venerdì 27 settembre 2013

Il letto è il mobile più importante della casa

Bekim Fehmiu (Ulisse) con Irene Papas (Penelope)
nelle ultime scene dello sceneggiato L'Odissea

Nel XXIII canto dell’Odissea, Penelope aspetta un segno sicuro per potersi fidare del tutto dell’uomo che dice di essere suo marito, tornato a casa dopo venti anni.
Il segno è dato dal letto[1].

Tra Odisseo e Penelope il segno certo (shvmat' ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento non è, come è avvenuto Euriclea, la cicatrice[2], ma il letto costruito dall'uomo.
“Quel letto compatto, “solidamente fissato nel suolo”, con le radici profondamente immerse nella terra, immobile, irremovibile, sottratto a qualsiasi mutamento e cambiamento, è il centro della sua vita e del poema che il “secondo Omero” gli ha dedicato. Il letto racchiude tutti gli aspetti dell’esistenza di Ulisse: il rapporto religioso con Atena, perché egli l’ha lavorato nell’ulivo; l’identità, l’ostinata irremovibilità del carattere; ricorda il matrimonio con Penelope, la fecondità della moglie, la casa cresciutagli intorno, il suo potere di re; fonda natura e cultura, le radici ancora vive e l’opera delle sue mani artigiane. Il letto è il “grande segno” segreto, che soltanto lui, Penelope e un’ancella conoscono. Forse è sfuggito persino agli dèi mascherati che spiano le sue vicende. Ulisse aveva conosciuto un altro centro, Ogigia, l’ombelico del mare, il centro del mondo mitico. Il letto di ulivo è l’ombelico della realtà: lui aveva preferito una volta per sempre il mondo reale, dove si soffre e si muore, a quello mitico dove non si soffre e non si muore… Ora, mentre marito e moglie stanno finalmente per abbracciarsi, Ulisse descrive con un piacere minuzioso come, più di vent’anni prima, aveva costruito il letto. Anche qui, la tensione narrativa viene rallentata. Ulisse descrive, in primo luogo a se stesso, l’oggetto fondamentale della sua vita, che teme perduto per sempre. Mentre lo descrive, il furore si quieta. Con quale piacere racconta il suo capolavoro di artigianato: come costruì la stanza da letto attorno a un ulivo rigoglioso: la coprì con un tetto, vi appose una porta, recise i rami dell’ulivo, sgrossò il tronco, lo piallò, lo fece diritto col filo, traforò il legno col trapano, piallò il letto, lo placcò d’oro, d’argento e d’avorio, vi tese le cinghie del bue… Con questo letto così amorosamente lavorato, ha inizio la corona di oggetti privilegiati attorno ai quali si svolge la cultura occidentale: la ciotola di Robinson, il profumo di Baudelaire, le marmellate di Tolstoj, la madeleine di Proust, la seggiola di van Gogh; oggetti stabili, “solidamente fissati nel suolo”, ai quali abbiamo donato il nostro cuore. Appena Ulisse rivela il “grande segno”, le ginocchia e il cuore di Penelope si sciolgono, come accade nell’amore, nel sonno e nella morte. Il letto costruito nell’ulivo è il segno sicuro, del quale può fidarsi”[3].

