domenica 14 febbraio 2016

l'estate del 1979 a Debrecen. V parte

Silvia Virág. La tentazione.

La bionda della tentazione si chiamava Silvia, aveva venticinque anni, era tedesca, di Berlino est, ma da anni viveva a Budapest dove si era sposata e poi separata da un certo Virág, appunto, del quale comunque conservava il cognome poiché le piaceva.
Significa “fiore”.
“Virág, fiore, Bloom, come l’Ulisse ungherese irlandesizzato di Joyce, pensò subito la mia mente avvezza a vedere le persone, le cose e il mondo intero nella prospettiva formata dalle letture dei classici. La vita imita l’arte. La vita è allieva dell’arte, avevo imparato.
Forse più avanti quella Silvia tentatrice mi avrebbe suggerito delle corrispondenze tra quanto si poteva fare di bello io e lei e quanto di bello ricordavo dalle mie letture dei classici.
 Intanto ci avviammo verso l’Obester, un borozó o vineria, insomma una bettola simpatica, antica d’aspetto: una specie di grotta adibita a cantina dove si potevano bere diversi vini ungheresi, compreso l’egribikavér che al fiuto odorava di buono e al mio gusto sapeva tanto  di finniche ottime.
Mentre lo annusavo e guardavo la bionda accingendomi al brindisi propiziatorio, non sapevo ancora se durante la nostra prima  serata avrei cercato di stuzzicare le nostre libidini per poi sfogare la mia sensualità quasi bestiale o se sarei tornato da solo  nel letto casto dove avrei dedicato la dura rinuncia alla mia Ifigenia che forse, chissà, mi era altrettanto fedele.
Dopo l’immancabile prosit ci mettemmo a parlare in inglese.
Si poteva farlo con agio siccome non c’erano violini, né cembali, né; tanto meno, mostruosi apparecchi gracchianti né altri rumori d’inferno che servono a sostituire il silenzio o la chiacchiera vuota delle teste vuote di tutto.
La bionda era meno snella e meno bella di Ifigenia la bella, ma anche molto meno povera di parole e idee interessanti. Aveva infatti una formazione assai più consistente di quella  di colei che, forse, chi lo sa, ancora mi aspettava in Italia. Insomma con la tedesca avevo più argomenti di interesse comune, e Afrodite  poteva farci giocare, o duellare, con le parole in vista di un morbido letto comune illuminato dai nostri sorrisi, scaldato dai reciproci, frenetici abbracci,  e reso piacevolmente sonoro da  tripudi lieti, pieni di gratitudine al   destino santo che ci aveva fatto incontrare quella sera d’estate quando eravamo giovani e ancora capaci di fare tutto.

giovanni ghiselli


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2 commenti:

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