giovedì 5 settembre 2013

Eros e Paideia

Al teatro di Epidauro con alcuni miei ex studenti,
oggi quarantenni: un'amicizia nata a scuola,
che prosegue nei nostri viaggi in bici


Ho insegnato dal 1975 al 2010 nei licei classici di Bologna e mi sento in dovere, quasi in obbligo di intervenire sul caso di professore di Saluzzo tenuto agli arresti domiciliari per avere avuto rapporti sessuali con due allieve.
Entro subito in medias res e, invece di spargere fumo o soffriggere aria già fritta come stanno facendo molti che sull’argomento biascicano luoghi comuni, cercherò di chiarire le idee, prima di tutto le mie, sull’argomento.
Dunque ad eventum festīno, mi affretto ad anticipare la conclusione che è: non è elegante, non è erotico, non è lecito fare sesso con persone sulle quali si esercita del potere. Non quello di una promozione, e nemmeno quello dei soldi. Chiunque vada a letto con una donna o con un uomo pagando la prestazione in termini di denaro o di carriera, non è una persona erotica ma un individuo che mercifica il sesso. Se l’oggetto sessuale poi è una o un minorenne, la circostanza è parecchio aggravante. Se è un minorenne affidato all’educazione di un maggiorenne che se ne approfitta per soddisfare le sue voglie, l’aggravante, giuridica e morale, è doppia. Su questo siamo d’accordo più o meno tutti.
Non mi si venga però a dire che il docente non debba avere niente di bello, non debba possedere alcuna forma di fascino, o, se ce l’ha, che debba tenerlo nascosto, che non debba fare niente per piacere al discente, che nell’insegnare non possa mettere il meglio di se stesso, che debba insomma celare il suo carisma sotto uno straccio unto e bisunto, con una maschera inespressiva, con parole insignificanti. Ma siamo matti? La bellezza, la simpatia sprigionate da un uomo o da una donna sarebbero cose cattive, di cui vergognarsi? Si vergognino e si nascondano quelli che non sanno nemmeno che cosa è la kalokajgaqiva.
I maestri, i professori, con i genitori contribuiscono a costruire i nostri modelli, o contromodelli, fondanti per tutta la vita, e devono dare esempi. Questi, se sono efficaci, colpiscono la sfera emotiva che, toccata, sprigiona energia. Credo che tante esistenze di ragazzi che si sono ammazzati o sono naufragati nella droga, nell’alcol, nella bulimia o nell’anoressia, si sarebbero potute salvare grazie a bravi maestri capaci di dare esempi salvifici.
Allora, come deve essere il maestro bravo?
Prima di tutto preparato, molto ben preparato nella disciplina che insegna. Se è ancora troppo giovane per possedere la materia, per averne un’ampia visione d’insieme, deve dare l’esempio ai suoi discepoli studiando con impegno diurno e impegno notturno i testi sui quali sceglie di fare lezione. Quando cominciai a insegnare greco e latino in una terza liceo classico del Rambaldi di Imola nell’autunno del 1975, dopo cinque anni di insegnamento di altre materie alle scuole medie, e un altro anno in un isituto professionale, gli allievi più bravi di quel liceo classico di provincia, conoscevano le letterature antiche meglio di me. Quando feci le prime lezioni, ignaro anche di un metodo di insegnamento, alcuni leggevano il giornale. Io traducevo l’Edipo re di Sofocle e snocciolavo i paradigmi verbali, poiché non sapevo fare altro. Loro, giustamente, leggevano il giornale. Mi sentivo umiliato e mi ammazzai di studio per cambiare la situazione. Avevo trent’anni ma rinunciai per tanto tempo a ogni attività che non fosse lo studio.
Quei ragazzi si accorsero presto che ce la mettevo tutta, che studiavo in continuazione, con abnegazione totale, e cominciarono ad ascoltarmi, se non altro per simpatia, o per compassione. Un poco alla volta, a mano a mano che la mia competenza aumentava, l’attenzione crebbe, e alla fine dell’anno scolastico prendevano appunti dalle mie lezioni.
In maggio, ricordo, ero stremato di studio ma avevo acquistato la loro attenzione, la loro stima e il rispetto di me stesso. “Ce l’ho fatta - mi dissi con le lacrime agli occhi l’ultimo giorno di scuola - ce l’ho fatta!”
Da allora non ho più smesso di studiare per gran parte del giorno, tutti i giorni più o meno. Avevo trovato la mia identità di studioso e di educatore.
Sono grato a quelle ragazze e a quei ragazzi. Ci siamo educati a vicenda. Ne ricordo alcuni nomi: Gioiellieri, Mezzetti, la Pedrini, l’Antonellini. Grazie a loro, ero diventato uno dei professori bravi, da ascoltare. All’epoca ce ne erano altri nella scuola italiana .
Che cosa voglio dire? Che molti, troppi insegnanti oggi sono poco preparati, o distratti, e un docente serio, capace, appassionato del suo lavoro, aperto al dialogo, è un prodigio che suscita amore nei suoi allievi. E non può che contraccambiarlo.
Socrate era libertino: da Liside a Fedro, i suoi amori per i ragazzi sono stati innumerevoli. Anzi, chi ama i ragazzi, non può che amare tutti i ragazzi (ed è questa, appunto, la ragione della sua vocazione pedagogica”, ha scritto Pasolini nei suoi Scritti corsari (p. 258)
Certo, non deve portarseli a letto.