Vediamo dunque altri testi che santificano, o maledicono, il letto, comunque lo considerano un luogo cruciale:
Apollo nelle Eumenidi di Eschilo sentenzia che il letto fatale, per l'uomo e la donna, è più potente del giuramento, siccome sorvegliato dalla giustizia: "eujnh; ga;r ajndri; kai; gunaiki; movrsimo"-o{rkou 'sti; meivzwn th'/ divkh/ frouroumevnh" ( vv. 217-218).
Nelle tragedie di Euripide, particolarmente nell'Alcesti e nella Medea,. il letto è il locus sacer della casa: "nella casa di Alcesti e di Admeto, come nel loro dramma, è il letto il mobile più importante"[4]. Nell'Alcesti, la sposa che muore per salvare il marito si commuove soprattutto davanti al letto: "Poi, gettatasi nel talamo (qavlamon) e sul letto (levco")/ qui scoppiò a piangere e disse così: / o letto (levktron) dove io ebbi sciolta la verginità / da quest'uomo per il quale muoio / addio: infatti non ti odio, poiché tu hai mandato in rovina me / sola: io muoio non volendo tradire te e / lo sposo. Un' altra donna ti possederà, / più casta no, più fortunata forse"(vv.175-182)[5]. Alcesti procede gettandosi sopra il letto e baciandolo (kunei' de; prospivtnousa , pa'n de; devmnion, v. 183.).
Un gesto, un topos gestuale, ripetuto da Didone morente: “Dixit et os impressa toro: Moriemur inultae, / sed moriamur – ait - sic iuvat ire sub umbras (Eneide, IV, vv. 659-660), disse, e, premuta la bocca sul letto, “Moriremo non vendicate, ma dobbiamo morire – disse - così mi va di scendere tra le ombre.
Il letto o la camera nuziale è anche il luogo dove alcune eroine si danno la morte. 
"Deianira[6] vi si precipita come Giocasta[7], Alcesti[8] vi ha versato le sue ultime lacrime prima di affrontare Thanatos e, uscita dalla reggia per morire, sarà ancora verso questo luogo che volgerà i suoi pensieri e i suoi rimpianti… Però, se il thàlamos è nel profondo della dimora, c'è ancora, all'interno del thàlamos, il letto, lékhos, luogo di un piacere che l'istituzione del matrimonio tollera, se è moderato, ma soprattutto luogo della procreazione. E ogni morte femminile passa attraverso il letto: là, e là soltanto. Deianira e Giocasta possono ripetere a se stesse la propria  identità prima di uccidersi[9]. E' proprio là che Deianira muore, in quel letto che essa aveva associato troppo ai piaceri della nymphē: si muore comunque nel proprio letto quando si è donne, anche se ci si uccide come un uomo"[10].
Anche tra gli dèi dell'Olimpo il levktron è un mobile assai importante: infatti nell'Eracle di Euripide, l'eroe dorico critica i numi in generale ed Era in particolare la quale, gunaiko;" ou{neka levktrwn, per i letti di una donna, ossia di Alcmena, gelosa di Zeus, ha mandato in rovina i benefattori della Grecia che non erano in nessun modo colpevoli (vv. 1308-1310). Chi potrebbe pregare una dea del genere dunque?

Nella Medea di Euripide, il letto è un luogo di offesa e dolore.   
Il letto in questa tragedia è un luogo cruciale: già nel prologo il pedagogo dei bambini destinati a essere uccisi dalla madre attribuisce al talamo, a quello della nuova fidanzata, la pur non abbagliante Glauce, la disaffezione di Giasone per i figli della prima moglie.
Alla nutrice, che rileva come il padre si sia rivelato un infame (kakov" , v. 84) verso i figlioli, l'aio risponde con un'espressione di sfiducia generale che comunque vede nel letto il movente principale della malvagità del padrone: "Chi non lo è tra i mortali? Solo ora prendi coscienza di questo, / che ciascuno ama se stesso più del prossimo? / (alcuni magari a ragione, ma altri anche per lucro), / se questi bambini qui per un letto (eujnh'" ou{nek j) il padre non li ha cari?" (vv. 85-88).
Più avanti, nella Parodo, le donne corinzie del Coro domandano a Medea che ha manifestato propositi suicidi: "Quale brama puoi avere tu / del giaciglio orribile (ta'" ajplavtou / koivta" e[ro" ), o demente?!” (vv. 151-152).
Si tratta del letto della morte, un talamo d'amore alternativo a quello di Giasone, il  compagno di letto che ella comunque rimpiange (duromevna eujnavtan, v. 159), il traditore  nel letto, lo sposo infame (to;n ejn levcei prodovtan kakovnumfon, v. 206).
Nel Primo Episodio di questa tragedia la protagonista dice che l'offesa fatta alla femmina umana nel letto, ossia nella sfera sessuale, la rende sanguinaria: la donna, afferma Medea, nelle altre cose è piena di paura, e vile nella lotta e a vedere un'arma; ma quando si trova ad essere offesa nel letto (ej" eujnh;n hjdikhmevnh, v. 265; cfr. v. 26) non c'è altro cuore più sanguinario ( oujk  e[stin frh;n miaifonwtevra, v. 266).
Il "letto" delle donne è motivo di dolore anche alla fine del quinto Stasimo quando la Corifea ricorda un altro delitto di madre contro i propri figli: quello di Ino, la figlia di Cadmo fatta impazzire dagli déi (1283), in particolare dal risentimento di Era: "w\ gunaikw'n levco"[11]-poluvponon, o{sa brotoi'" e[rexa"[12] h[dh kakav" (Medea, vv. 1290-1292a) o letto delle donne pieno di affanni, quanti mali hai procurato già ai mortali!
Sull’argomento "talamo nuziale"  si può aggiungere che nella Medea anche la Divkh divina gravita intorno a questo mobile emblematico: infatti la Corifea nella Parodo chiede alla moglie tradita di non affilare l'ira contro Giasone se onora nuovi letti (kaina; levch ,v. 156), poiché ci penserà Zeus a renderle giustizia per l'offesa subita. Dunque l'abbandonata non deve struggersi troppo nel rimpiangere il compagno di letto (eujnavtan, v. 159).
Nella Medea i due termini eujnhv e levco~ si trovano riuniti in un verso: i due sinonimi si accumulano formando quasi l’impalcatura del delitto: “Dopo avermi generato dei figli , per un letto e un talamo matrimoniale, li hai uccisi (eujnh'" e{kati kai; levcou" ajpwvlesa")”, vv 1337-1338)  dice Giasone alla madre assassina.

