sabato 1 marzo 2025

Debrecen 1968. Eeva Vuortama prima parte.


 

A Debrecen nel luglio del ’68  dunque ritrovai  gli amici del 66, con gioia, quella mia gioia che era ed è comunque una cosa seria, siccome nata dall’avere capito le cause di una crisi dolorosissima, quasi mortale, e di averla superata :"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone"[1], le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti.

C’erano, ancora tre dei quattro contubernali del ’66 mentre Ulderico non era tornato e al suo posto era giunto uno nuovo, Claudio che rimarrà nella nostra storia.

Una settimana dopo essere arrivato con una mini minor verde, in compagnia di Fulvio raccolto alla stazione di Ravenna, mi innamorai di una ragazza di Helsinki, la prima del ciclo finnico, non l’apripista delle amanti finlandesi però. Purtroppo non mi concesse di assaporare  con lei “il piacer maggiore/che per lo mar dell’essere si trova”.

 

Si chiamava  Eeva Vuortama, aveva ventun anni , era bionda come è il grano poco prima di venire falciato nei giorni più belli dell’anno quando il sole non lontano dal culmine del solstizio ci offre il massimo della sua luce. Solo allora  si comincia a presoffrirne il rapido declino.

 Eva aveva gli occhi celesti,  un visomolto bello , intelligente espressivo, ma di corpo non era del tutto irreprensibile. Forse anche per questo non volle svelarsi.

In ogni caso non contraccambiava il mio amore, non veniva a letto con me nella solita camera numero 4 del secondo collegio dove dormivo con Fulvio, Danilo e Claudio, il contubernale nuovo, un ragazzo di valore anche lui. Siamo  quattro scavezzacolli continuava a dire Danilo.

 Eva dunque non mi amava, tuttavia  usciva  con me quasi ogni sera. Diceva che mi trovava simpatico, gentile, gradevole.

Non mi bastava, tuttavia da lei imparavo tanto: la lingua inglese che conosceva meglio di me antichista fanatico, e pure lo stile più elegante del mio. Era carina e cortese con me però non contraccambiava i miei sentimenti.

Mi dispiaceva quel suo sostanziale diniego della mia persona intera, ciò nondimeno la frequentavo assiduamente siccome sentivo di non perdere tempo in quanto da lei ricavavo apprendimento come Odisseo dalle Sirene, pur costretto anche  lui  a non chinarsi su quelle bocche dalle voci soavi, su quelle lingue fatate.

 Mentre la osservavo e ascoltavo, pur inceppato dal divieto di fare l’amore, vedevo immagini necessarie alla mia crescita. Mi sentivo sollevato sulla pianura della Verità quando potevo starle vicino. Le idèe che questa finnica impersonava e interpretava erano quelle del buon gusto e dell’arte. Mi educava con l’eleganza dell’eloquio e del portamento.

Migliorai in tutto durante quel mese grazie a lei. Mi aiutò a progredire  nel mio inglese studiato a scuola solo fino alla quinta ginnasio, come usava in quel tempo. Noi Italiani eravamo tra i meno capaci di parlare altra lingua da uella materna nell’università ungherese frequentata da studenti di quasi tutto il continente eurasiatico. Più incapaci di noi erano solo gli studenti francesi.

 Da Eva imparai a capire e a parlare la lingua di Shakespeare, che al ginnasio sapevo solo tradurre.

Apprendevo  perché  ascoltavo tale maestra con enorme attenzione in quanto consideravo evangelica ogni parola sua e, se me ne sfuggiva anche una sola, me la facevo ripetere tutte le volte necessarie.

Noi umani siamo inclini ad amare chi ci rende migliori. Eva mi insegnò a correggere tanti difetti della mia educazione e del carattere mio: quell’estate avevo conquistato da poco un aspetto gradevole, e ne andavo fiero dandogli troppa importanza, come un pezzente arricchito sopravvaluta il denaro.

Mi sentivo piacente: già quasi snello,  vestito bene, fornito dell’ automobile allora di moda e credevo, sbagliando, che questo bastasse ad affascinare e conquistare qualsiasi donna. In quel mese compresi che ciò non era sufficiente con una della levatura di Eva. Capìi che mi mancavano competenze speciali, capacità egregie, uno stile non ordinario. Quella ragazza manifestava il suo genio artistico quando cantava o danzava meravigliosamente, e rivelava la sua intelligenza educata quando parlava facendomi vedere le idèe del bello con semplicità e del bene senza mollezza.

 Le sue parole e i suoi movimenti erano di luminosa chiarezza: sicuri, espressivi, pieni di significato. Volevo diventare come lei e la presi quale modello. Come avevo fatto con le miei consaguinèe per gli aspetti che mi piacevano in ciascuna di loro e mi si addicevano, come farò con le tre finniche degli anni seguenti non senza progressi in tutti i campi.

Quando ballava e mi sorrideva guardandomi con occhi brillanti  Eva  bianca di pelle e luminosa di chioma,  com’era, sembrava la luna circondata dalle stelle scoperte dai soffi del vento che spostava i rami frondosi della grande foresta e allontanava le grandi nuvole acquose.

Di notte quando tornavo da solo nella stanza numero 4 del secondo collegio osservavo le nuvole  che scosse dai soffi celesti lasciavano scorgere il cielo finché vedevo la candida luna e le stelle lucenti  e tra loro scorgevo Eva danzare disegni con i suoi passi che riproducevano l’armonia dei movimenti del cielo.

Quando il denso fogliame scuro o le nuvole inquiete nascondevano i tripudi degli astri, allora la finlandese aurichiomata spariva e tornava il buio nel mondo, si spengeva ogni barlume per me.

Mentre la guardavo, cominciavi a  capirw che a questa mia vita mortale potevano dare motivi di gioia non il denaro e i successi cari al volgo, ma il conseguimento dell’amore e dell’arte. Sentivo di essere potenzialmente della razza di Eva: quella dei vivi davvero: la stirpe degli artisti fiammeggianti di un fuoco che traspare dalle espressioni del volto e del corpo: il gevno" degli eterni ricercatori della bellezza. Di questa famiglia eletta faceva parte quella giovanissima donna: in lei anche il movimento di un dito era un’espressione non ordinaria. Avevo bisogno di tempo, di studio, forse di altro dolore che questa volta avrei attraversato senza sciuparmi, poi di gioia, di amore, e sarei diventato un artista anche io. Lo volevo con tutte le forze per essere degno di una donna dotata di quello stile dell’immortalità che  avevo visto in Eva e a me ancora mancava.

Una per cui non sarebbe stata nemesi[2] patire a lungo il dolore di una nuova nascita.

 

Continua.  Se vi piace

Bologna primo marzo  2025  ore 18, 18 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Erodoto, I, 207.

[2] Cfr. Omero Iliade, III, 156

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