domenica 12 gennaio 2025

Ifigenia 223 La conclusione del viaggio nell’Ellade sacra. L’amore e la penuria di cibo. Una fame da lupi.


 

Ifigenia si accorse che stavo meditando sul nostro rapporto.

Quindi depose la maschera e il ruolo della moglie assassina, prese quelli dell’amante premurosa e domandò:

“Che cosa pensi ora tu, amore mio?”

“Che ti amo perché tu sei comunque una donna non ordinaria e osservarti mi fa entrare nel cuore della realtà”.

Mi rivolse uno sguardo di gratitudine, poi, con un pizzico di ironia,  domandò: “Te ne accorgi soltanto qui a Micene dove ti sei sintonizzato con me grazie alla porta dei leoni e alla tomba di Atreo?”

“No. L’ho capito da quando accolsi con trepida gioia la tua meravigliosa proposta di farti da maestro, da fratello e da amante. Adesso per giunta lo sento, cioè mi emoziono pensandolo, e sono sicuro che per te, figlia e madre dello spirito mio, scriverò una storia che spargerà la tua fama su tutta la terra e renderà la tua bellezza

immortale nonostante il volgere di tante stagioni che portano via quasi tutto. Adesso io ti amo con la testa e con il cuore, poiché mentre osservo la tua persona che ravviva queste rovine, riconosco che tu hai restituito la vita alle mie macerie interiori”.

 

Mi fissava con la coscienza che queste non erano soltante parole.

Quindi rispose: “Tu sai riconoscere in me bellezza e poesia siccome le hai dentro. Io ti amo a mia volta e comunque andrà a finire tra noi, ti amerò sempre, poiché nella tua persona straordinaria raduni tutti i valori più alti dell’uomo davvero umano: intelligenza, onestà, volontà. Le doti che in altri sono divise e disperse tu le raccogli dentro di te in una sincrasia meravigliosa.

Né vuoi tenerle soltanto per te ma donarle a chi ne ha bisogno, a me soprattutto. E’ vero tesoro?”

Ci abbracciamo con forza lì sulle macerie della città ricca d’oro. Quasi facemmo l’amore in un anfratto lontano da occhi curiosi e maliziosi.

Poi ripartimmo. Eravamo felici come poche altre volte. Tutto il bello sembrava rinato. Impiegammo la sera e la notte per uscire dall’Ellade, poi viaggiammo per altri due giorni.

Passammo alle Termopili sotto la statua di Leonida armato. Si leggeva la scritta- Molw;n labev- vieni a prenderle.

“Noi siamo venuti in Grecia a riprenderci interi dopo la dimidiatio dolorosa ” disse Ifigenia.

C’era armonia tra noi. Si beveva acqua, l’ottima acqua di Pindaro, la sorella acqua di Santo Francesco la quale è molto utile et umile et preziosa et casta. Mangiavamo anche meno di Santo Giovanni, l’onesto Giovanni: un poco di pane senza miele né locuste, seduti sul parafango anteriore della nostra automobile fermata in luoghi elevati da dove si poteva vedere il mare luccicante, la scura campagna addormentata, le stelle e la luna. A mezzo il giorno ci tuffavamo nei seni profondi e gonfi di luce.

Il 25 agosto arrivammo a Bologna con meno di duemila lire e quasi a secco di benzina, nonostante avessi staccato il motore in ogni discesa. Eravamo ridotti all’osso: Ifigenia pesava 46 chili invece di 50, io 52 al posto dei 55 della mia buona forma da scalatore.

“Meglio ora così rinsecchito-pensai- che quando feci la prima visita militare e pesarono 69 chili che poi crebbero ancora dell’altro. Mi riempivo di carne non mia. Un mostro del genere andava riformato. Invece mi fecero abile così deformato com’ero”.

Per fortuna era un lunedì  e dopo esserci sistemati , potemmo procurarci il denaro necessario a comprare quanto ci voleva per cavarci la fame da lupi.

 

Bologna 12 gennaio 2025 ore 9, 33 giovanni ghiselli.

p. s.

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