mercoledì 24 luglio 2019

La "Lisistrata" di Aristofane. Parte 7

Lisistrata a Velia Teatro
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Arriva un araldo spartano anche lui con un’erezione evidente.
Domanda dov’è il senato aJ gerwciva o i pritani (980)
Il pritano - pruvtani" - presidente - gli chiede se sia un uomo o Konìsalo, un demone della fecondità simile a Priapo. Lo spartano risponde ka'rux ejgwvn , sono un araldo io venuto da Sparta per la pace. Parla in dialetto dorico che non sembra essere solo la “patina” dei cori tragici.
Perché allora questa lancia sotto l’ascella? Dovru uJpo; mavlh" (985)
L’araldo si volta per non far vedere la “lancia”
Ma girato sembra che abbia un bubbone sotto l’anguinaia
Finalmente il pritano capisce che si tratta di erezione ajll j e[stuka", w\ miarwvtate, mascalzonissimo.
Lo Spartano nega e dice che si tratta della skutavla lakwnikav, un bastone di legno intorno al quale si avvolgevano le strisce con i messaggi di Stato, i dispacci.
Però poi ammette che l’intera Sparta è ritta e tutti gli alleati sono in erezione: c’è bisogno di donne (menziona Pallene, forse una prostituta)
Lampitò ha dato il segnale, dopo di che tutte hanno scacciato i mariti dalle fiche ajphvlaan tw;" a[ndra" ajpo; tw'n ujssavkwn (1001) - u{ssax (u|" - latino sus)
Cfr. gli Acarnesi 780 - 781 dove il Megarese, che vende le figlie come porcelline, fa a Diceopoli nu'n ge coi'ro" faivnetai - ajta;r ejktrafeiv" ge kuvsqo" e[stai, sembra una porcella ma cresciuta sarà una fica.

L’araldo spartano aggiunge che i maschi girano per la città tutti curvi, “come se portassimo una lanterna e le donne non si lasciano toccare se prima gli uomini non fanno la pace”.
Il Pritano ne deduce che si è congiurato dovunque dalle donne - pantacovqen xunomwvmotai[1] - uJpo; tw'n gunaikw'n. - 1007 - 1009 -
Quindi chiede che mandino aujtokravtora" prevsbei", ambasciatori con pieni poteri.
Il corifeo dice che non c’è belva più insuperabile della donna, neppure il il fuoco e nessuna pantera così svergognata - oujde; pu'r, oujd j w|d j ajnaidhv" oujdemiva pavrdali" - (1015).

Cfr la tirata dell’Ippolito di Euripide dove il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[2] ("ajthrovn[3]... futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere: crh'n d j ej" gunai'ka provspolon me;n ouj pera'n - , a[fqogga d j aujtai'" sugkatoikivzein davkh - qhrw'n, Ippolito 645 - 647, bisognerebbr inoltre che dalla donna non andasse un’ancella ma fare abitare con loro muti morsi di fiere. Non è che Ippolito cerchi la donna intellettuale. La saputa anzi è peggiore sofh;n de; misw' (640). La stupida è paradossalmente meno vicina alla follia.
L’esecrazione inizia con l’idea che la propagazione della razza umana dovrebbe avvenire senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616 - 623).

La corifea domanda al corifeo perché le muova guerra, visto che capisce la forza di lei.
Il vecchio risponde: “wJ" ejgw; misw'n gunai'ka" oujdevpote pauvsomai” 1018), perché non cesserò mai di odiare le donne
E’ una risposta alla maniera di Ippolito: “misw'n d j ou[pot j ejmplhsqhvsomai - gunai'ka" ”( Ippolito, 664 - 665), non sarò mai sazio di odiare le donne.

La corifea a questo punto gli fa un piacere togliendogli un moscerino dall’occhio. Poi lo bacia anche
Il vecchio ne trae beneficio: la zanzara ejmpiv", ejfrewruvcei[4] - mi trivellava l’occhio come un pozzo. (1033). La vecchia lo bacia anche, e lui dice che le donne sono qwpikai; fuvsei, adulatorie per nature - qwpeuvw -
Comunque vuole fare la pace. Quindi i due cori uniti cantano un canto di conciliazione
Arrivano gli ambasciatori spartani con barba e una gabbia di maialini intorno alle cosce per nascondere l’erezione.
Lo spartano indica la loro situazione fallica e il corifeo ateniese dice che quello sembra essere infiammato di brutto e anche peggio - deinw'" teqermw'sqaiv te cei'ron faivnetai - (1079).
Arrivano anche degli Ateniesi con la tunica scostata dal ventre.
Il pritano chiede di Lisistrata. Se non ci sarà la pace saremo costretti a fottere Clistene - Kleisqevnh binhvsomen (1092).
 Era un noto omosessuale sfottuto anche nelle Rane (48)
Il Corifeo suggerisce agli Spartani di mettersi il mantello, perché non li veda qualcuno degli ermocopidi o{pw" tw'n eJrmokopivdwn mh; ti" uJma'" o[yetai (rischiano la castrazione).
Spartani e Ateniesi insieme vogliono la pace.
Chiamiamo dunque Lisistrata dice il Pritǎno, la sola che possa riconciliarci (1105).
Entra in scena Lisistrata salutata dal corifeo come ajndreiotavth, la più valorosa, e bisogna che sia terribile - deinhvn - e mite, buona e cattiva - ajgaqh;n fauvlhn - superba e amabile semnh;n ajganhvn , poluvpeiron, di molta esperienza (1109.)
Lisistrata domanda dove sia la Pace e dall’alto scende con un argano una bella ragazza nuda che la personifica. Lisistrata le chiede di recarsi a Sparta e tra gli Ateniesi con buone maniere. E se qualcuno non ti dà la mano, prendilo per il bischero (th'" savqh" a[ge 1119 cfr. saivnw scodinzolo).
Poi cita un verso di Melanippe la saggia di Euripide (fr. 487)
ejgw; gunh; mevn eijmi, nou'" d j e[nestiv moi (1124), sono una donna ma ho senno!
Queste citazioni dei tragici soprattutto di Euripide, rende l’idea di quanto dovevano essere popolari ossia noti al popolo i loro drammi.
Quindi Lisistrata rimprovera i maschi che vanno a purificare con l’acqua gli altari a Olimpia, alle Termopili, a Delfi, e mentre incombono i nemici barbari con gli eserciti, distruggete uomini e città della Grecia [Ellhna" a[ndra" kai; povlei" ajpovllute (1135).