L’Andromaca di Euripide sottolinea  un'altra caratteristica della mentalità femminile: la convinzione che l'amore sia tutto nella vita[13]; quando Andromaca domanda a Ermione: "Dunque tu non vuoi soffrire in silenzio per Cipride?", la ragazza risponde: "E perché? Questa per le donne non è assolutamente la prima cosa?" (vv. 240-241). 
Menelao cerca di aiutare la figlia a non perdere il marito: "Io sto dalla parte di mia figlia alleato della figlia, e faccio la guerra con lei: infatti giudico importante questo: essere privata del letto (levcou"[14] stevresqai). Gli altri dolori che una donna può soffrire sono secondari, ma quella che fallisce con il marito, fallisce nella vita" (vv.370-373). 
Più avanti la stessa Ermione denuncia la cattiva influenza delle donne sulle donne: "Mi hanno rovinata le visite delle donne cattive" (v. 930). La mettevano su contro Andromaca e la ragazza fu trascinata da un vento di follia ascoltando “i discorsi di queste Sirene[15] astute, maligne, variopinte, chiacchierone"( Andromaca, v. 937).
Bisogna dire che  le donne possono infuriarsi pure per l'offesa sessuale da loro stesse arrecata, nel letto o fuori dal letto: "Nihil est audacius illis / deprensis: iram atque animos a crimine sumunt”[16], non c’è niente di più sfrontato di quelle colte in flagrante: prendono rabbia e coraggio dalla colpa.
“Bisogna stare attenti con le donne. Sorprendile una volta con le mutande abbassate. Non te la perdonano più"[17].   
 Il letto della madre oltraggiata ricorre nella cagnara che scoppiò durante il banchetto nuziale tra Filippo di Macedonia e la ragazza Cleopatra.
La madre di Alessandro, Olimpiade metteva metteva su il figlio contro il padre. Era una donna connotata dalla durezza (calepovth~), gelosa e collerica  e sobillava il figlio (paroxunouvsh~ ton  j Alevxandron,  Plutarco, Vita di Alessandro, 9, 5).
Attalo, lo zio di Cleopatra, invitò i Macedoni a pregare gli dèi per un legittimo erede del regno; Alessandro gli gettò una coppa addosso chiedendogli se lui fosse un bastardo; Filippo si lanciò contro il figlio con la spada sguainata, ma scivolò e cadde. Allora il principe disse ironicamente: “Costui, signori, che si preparava a passare in Asia, si è ribaltato passando da un letto a un altro (ejpi; klivnhn ajpo; klivnh~ diabaivnwn ajnatetravptai, 9, 11)”.
Klivnh è il letto per dormire e anche il divano per desinare.

Anche l'uomo che aspira al potere del resto dà la massima importanza al letto: l'assassino deforme e  zoppicante, l'esecrabile tiranno segnato dal demonio (“stigmatic”), Riccardo duca di Gloucester, esulta per essersi insinuato nel favore di se stesso (“I am crept in favour with myself”) dopo che Lady Anne, bella donna ancora in gramaglie, della quale egli stesso ha ucciso marito e suocero, ha smesso di rifiutare la sua pretesa di essere adatto non all'inferno ma, viceversa, alla camera da letto di lei (“your bed chamber”).
Questo successo lo rende compiaciuto di sé, al punto che vuole comprarsi uno specchio e intanto chiede al sole, che gli è diventato simpatico, di brillare per poter ammirare la propria ombra mentre cammina: "Shine out, fair sun, till I have bought a glass, / That I may see my shadow as I pass" (Shakespeare, Richard  III [18], 1, 2).