Digressione sul Socrate di Platone.
Socrate non era libertino, anzi raccomandava di tenere a freno il cavallo nero che rappresenta l’istinto, la parte concupiscibile (ejpiqumhtikovn1) dell’anima, di mantenerla sotto il controllo dello qumoeidev~, la parte irascibile alleata con la razionalità il logistikovn, l’auriga che deve guidare il carro2.
Nell'ultima parte del Simposio di Platone, arriva Alcibiade che fa un panegirico di Socrate (212 c 4-222 b 7). Il giovane mette l’accento sulla capacità deduttiva di Socrate: lo paragona ai Sileni esposti nelle botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto che all'interno contengono l'immagine del dio; inoltre lo assimila a Marsia: come il satiro incantava con i flauti, così Socrate, l'uomo erotico, affascina con le nude parole. Queste del resto avevano messo il dandy sotto accusa: mi costringono ad ammettere, confessa Alcibaide, che, pur avendo molte mancanze, trascuro me stesso e mi occupo invece delle cose degli Ateniesi (ejmautou' me;n ajmelw', ta; d' JAqhnaivwn pravttw, 216 a). Perciò fuggo da lui, come dalle Sirene, con le orecchie turate. Socrate non si cura né della bellezza del corpo né della ricchezza. Alcibiade che era un uomo di successo, bellissimo e molto corteggiato cercò di sedurre Socrate senza riuscirvi. Lo invitò a cena proprio come un amante che insidia l'amato. La prima volta la preda presunta andò via subito dopo avere cenato, ma la seconda rimase a riposare in un letto vicino a quello del corteggiatore il quale era stato colpito e morso dai suoi discorsi di filosofia che si attaccano più selvaggiamente di una vipera (oi} e[contai ejcivdnh" ajgriwvteron, 218 a). Alcibiade dunque offrì con garbo i suoi favori a Socrate il quale rispose com'è sua abitudine mavla eijrwnikw'" , molto ironicamente che lo scambio propostogli era troppo impari :" tu infatti-disse-cerchi di procurarti, invece dell'apparenza, la verità del bello e davvero pensi di scambiare armi d'oro con quelle di bronzo3 (218 e). Sicchè Socrate, disprezzò, derise e oltraggiò la bellezza dell'uomo più avvenente e corteggiato di Atene. Alcibiade continuò ad ammirarlo lo stesso per le sue qualità e capacità straordinarie: l'uomo davvero demoniaco e meraviglioso era più invulnerabile alla ricchezza che Aiace alla spada, aveva una straordinaria capacità di sopportare fame, freddo e fatiche, ma sapeva anche godere fino in fondo nelle feste e poteva bere senza ubriacarsi.

