martedì 9 febbraio 2016

La commedia nuova. Menandro. IV parte


Pan
mosaico romano

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Ma passiamo ad esaminare il Misantropo (Duvskolo"), un'opera giovanile: rappresentata alle Lenee del 316 a. C.
Nel Prologo il dio Pan ci dà informazioni sul protagonista, un vecchio contadino dell'Attica, uno di quegli agricoltori"capaci di coltivare anche le pietre" (vv. 3 - 4). Da questi primi versi si vede che la dimensione eroica, checché se ne dica, non è del tutto sparita dalla commedia nuova: il contadino di Menandro conserva qualche cosa dell'eroismo di quello di Esiodo, dal momento che sopravvive traendo l'estremo prodotto possibile da una terra avara.
Ma Cnemone non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un
"uomo disumano assai,
intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, che non sta bene con la gente" (vv. 6 - 7). Se Cnemone dunque è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
chi è umano secondo Menandro?

Colui che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise convinzioni politiche e morali, come suggerisce Snell in Poesia e società “Nel prologo il dio Pan definisce il dyskolos, l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo" a[nqrwpo" (v. 6), un uomo disumano. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza[1].
In Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo Stato, anche la vita (…) Poi essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente. Menandro, quando parla semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali. Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Sato non pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di dispute per le scuole filosofiche…Ma che significa umano e disumano per Menandro? ”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non più legata da fini o interessi comuni… Per Menandro anthropos è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna, il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno” fa…furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.
Proprio perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[2]

E' la civiltà delle buone maniere dalla quale Cnemone si è colpevolmente escluso diventando un disumano regredito a “un'esistenza precivile, da Ciclope”[3].
 Polifemo e i suoi simili infatti:
 "non hanno assemblee deliberative, nè leggi
ma abitano sulle cime di alti monti
in caverne profonde, e ciascuno dà leggi
ai figli e alle mogli, né si curano l'uno dell'altro" (Odissea, IX, 112 - 115).
E' questo il primo ritratto dell'uomo impolitico e del tutto asociale che la grecità, almeno quella ateniese fino a Menandro, biasima: Tucidide (II, 40, 2) fa dire a Pericle: "Siamo i soli infatti a considerare non tranquillo ma inutile (oujk ajpravgmona, ajll; ajcrei'on) chi non si interessa degli affari pubblici".
Il misantropo dunque è un asociale che
"non ha mai rivolto per primo la parola a nessuno" (10), tranne un fuggevole saluto al simulacro dello stesso dio Pan, solo perché"costretto dalla vicinanza" (11).