Il letto secondo Mimnermo[19] è il mobile che nella vita umana sostiene l'unico motivo che la giustifichi: quello erotico: "Quale vita, quale piacere, senza l'aurea Afrodite? / Vorrei essere morto, una volta che non mi importi più di questi beni, / l'amore furtivo e i dolci doni e il letto (kruptadivh filovth" kai; meivlica dw'ra kai; eunhvv, v. 3): / che sono i soli fiori fugaci di giovinezza / per gli uomini e per le donne; poi quando sia giunta penosa / la vecchiaia che rende l'uomo turpe e insieme cattivo, / sempre cattivi affanni lo consumano nell'animo, / e non prova piacere neppure alla vista dei raggi del sole, / ma è odioso ai ragazzi, spregevole per le donne; / così tremenda  rese la vecchiaia un dio" (fr. 1D).
"In tutta la poesia greca arcaica il termine eunhv, al pari di levco", è impiegato metaforicamente per designare l'unione che vi si consuma… Dal lato della mitologia il letto è essenzialmente metafora dell'unione coniugale fra due giovani adulti… Solo Deucalione e Pirra, esseri primordiali, possono creare lontano dal lechos  la razza di pietra che è all'origine del genere umano"[20].
Guy de Maupassant in un suo divertente racconto erotico afferma l'importanza capitale del letto: "Tengo più al mio letto che a qualsiasi altra cosa. E' il santuario della vita. Gli affidiamo nuda la carne stanca, perché la rianimi e la riposi nel candore delle lenzuola e nel calduccio delle piume. E' là che troviamo le ore più dolci dell'esistenza, le ore dell'amore e del sonno. Il letto è sacro. Dobbiamo rispettarlo, venerarlo; amarlo come quanto abbiamo di migliore e di più dolce sulla terra"[21].
Oppure: “Il letto è un luogo selvaggio, una foresta vergine fitta di sorprese e di imprevisti, un ambiente torrido, carico degli effluvi micidiali di fiori stranissimi, un groviglio inestricabile di liane, pieno di belve dagli occhi fiammeggianti che strisciano nell’ombra, le fiere del desiderio e della passione, sempre pronte a balzare sulla preda. Il letto è anche questo, in un certo senso. E’ una giungla. E’ penombra. Strani suoni giungono da lontano e tu non sai se è il grido di un essere umano azzannato alla gola da una bestia feroce presso una sorgente o se a urlare è stata la natura stessa, che è al contempo umana, animale, e disumana”[22].
Il letto insomma è uno degli oggetti più carichi di significati, una di quelle presenze "epifaniche", le quali manifestano un'anima e una storia.