Due parole sul Socrate di NietzscheNemmeno il Socrate di Nietzsche era un libertino: in Ecce homo4 il filosofo ne rivendica al suo pensiero due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita!”5.
L’ amore dunque non comporta sempre l’atto sessuale. Amare una persona significa potenziarne la vita. Lo studio, l’apprendimento è uno dei principali fattori di accrescimento della nostra vita, pur -troppo beve.
Sono dell’idea che se il professore non piace, non riesce simpatico, non entra in sintonia di sentimenti con i suoi allievi, non suscita la loro ammirazione, questi non apprendono bene quanto lui insegna.
Quindi, essere preparato è necessario ma non sufficiente.
Tutto il comportamento, perfino l’aspetto dell’insegnante è emblematico per il ragazzo che scruta le mosse, la postura del corpo, il colorito, l’abbigliamento del professore e ci riflette, e ne parla, e lo ricorda per tutta la vita. Frequento la scuola dal primo di ottobre del 1950, quando, a 5 anni, dieci mesi e sedici giorni, una delle mie tre zie maestre, la Rina, mi portò nella prima elementare di un suo collega alle Carducci di Pesaro. Poi le medie Lucio Accio, poi il liceo Terenzio Mariani, sempre di Pesaro, poi l’Università qui a Bologna. Quindi decenni di insegnamento: dalle medie, all’istituto professionale, ai Licei Rambaldi, Minghetti, Galvani, alla SSIS di Bologna e Bressanone, alla TAF di Urbino. Di tutto. La cosa migliore che potevo fare, la più bella del mondo per me. Ho respirato scuola per tutta la vita e lo faccio ancora, e ne sono felice. Spero di morire, il più tardi possibile, facendo lezione. Questo è un altro aspetto del bravo docente, come del bravo muratore o del bravo regista: che sia contento del suo lavoro, che lo ami. Solo così può farlo bene.
maestro e discepolo, bassorilievo greco
Ho scritto sopra che conta anche l’aspetto e perfino l’abbigliamento. Questi infatti sono parte dello stile della persona. Dopo avere parlato tanto, fin troppo, di me, sentiamo altri pareri.
Sto leggendo un bel libro dal quale ricavo una autorizzazione al mio autobiografismo talora forse invadente.
Se sono andata troppo dentro la mia vita, il lettore mi perdoni, è l’autobiografismo dei pedagogisti che amano i libri come le Confessioni di Rousseau, e trovano molto nobili le ragioni di Montaigne che dichiara di scrivere per dar modo ai suoi parenti di conoscerlo meglio”6.
Ora , nel riferire altri autori, mi avvalgo per giunta di un breve capitolo della mia metodologia, il discorso sul metodo dell’insegnamento dei classici che ho elaborato in dieci anni di SSIS dell’Università di Bologna dove ho tenuto un laboratorio di didattica della letteratura greca dal 2000 al 2009. Per questa autocitazione utilizzo un altro colore.  

Cap. 30. Anche l’aspetto di noi insegnanti trasmette significati. Il giovane Törless e Hanno Buddenbrook, le Nuvole di Aristofane
Il significato dei nostri studi, del nostro studiare, deve restare impresso persino nell'aspetto di noi insegnanti se non vogliamo essere rifiutati, quindi rimanere inascoltati e disprezzati dagli studenti. A tale proposito sentiamo Musil il cui Törless spinto “da una curiosità un po’ diffidente” va a trovare il giovane professore di matematica. Il suo “scopo principale non era tanto di ottenere chiarimenti-segretamente già ne dubitava- quanto i poter gettare uno sguardo, per così dire, al di là del maestro e del suo quotidiano concubinato con la matematica…Senza volerlo Törless si sentì ancora più ributtato dalle proprie osservazioni; non riusciva più a sperare che quell'uomo fosse davvero in possesso di una conoscenza significativa, giacché non se ne vedeva traccia nella sua persona né nel suo ambiente. Ben diversa si era figurata la stanza di un matematico, in qualche modo espressiva dei pensieri terribili che vi prendevano forma. Il triviale lo offendeva: lo estese alla matematica e il suo rispetto cedette il posto a una diffidenza riluttante7".
Sentiamo anche le impressioni del giovinetto Hanno Buddenbrook di T. Mann: "I maestri supplenti o tirocinanti che lo istruivano in quelle prime classi, dei quali sentiva l'inferiorità sociale, la depressione spirituale e la poca cura dell'esteriorità fisica, gli ispiravano, oltre il timore della punizione, un segreto disprezzo"8.
Tonio Kröger si sentiva diverso dai bravi scolari e di solida mediocrità, ("Die guten Schüler und die von solider Mittelmäbigkeit"), quelli che non trovano ridicoli gli insegnanti ("Sie finden die Lehrer nicht komisch")9.
Perfino il colorito del volto dell’insegnante significa qualche cosa per il ragazzo che rifiuta l’umbraticus doctor.
Petronio contrappone tale erudito deleterio ai grandi tragici la cui pagina aveva il sapore della vita: "cum Sophocles aut Euripides invenerunt10 verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat"11 quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni.