I veri nemici - vuole dire Aristofane - sono i Persiani, anticipando di decenni Isocrate.
Ma il Pritano ribatte: sono io che muoio, così arrapato (scappellato) - ejgw; d j ajpovllumai ajpeywlhmevno" - ajpoywlevw - ywlhv , hJ - è il glande tirato indietro. yavw raschio.

Lisistrata ricorda agli Spartani che Cimone portò 4000 opliti ateniesi in loro aiuto contro i Messeni e o{lhn e[swse th;n Lakedaivmona (1144), salvò l’intera Sparta (cfr. Plutarco Vita di Cimone, 16; Tucidide I, 102).

Era il 462 durante la III guerra messenica (464 - 455). A Sparta ci fu un terremoto che fece cadere anche alcune cime del Taigeto. Si ribellarono gli iloti della Laconia, della Messenia e un paio di comunità perieciche dell’area montuosa. I Messeni si arroccarono sull’Itome 800 metri
Gli Spartani però temettero collusioni tra gli insorti e gli Ateniesi e il contingente di Cimone venne bruscamente rimandato a casa. Atene si alleò con Argo, con Tessali in senso antispartano e con Megara in funzione anticorinzia. Cimone venne ostracizzato nel 461. L’ostracismo serviva già a regolare i conti tra i partiti.

Lisistrata dunque rinfaccia questo aiuto e l’ingratitudine degli Spartani e il Pritano le dà ragione. Lo Spartano ammette il loro torto e ammira il culo della Pace, indicibilmente bello: ajll j oj prwktov" a[faton wJ" kalov" (1148)
Lisistrata poi per par condicio ricorda che gli Spartani cacciarono Ippia nel 511 e liberarono gli Ateniesi dalla tirannide.
Quindi lo Spartano elogia Lisistrata come la donna più buona e il Pritano dice di non avere mai visto kuvsqon kallivona 1158 una fica più bella (cfr. cunnus).

Tale richiesta di pace e di parità si trova anche nelle Fenicie di Euripide rappresentate nello stesso periodo di tempo (tra il 411 e il 409).
Giocasta strappa a Eteocle l’aura eschilea del re preoccupato del bene comune. La madre contrappone all’ambizione del figlio l’ jisovthς, l’uguaglianza, una norma del cosmo come si vede nella distribuzione di ore di luce e di buio, uguali nel corso dell’anno. Il più è invece il principio della discordia. Contro le trame oligarchiche. Tucidide ricorda che nello stesso governo dei Quattrocento prevalevano invidie e rancori poiché nessuno voleva l’uguaglianza ma ciascuno pretendeva di essere il primo. Tali sforzi portarono alla rovina di una oligarchia nata da una democrazia (VIII, 89, 3).
Giocasta dunque professa un atto di fede nella democrazia e nell’uguaglianza e nella pace.
Il più ha soltanto un nome: tiv d’ ejsti; to; plevon ; o[nomj e[cei movnon ( 553) , poiché ai saggi basta il necessario (ejpei; tav g j ajrkounqj iJkana; toi'ς ge swvfrwsin 554), le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali (ou[toi ta; crhvmat j i[dia kevkthntai brotoiv 555), noi siamo curatori di cose che gli dèi possiedono (ta; tw'n qew'n d j e[conteς ejpimelouvmeqa, 556) e quando essi vogliono ce li ritolgono o{tan de; crhv/zw's j , au[t j ajfairou'ntai pavlin (557).
A Polinice Giocasta fa notare che i favori di Adrasto sono ajmaqei'ς cavriteς (569) e tu sei venuto qua porqhvswn povlin a distruggere la città ajsuvneta, dissennatamente (Cfr. le Troiane).
Euripide attraverso Giocasta si rivolge ai politici ateniesi di quegli anni: mevqeton to; livan, mevqeton (imp. aor m. duale di meqivhmi. 584), abbandonate l’eccesso, abbandonatelo. E’ un monito alla parte oligarchica e a quella democratica.


CONTINUA



[1] sunovmnumi
[2] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
[3] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunaikev~ ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
[4] frewrucevw, scavo pozzi - frevar - tov, pozzo. Freatico - ojruvssw, scavo.

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