Giovanni Ghiselli

P. S. Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/ è arrivato a 101091,  240 giorni dopo che è stato aperto.


[1] nu'n d j, ejpei; h[dh shvmat' ajrifradeva katevlexa~-eujnh'~ hJmetevrh~peivqei~ dhv meu qumovn, Odissea , XXIII, 225-226, ma ora poiché mi hai detto il segno chiaro del letto nostro…convinci il mio cuore, dice Penelope a Odisseo dopo la diffidenza iniziale.
[2] Odissea, XIX, 391-392 aujtivka d j e[gnw-oujlhvn , subito riconobbe la cicatrice
[3] P. Citati, La mente colorata, p. 272.
[4] J. Kott, Mangiare Dio, p. 120. 
[5] Gli ultimi due versi citati si ritrovano parodiati nei Cavalieri di Aristofane (del 424 a. C.) dove Paflagone, cedendo la corona, simbolo del potere, al salsicciaio che lo ha battuto nella volgarità e nell'impudenza dice: "Ti lascio: un altro ti avrà dopo averti presa, / ladro non più di me, ma forse più fortunato" (vv. 1251-1252).
[6] J. Kott in Mangiare dio (p.120) afferma che"nella casa di Alcesti e di Admeto come nel loro dramma, è il letto il mobile più importante". Una spiegazione di questa mania del letto, la dà Medea  ai vv.265-266: "oJvtan d& ej" eujnh;n hjdikhmevnh kurh'/-oujk e[stin a[llh frh;n miaifonwtevra", ma quando subisce ingiustizia nel letto non c'è altra mente più micidiale (di quella della donna).
[7] Ecco alcuni versi del racconto del messo sulla fine di Giocasta: “Quando infatti, trovandosi in uno stato d'animo sconvolto, entrò / nell'atrio, correva subito verso i letti / nuziali, strappandosi la chioma con ambedue le mani. / E quando fu entrata, sbattuta e chiusa la porta da dentro / invocava Laio morto già da tempo / con il ricordo degli antichi orgasmi, per i quali-egli doveva morire, e lasciare la genitrice / ai suoi figli, per mettere al mondo dei mostri. / E deprecava il letto dove, disgraziata,  dei doppioni / aveva generato: dal marito il marito, e i figli dai figli”, Edipo re, VV. 1241-1250. ndr.: tutte le traduzioni sono mie.
[8] Nelle Trachinie di Sofocle, c'è una presenza quasi ossessiva del talamo nuziale: "ejxaivfnh" sf& oJrw' to;n JHravkleion qavlamon eijsormwmevnhn", subito la vedo lanciarsi sul talamo di Eracle (vv.912-913); "oJrw' de; th;n gunai'ka demnivoi" toi'" JHrakleivoi"", vedo la donna nel letto di Eracle... (v.915-916); "kaqevzetj ejn mevsoisin eujnathrivoi"", sedeva in mezzo al letto coniugale (v.918); "w\ levch te kai; numfei'& ejmav", o letto e mia stanza nuziale(v.920). ndr
[9] Cfr. Sofocle, Trachinie, 918-22, Edipo re, 1242-3, 1249; Euripide, Alcesti, 175, 177, 183, 186-8, 249.
[10] N. Loraux, Come uccidere tragicamente una donna, p. 26.
[11] Il termine levco"  è formato sulla radice lec-/loc- che si trova sia  in levcomai "sono a letto" sia in lovco", "agguato", "imboscata". Anche levktron (da *lec-tron) si forma sulla medesima radice. In latino abbiamo lectus, in tedesco Liegen, in inglese to lie, "giacere". Moglie è a[loco" formato da aj- copulativo + levco" . C'è dunque una parentela etimologica  tra il letto, la moglie, e l'agguato.
[12] aoristo di rJevzw.  
[13] "La donna ama credere che l'amore possa tutto, ed è questa la sua caratteristica superstizione" F. Nietzsche, Di là dal bene e dal male , p. 200.
[14] Vedremo che nell'Alcesti e nella Medea il letto è il mobile più importante della casa.
[15] Vengono ricordate nell'aria cantata dal Figaro di Mozart-Da Ponte nell'ottava scena del quarto atto: "Aprite un po' quegli occhi uomini incauti e sciocchi, guardate queste femmine, guardate cosa son. Queste chiamate Dèe dagli ingannati sensi a cui tributa incensi la debole ragion, son streghe che incantano per farci penar,Sirene[15] che cantano per farci affogar" (Le nozze di Figaro del 1786).
[16] Giovenale VI, 284-285.
[17] J. Joyce, Ulisse, p. 139.
[18] Composto tra il 1590 e il 1592.
[19] Mimnermo doveva essere contemporaneo di Solone che fiorì nei primi anni del sesto secolo; secondo altre notizie invece sarebbe vissuto nel VII. In effetti sappiamo poco della sua vita, sulla quale abbiamo dati incerti e contraddittori, a cominciare dalla città dove nacque: Smirne o Colofone. Comunque una colonia della costa asiatica, una città di cultura ionica. Ionico è infatti il dialetto delle elegie di Mimnermo. La sua fama è fondata soprattutto sui versi d'amore, tanto che Properzio gli dà la palma della poesia amorosa: "Plus in amore valet Mimnermi versus Homero: / carmina mansuetus lenia quaerit Amor" (I, 9, 11-12), in amore vale più un verso di Mimnermo, di Omero; / Amore è  mite e vuole versi teneri.
[20] C. Calame, I Greci e l'eros, pp. 21 e 26.
[21] Le sorelle Rondoli , in Racconti d'amore, p. 256.
[22] S. Màrai, La donna giusta, p. 234.

1 commento:

  1. bello,,,anche per me e Stefano il letto è un luogo di tante cose diverse e anche segrete.Ciao Giovanna

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