Il maestro pallido, ossia tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche fisica nel giovane discepolo.
Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano: "aijboi', ponhroiv g' oi\da. tou;" ajlazovna"-tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (Aristofane, Nuvole, vv. 102-103), puah! Quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Aristofane fa dire a Strepsiade che nessuno degli uomini del pensatoio di Socrate per economia si è mai fatto tagliare i capelli o si è unto il corpo o è andato nel bagno a lavarsi: "oujd j eij" balanei'on h\lqe lousovmeno"" (Nuvole12 , v. 837). Il Coro degli Uccelli 13più specificamente qualifica Socrate come a[louto" (v. 1553), non lavato.

Il discepolo ama il maestro che gli fa vivere la scuola non come una caserma dove lui esercita il caporalato dell’intelligenza, bensì come un locus amoenus dove le sue capacità vengono individuate e potenziate.
E il maestro non può non amare il discepolo che lo stimola con la sua attenzione, con le sue domande.
Questo tipo di amore reciproco, l’amore che incoraggia e incentiva la vita è un bene, un grande bene. Guai se non c’è.
Male, un male enorme è lo sfruttamento, l’uso, l’imposizione del potere con il fine della strumentalizzazione, sessuale, intellettuale, o di qualsiasi altro genere.
Sarebbe auspicabile una educazione alla sessualità, una paideia capace di spiegare i tanti significati di Eros. Ma per oggi basta.
La prossima volta scriverò contro un altro male enorme che affligge l’umanità da sempre e ora ci minaccia molto da vicino: quello della guerra.
Lo ha già fatto papa Francesco mettendo il suo fascino, il suo carisma, tutta la sua bella persona al servizio della vita e della pace.
Ha fatto molto bene, e, si parva licet componere magnis14, se si possono paragonare le cose piccole con le grandi, ci proverò anche io.

Giovanni Ghiselli

P. S.
Incollo e copio alcuni commenti che sono arrivati sul mio blog dove ho messo questo pezzo. Due di questi, Monica e Stefano sono miei ex alunni cui facevo scuola negli anni Ottanta. Sono ancora miei allievi. Vi saluto e vi ringrazio, ragazzi.

Stefano Mannacio Sottoscrivo le tue parole in toto nella piena convinzione che mi ritengo fortunato, anzi fortunatissimo, ad avere avuto te come insegnante e maestro.

Marina Pisante sono assolutamente in sintonia con lei.

Alberto Monti Le affermazioni di Ghiselli sono molto opportune e andrebbero meditate anche tra i “ non addetti “.
Ho l’impressione che gli insegnanti, più che una casta ostile al cambiamento, siano oggi una categoria di persone che occupa una trincea abbandonata.

Monica Bresciani Un insegnante come te merita rispetto poichè, a parte l'alto livello culturale, fa sentire i suoi alunni degni di essere stimati ,sa potenziare le loro capacità anzichè sminuirle come fanno tanti docenti assolutamenti privi di empatia e professionalità.

