dei temi collettivi e politici del dramma di Aristofane.

Ma forti segni di cambiamento sono già presenti nei suoi ultimi lavori: le Ecclesiazuse (del 392) e il Pluto (del 388) non hanno la parabasi e presentano le parti corali ridotte a semplici intermezzi.

Questo significa che la commedia agli inizi del IV secolo ha preso quella strada dell'impoliticità che la distingue dal dramma del periodo precedente. Del resto il processo di riduzione del peso del coro comincia già con Eschilo, secondo Nietzsche. Comunque manteniamo lo schema ternario che risale ai grammatici dell'età di Adriano, probabilmente sulla scia di quelli Alessandrini, e datiamo la Commedia di mezzo negli anni compresi fra il 385 e il 330.
Aggiungiamo una triade di nomi per fare il verso a Orazio: Alessi (che sarebbe stato zio di Menandro), Antifane e Anassandride.
Di questi autori ci restano solo frammenti dai quali si individuano, oltre le parodie mitologiche di cui si è detto, anche scene di vita quotidiana, mentre si riduce ancora la partecipazione del coro all'azione, in quanto i canti corali tendono a diventare solo intermezzi ([embovlima), e spariscono gli attacchi personali a uomini politici, sostituiti da filosofi, soprattutto pitagorici e accademici.
Del resto questo elemento non mancava in Aristofane, come abbiamo visto dalle Nuvole Inoltre si sviluppano i tipi fissi quali il soldato gradasso e sbeffeggiato che d'altra parte ha un precedente nel Lamaco degli Acarnesi. Anche la parodia mitologica non mancava nella Commedia Antica: Aristofane nelle Rane rappresenta Dioniso che fugge terrorizzato tra le braccia del suo sacerdote (v. 297) e che viene apostrofato dal servo Xantia con:
" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!" (v. 487).
Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (479).
Le corrispondenze tra questi presunti innovatori e il vecchio Aristofane non sono finite: Antifane in un frammento proclama beati i tragediografi i quali non devono inventare la trama dei loro drammi poiché la prendono già tessuta dal mito e quando si trovano negli impicci ricorrono al deus ex machina, mentre i poveri commediografi devono creare tutto ex novo.
Si ricorderà che il poeta delle Nuvole rivendica, senza lamentarsene, la propria eccezionale inventiva e laboriosità.
Anassandride fece drammi con intrighi amorosi.

Di Alessi ricordiamo la commedia intitolata Lino che narra un caso avvenuto al mitico citarista che dava lezioni a Eracle e voleva fargli leggere i poeti, mentre lo scolaro affamato era attratto solo da un libro di cucina.
Non mancano nel repertorio di questi poeti il travestimento derisorio di tragedie note, soprattutto di Euripide che, presente nei drammi di Aristofane come bersaglio polemico, diviene il modello prediletto da tutti i commediografi successivi.
Alla parodia del mito fa cenno Aristotele in Poetica 1453b dove dice che il lieto fine che asseconda i desideri del pubblico è proprio della commedia: "lì, quelli che nel mito sono ostilissimi, come Oreste ed Egisto, alla fine escono divenuti amici, e nessuno viene ammazzato da nessuno".

La Commedia Nuova (databile dal 325 alla metà del III secolo) è più conosciuta sia per le recenti scoperte papirologiche di testi di Menandro sia per i rifacimenti latini di drammi degli altri due della triade: Filemone e Difilo, contemporanei del primo. In questo caso però dobbiamo aggiungere almeno un paio di nomi poiché Terenzio prese come modelli del Phormio e dell' Hecyra due commedie di Apollodoro di Caristo (Colui che reclama e la Suocera).
Plauto per l'Asinaria utilizzò l'Asino selvatico di Demofilo, entrambi posteriori a Menandro di una trentina d'anni.

In questa terza fase, il coro non prende nessuna parte all'azione ma riempie gli intervalli con canti e danze; gli attacchi personali sono sempre più rari e innocenti, in quanto indirizzati soprattutto a etère e parassiti. Rimane però un tratto caratteristico della Commedia antica: quello di un personaggio che si rivolge agli spettatori invocati come testimoni o giudici.
 Il modello di questi autori è più che mai Euripide: al punto che Filemone "voleva farsi subito impiccare, soltanto per poter visitare Euripide nel mondo infero: purché potesse essere veramente persuaso che l'estinto conservava ancora laggiù le sue facoltà intellettuali".
Sono parole di Nietzsche il quale in La nascita della tragedia (11) parla della commedia nuova, "che venerava nella tragedia la sua precorritrice e maestra", come di una "figura degenerata" del dramma euripideo e spiega: "Dato questo legame che intercorre fra le due forme è comprensibile l'appassionata simpatia che i poeti della nuova commedia sentivano per Euripide... Ma volendo indicare con la massima brevità... ciò che Euripide ha di comune con Menandro e Filemone e che cosa agì su di loro come modello e li spronava all'imitazione, basterà dire che Euripide ha portato sulla scena lo spettatore... la maschera fedele della realtà. L'uomo comune penetrava attraverso lui sulla scena; lo specchio in cui prima non apparivano che tratti grandiosi e audaci ora mostrava soltanto quella penosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche i tratti non riusciti della natura. Odisseo... decadde sotto le mani dei nuovi poeti fino ad assumere la figura del greculo, che d'ora in poi starà al centro dell'interesse drammatico come schiavo domestico bonario e scaltro.
Ciò che Euripide ascrive a proprio merito nelle Rane di Aristofane", quando si vanta di avere reso snella la tragedia (v. 941), " e cioè di avere liberato, con le sue ricette casalinghe, l'arte tragica dalla sua pomposa corpulenza, si sente soprattutto nei suoi eroi tragici.
Ora lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena quasi un proprio fedele doppione".

Tale realismo dunque può definire anche i poeti della Commedia nuova, tanto che il filologo Aristofane di Bisanzio, prefetto della grande biblioteca di Alessandria vissuto tra il III e il II secolo, ebbe a domandare: "w\ Mevnandre kai; bive povtero" a[r uJmw'n povteron ajpemimhvsato;" o Menandro, o vita, chi di voi due ha imitato l'altro? Sono parole echeggiate da Cicerone che nella Repubblica (IV, 13) definì la commedia: "imitatio vitae, speculum consuetudinis, imago veritatis ".

E' opportuno a questo punto un excursus su Oscar Wilde il quale in La decadenza della menzogna (del 1889) dà la risposta paradossale a questa domanda retorica: "la vita imita l'arte assai più di quanto l'arte imiti la vita... Un grande artista inventa un tipo, e la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare... I greci, con il loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore. Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la profondità del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma che essa può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre la dignità di Fidia come la grazia di Prassitele... Schopenhauer ha analizzato il pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.

Il nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al patibolo senza entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev e completato da Dostoevskij" (pp. 222 - 224).


continua


1 commento:

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