 Un individuo simile a Cnemone è quello che impersona La scortesia, il XV dei Caratteri di Teofrasto: " La scortesia (aujqavdeia, parola che implica anche prepotenza e narcisismo) è durezza nel relazionarsi con le parole, e lo scortese è il tipo, se riceve la domanda - dov'è il tale? -, capace di rispondere - non mi dare briga - (pravgmatav moi mh; pavrece) ".
Disumano allora è "chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza" ne inferisce Snell (Poesia e società,. p. 151) che in una nota cita anche Shakespeare: "He' s opposite to humanity ", è un nemico del genere umano, detto di Apemanto, filosofo senza creanza, in Timone d'Atene (I, 1).
Cfr. La diffidenza di Teofrasto. J ajpistiva cercal
 Insomma costoro sono persone che peccano contro le convenienze le quali sono cresciute di pregio da quando la polis non dà compiti di grande valore siccome i Macedoni hanno occupato l'acropoli, e l'aspirazione al sapere, all'arricchimento filosofico o letterario dell'anima riguarda i dotti specialisti. Proprio questa mancanza di alti ideali o di specifiche dottrine ha messo la Commedia nuova in una condizione di esemplarità rispetto a Plauto, Terenzio e anche ad autori del Rinascimento, dell'età barocca e pure di quella moderna.
 Disumano è pertanto Cnemone per il fatto che non si adatta a una società di persone civili e cortesi. Egli, ci informa ancora Pan, "ha sposato una vedova" (14) che aveva già un figlio, Gorgia, e con lei litigava sempre. Poi "gli nasce una bambina: peggio ancora" (19 - 20). Un'espressione del genere si confà a un personaggio siffatto di Terenzio: Demea degli Adelphoe che dice di sé (866 - 868):
"ego ille agrestis, saevos, tristis, parcus, truculentus, tenax,
duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii;
alia cura ", io quel rozzo campagnolo, disumano, tetro, avaro, duro, testardo, ho preso moglie: quale miseria ci ho trovato! Sono nati i figli; altra preoccupazione.
Questa descrizione invero deriva dal
 fr. 11 Körte. di Menandro: " jEgw; d j a[groiko", ejrgavth", skuqrov", pikrov", feidwlov"", io villano, lavoratore, arcigno, duro, tirchio. Come si vede le stesse cose, e gli stessi tipi ritornano.
Sicché la moglie di Cnemone lo ha lasciato, ed è andata a vivere con il figlio su un piccolo podere nelle vicinanze dove i due si mantengono a stento. Per fortuna:
"il ragazzo ha cervello al di sopra della sua età:
infatti l'esperienza delle difficoltà fa crescere"
 ("proavgei ga; r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva", v. 29).
Ecco dunque che pure in questa commedia si annida la formula delfica che è pura la fondamentale legge tragica codificata da Eschilo nell'Agamennone (v. 177) con le parole: "tw'/ pavqei mavqo"", attraverso la sofferenza la comprensione. Ma il vecchio non è ancora arrivato alla resipiscenza, a quel "ora comprendo" che rende pure Admeto meritevole di grazia (cfr. Alcesti, v. 940).
Ottima invece è la ragazza figlia di Menandro, la quale "in conseguenza dell'educazione ricevuta non sa nulla di cattivo" (35 - 36). E' strano che una giovane crescendo in un'ambiente del genere possa fruire di una buona educazione, ma intanto, come specificherà più avanti Menandro, il padre è "selvaggio" sì, però è anche un "nemico della malvagità" (v. 388), poi dietro l'approvazione di tale paideia per le fanciulle c'è la filosofia del Peripato: Barigazzi (La formazione spirituale di Menandro) ci informa che Teofrasto in un frammento consiglia di tenere le bambine chiuse in casa perché crescano riservate e pudiche. La moglie infatti deve essere scelta per la modestia, la scarsa loquacità, e l'indole buona. Alla donna dunque non servono grandi qualità intellettuali.
Affermazione dalla quale, sia chiaro, noi dissentiamo con forza.
Cfr. anche Senofonte, Economico, 7, 5.
Aristotele nell'Etica Nicomachea aveva scritto che i rapporti tra i coniugi devono basarsi sulla filiva, affetto, ma l'uomo deve avere la supremazia.
 E una bella sentenza di Menandro ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che in natura "niente è tanto congeniale come l'uomo e la donna, a guardarci bene".
 La ragazza in questione è pure pia; anche per questo riesce simpatica a Pan il quale intende proteggerla e favorirla: al punto che ha fatto innamorare di lei "un giovane figlio di un uomo ricco" (39 - 40) che passava di là.
Finito il prologo, entra per l'appunto l'innamorato, Sostrato, accompagnato da Cherea, parassita e amico. Quest'ultimo distingue l'amore per l'etèra che va soddisfatta subito: "infatti il temporeggiare fa crescere di molto la passione" (62) da quello per la ragazza libera: allora è necessario informarsi "sulla famiglia, i beni, i costumi" (65 - 66).
Una prassi questa che ha sapore di cultura borghese. Basta pensare ai matrimoni d'interesse, tutti falliti, di Tony, della saga borghese di I Buddenbrook di Thomas Mann. Viceversa in Menandro prevale l'inclinazione reciproca, il conveniunt mores, concordano i caratteri, come si legge nel suo discepolo Terenzio (Andria, 696).
Analoga riflessione si trova in Svevo: "Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo" (Una vita, p. 208).
 A Sostrato il sistema delle informazioni non piace, comunque ha mandato lo schiavo Pirria (71) dal padre della ragazza. Anzi l'innamorato è in pena per il ritardo (78). Ma ecco che Pirria arriva come servus currens poiché grida: "c'è un matto che mi insegue" (82). Non solo: il poveretto è stato pure fatto bersaglio di zolle e pietre (83). L'informazione che deve dare non è positiva: il vecchio che abita lì è "matto e indemoniato" (89 - 90). Quando bussò alla porta venne fuori "una vecchia disgraziata" (99) la quale glielo indicò su una collina dove raccoglieva qualcosa. Pirria allora si è avvicinato, ma il contadino lo ha aggredito apostrofandolo con un:
"maledetto uomo, tu vieni nel mio campo!", quindi ha preso una zolla e gliel'ha tirata in faccia (108 - 111).
 Poi l'ha assalito con un paletto gridando: "che cosa abbiamo a che fare tu ed io? " (114 - 115). Ma non basta: Pirria[4] si è dato alla fuga e il vecchio a inseguirlo tirandogli "zolle pietre e anche pere, come non aveva più altro" (120 - 121). Il servo dunque consiglia di battere in ritirata, l’amico Cherea di rimandare la visita, per lo meno; infatti dice:
"sappi bene che
in tutte le cose è più efficace scegliere il momento opportuno (" ejsti; praktikwvteron eujkairiva"127 - 128). Questo consiglio percorre gran parte della cultura classica: il principale teorico della necessità di cogliere l'occasione (kairov") è Isocrate; e nella commedia latina possiamo ritrovare l'affermazione ai vv. 364 - 365 dell'Heautontimorumenos di Terenzio: "in tempore ad eam veni, quod rerum omniust primum ", sono andato da lei al momento giusto che è quello che conta più di tutto.


continua



[1] Così dice Shakespeare, Timon of Athens, I, 1: “He’ s opposite to humanity”.
[2] B. Snell, Poesia e società, pp. 151 - 152.
[3] B. Snell, Poesia e società,, p. 153
[4] Purriva", cfr. il rufus schiavo Pseudolo della commedia latina tanto geniale quanto volgare: "ore rubicundo" (v. 1219

2 commenti:

  1. Bello, Gianni! Mi mancava un tuo lavoro su Menandro.
    Alessandro

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  2. ...leggere il tuo blog è sempre cogliere l'occasione per imparare.Giovanna Tocco

    RispondiElimina

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