martedì 23 luglio 2019

La "Lisistrata" di Aristofane. Parte 6

 Priapo

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Nel Timone d'Atene di Shakespeare (1607) il protagonista diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s obliquy; - there is nothing level in our cursed - natures - but direct villainy. Therefore be abhorred - all feasts, societies, and throngs of men - His semblable (similis - )yea himself, Timon disdains - (dedignari) - Destruction fang - (azzanni, allied to latin pangere conficcare affondare) mankind. IV, 3, 18 - 24), tutto è storto, non c’è niente di diritto nella nostra natura maledetta, se non la malvagità diretta al male. Perciò sono da detestare tutte le feste, compagnie e folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi se stesso. Che la distruzione azzanni l’umanità.

 Plutarco nella Vita di Alcibiade (16) racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~ ,imbattutosi un giorno in Alcibiade che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di molto il male a tutti questi.

I vecchi del coro minacciano calci nel dare i quali possono far vedere il sesso: i vecchi sono pelosi, le vecchie invece depilate
Lisistrata lancia l’allarme siccome si avvicina un uomo in preda al delirio di Afrodite. Mirrina vede arrivare suo marito Cinesia Kinhsiva" (cfr. kinevomai, sono eccitato).
Lisistrata le dice che deve sedurlo e ingannarlo - ejjxhperopeuvein[1] - senza concedergli quello che ha giurato sulla coppa di vino. - Arriva Cinesia con una visibile erezione. Lamenta che spasmov", erezione, tevtano" (846) tensione lo hanno invaso, e si sente come uno torturato alla ruota. Chiede a Lisistrata della sua Mirrina
Lisistrata gli dice che Mirrina si prende cura di lui e lo elogia.
Quindi il marito le chiede di andare a chiamare la moglie: ha perso ogni gioia di vivere da quando lei se n’è andata, quando torno a casa mi sento depresso - a[cqomai, tutto mi sembra deserto e non provo nemmeno gioia a mangiare: cavrin oujdemivan oi\d j ejsqivwn: e[stuka[2] gavr (869) ce l’ho ritto.
Mirrina oppone resistenza.
Cinesia spinge il figlio a chiamarla mammiva, mammiva, mammiva.
Il marito chiede pietà per il piccolo che non è lavato nè allattato - a[louton ka[qhlon[3] - da sei giorni.
Mirrina ribatte che a lei il bambino fa pena, ma è il padre quello che lo trascura ajmelhv" aujtw'/
Cinesia insiste e lei: oi|on to; tekei'n: katabatevon che faccenda avere partorito, bisogna andare laggiù, che altro posso fare? - tiv ga;r pavqw; (884),
Cinesia la guarda avidamente e le dice che sembra diventata newtevra e più dolce. E il fatto che è sdegnosa duskolaivnei e altezzosa brenquvetai è proprio quello che mi strugge di desiderio m’ ejpitrivbei tw'/ povqw/ (888)

Commento ai vv. 887 - 888 della Lisistrata di Aristofane: Cinesia, il marito di Mirrina, dice che lo sdegnarsi della moglie e il suo fare la ritrosa è proprio quello che lo strugge di desiderio
Cfr. Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Ovidio, Amores, II, 20, 36)

 E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:"kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post - filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[4]. Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia al particolare"[5] (p. 141). La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post - filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[6].

 "Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "…Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"[7], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
 E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.

Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).

Una situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij (1866) dove il protagonista Alexei dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[8].

Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi essere - è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[9].

L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42 - 43).

Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina: "Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[10].

 Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[11].

 Sentiamo infine C. Pavese: "Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[12].

Mirrina bacia il bambino ma rifiuta l’abbraccio del marito.
Gli dice che non tornerà a casa se loro, gli uomini, non smetteranno di fare la guerra.
Lui le propone almeno un incontro svelto nel letto: d j ajlla; kataklivnhqi metj ejmou' dia; crovnou (904)
Mirrina risponde che gli vuole bene ma niente letto.
Cinesia insiste e lei prende tempo per procurare una stuoia da stendere nella grotta di Pan, un cuscino - proskefavlaion (926) e una coperta
Cinesia è impaziente, non gli serve il cuscino: ajlla; binei'n bouvlomai, ma voglio fottere (934).
 Mirrina vuole prendere tempo profumandolo con un unguento to; muvron (939)
Cinesia fiuta che l’unguento serve a stropicciare, perdere tempo diatriptikovn e non ha odore di nozze koujk o[zon gavmwn. (943)
Mirrina gli dice che lui deve votare per la pace. Poi se ne va.
Cinesia si lamenta: ajpodeivrasa oi[cetai (953), “se ne va dopo avermi sbucciato” - ajpodevrw, levo la pelle (ovviamente dal glande). Infine invoca Kunalwvpex, Cane - volpe un tenutario di bordello.
Il corifeo lo compiange per gli o[rcei" insoddisfatti. In italiano si direbbe che ha l’orchite.
Quindi il vecchio incita il marito che continua a chiamarla pagglukevra , dolcissima, a punirla, sollevandola in aria e facendola ricadere in modo che si infili di colpo sul glande ejxaivfnh" peri; th;n ywlhvn (979), data l’erezione.


CONTINUA



[1] hjpropeuthv" è il seduttore Paride in Iliade 13, 769.
[2] Stuvw, stu'lo" pilastro.
[3] qhlhv, mammella e capezzolo.
[4] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 372.
[5] Aristotele, Poetica , 1451b.
[6]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 371.
[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
[8] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[9] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[10] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[11] Cocotte, vv. 67 - 69.
[12] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.

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