Mauro Conti Bravo Gianni, e grazie

Simone Salandra Gianni complimenti,sempre esaustivo e preciso
circa un'ora fa


Il blog
è arrivato a 92790, 219 giorni dopo che è stato aperto. A centomila festeggerò.


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1 Nel Fedro di Platone l’appetitus è raffigurato nel cavallo nero che è brutto: skoliov~, storto, poluv~, grosso, eijkh'/ sumpeforhmevno~, ammassato a casaccio, kraterauvchn, di collo grosso, bracutravchlo~, dal collo corto, simoprovswpo~, dal muso schiacciato, melavgcrw~, di pelo nero, glaukovmmato~, dagli occhi chiari (grigio-azzurri), u{faimo~, sanguigno, u{brew~ kai; ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno della prepotenza e della iattanza, peri; w\ta lavsio~ , villoso intorno alle orecchie, kwfov~, ottuso, mavstigi meta; kevntrwn movgi~ uJpeivkwn, una bestia che a stento si assoggetta a una frusta con pungoli (253 E).
2 Nel Fedro, Platone racconta che l’anima umana consta di tre parti ed è assimilabile alla potenza connaturata di una biga alata e di un cocchiere (246A) : l’uriga deve guidare un cavallo buono, di colore bianco, ben fatto, amante di gloria e di temperanza; e un cavallo nero, contorto massiccio, messo insieme a casaccio (eijkh`/,), amico della protervia e dell’impostura 253e. Il bianco è obbediente all’auriga (oJ me;n eujpeiqh;~ tw`/ hJnivovcw/, 254a) ed è tenuto a freno dal pudore e si trattiene dal balzare addosso all’amato. L’altro invece si porta avanti skirtw`n de; biva/ , balzando con violenza. L’auriga e il bianco vengono trascinati e si sentono costretti a cose vergognose e inique. Giunti vicino all’amato, l’auriga ricorda la natura del Bello e lo vede collocato con la Temperanza (meta; swfrosuvnh~, 254b) su un piedistallo immacolato. Sicché l’auriga tira indietro le redini e i due cavalli devono piegarsi sulle cosce; il riottoso contro la sua volontà. Quando riprende fiato, il cavallo nero lancia insulti con ira (ejloidovrhsen ojrgh`/, 254c) contro l’auriga e il compagno accusandoli di viltà e debolezza. Quindi riprende a tirare (met j ajnaideiva~ e{lkei (254d), trascina con impudenza. Ma l’auriga tira indietro il freno dai denti del cavallo protervo con maggior forza e insanguina la lingua maldicente e le mascelle e gli fa piegare a terra le cosce. Dopo che questa mossa si è ripetuta più volte il malvagio fa cessare la sua protervia, umiliato dalla previdenza dell’auriga, e quando vede il bello si sente venir meno per la paura: kai; o{tan i[dh to;n kalovn, fovbw/ diovllutai (254e).
3 Come riuscì a fare Diomede con Glauco, accecato da Zeus, nel VI dell'Iliade (vv. 234-236)
4 Del 1888.
5 F. Nietzsche, Ecce homo, La nascita della tragedia, p. 49.
6 Grazia Gotti, A scuola con i libri, Avventure di una libraia maestra, BUR ragazzi, Milano, 2013, p. 94
7 R. Musil, I turbamenti del giovane Törless, (del 1906) pp. 110- 111.
8 T. Mann, I Buddenbrook (del 1901), p. 330.
9 Tonio Kröger, p. 74.
10 Invenerunt e il successivo deberent significano da una parte inventiva e fantasia, dall'altra la non meno necessaria disciplina che più avanti infatti viene rimpianta.
11Satyricon, 2.
12 Del 423 a. C.
13 Del 414 a. C.
14 Virgilio, Georgica IV, 176.

1 commento:

  1. Carissimo Gianni, sono pienamente d'accordo: infatti è grazie al modello che ho visto in te che ho scelto di fare l'insegnante di greco e latino, spero non indegnamente, e di condividere (e continuare a farlo) i nostri viaggi in bicicletta.
    Con affetto e stima
    alessandro

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