sabato 21 settembre 2013

A scuola con i libri. Avventure di una libraia-maestra






Presento il libro di Grazia Gotti
A scuola con i libri. Avventure di una libraia-maestra 
BUR ragazzi, Milano, 2011

Ho scelto alcune frasi chiave di questo libro per commentarle con la mia sensibilità e con la mente che ho formato attraverso "una lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle antique"[1].
“Dieci righe di un classico possono contenere perle di saggezza e ragionamenti spesso più profondi di quelli contenuti nel parlare corrente” (p. 22)
Credo che l’oblio dei classici apra la strada alla barbarie: conoscere gli auctores, gli accrescitori della nostra tradizione significa “amare il bello con semplicità e la cultura senza mollezza”.
Può essere vero quello che afferma Pound[2]: "Beauty is difficult", la bellezza  è difficile[3], ma c'è un mezzo per rendere pervie le vie erte e arte che ci portano alla vetta del Bello: questo va coniugato con  la semplicità, come dice in sintesi il  Pericle di Tucidide: "filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[4] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Sentiamo anche Leopardi che elogia la semplicità e condanna l’affettazione, la quale ne è l’antitesi: “La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto ama il semplice… La semplicità è bella perché spessissimo non è altro che naturalezza; cioè si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è naturale, non affettata, non artifiziata, semplice in quanto agli uomini, non a se stessa, e alla natura”[5].

Sulla bellezza trovo un’affermazione aurea nel libro di Grazia Gotti “La bellezza aiuta a guarire” (p. 24).
La bellezza infatti comprende la integritas e può aiutarci a recuperarla se l’abbiamo smarrita: "San Tommaso dice: “Ad pulchritudinem tria requiruntur: integritas, consonantia, claritas"[6].
Sentiamo anche Federico  Fellini: "Il bello sarebbe meno ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che dà un'emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione dal carcere culturale"[7].

“Vola alto, fai ciò che ti piace” mi sono detta, “il tuo piacere ti contagerà” (p. 59).
Assimilo questo aureo suggerimento della Gotti al “diventa quello che sei di Pindaro”[8].

“Purtroppo i giovani d’oggi forse per via della televisione e del computer non sono più capaci di imparare nulla a memoria, hanno abbandonato Mnemosyne, la madre di tutte le arti”. (p. 66).
La Memoria è figlia del Cielo e della Terra[9] ed è pure quanto rimane del cammino percorso durante la vita terrena, breve ma prolungabile con la grazia di Mnhmosuvnh.
Chi non ha la memoria che mantiene i ricordi è come il cane rabbioso, legato e invecchiato male alla catena dell’istante.
Dal libro di Grazia posso ricavare nessi con i miei autori classici, ponti per risalire a loro, infatti questa libraia-maestra è desiderosa e capace di tali collegamenti. Sentiamola:“mi ero affezionata alla possibilità di mettere in coppia due maestri, uno classico e uno contemporaneo. Per cominciare Michelangelo e Domenico Gnoli, Mantegna e Renato Guttuso. Avevo pensato di accostare al lavoro dei pittori la voce di giovani scrittori capaci di dare forma a racconti che  alzassero il tono a volte sciatto di certa divulgazione. Senza giungere a Roberto Longhi mi interessava sperimentare. Purtroppo gli eredi Gnoli approvarono il testo ma non la grafica e il libro si fermò. La collana continuò perdendo il gioco- antico moderno che tanto mi stava a cuore”(p. 116)
Questo gioco, come sanno i miei lettori, sta molto a cuore pure a me.
Ho cominciato a farlo molto prima che fosse di moda, e, insegnando greco e latino, ho trovato forte opposizione in alcuni presunti, sedicenti filologi dei due licei cittadini, in realtà delle talpe semicieche, felici di trovare un verme quando scavano.
Ero molto isolato e avversato in questo lavoro negli anni Settanta, poi, quando è diventato di moda, ho vinto un concorso e sono entrato in più di una Università.
La Gotti più avanti cita Agostino: “E gli uomini vanno ad ammirare gli alti monti, i vasti flutti del mare e le grandissime correnti dei fiumi e i movimenti dell’Oceano e le orbite delle stelle, e trascurano se stessi (Confessioni, X,8, 15). Oggi mi verrebbe da ribaltare Agostino: non studiando, non leggendo, non pensando, gli uomini di oggi trascurano se stessi” (p. 121).
Et  relinquunt se ipsos. Sono parole che dovremmo ricordare e spiegare ai nostri alunni.
Un esempio greco di questa accusa  di ajmevleia si trova nell’ultima parte del Simposio platonico, quando Alcibiade dice: “le parole di Socrate mi costringono ad ammettere che, pur avendo io molte carenze, trascuro me stesso e mi occupo invece delle cose degli Ateniesi” (ejmautou' me;n ajmelw', ta; d'  JAqhnaivwn pravttw (216 a).
Occuparsi delle cose, farle perché le fanno i più,  dare troppa importanza alla reputazione, sono difetti comuni non solo a tutte, o a quasi tutte le scimmie, ma anche a tanta parte degli uomini e delle donne
Sentiamo anche Seneca che traduce Epicuro: “si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opiniones, numquam eris dives” (ep. 16, 7), se vivrai secondo la natura, non sarai mai povero, se secondo i luoghi comuni, non sarai mai ricco.
Infine Oscar Wilde: “La morale moderna consiste nell’accettare i luoghi comuni della nostra epoca, ed io credo che per un uomo colto l’accettare i luoghi comuni della propria epoca sia la più rozza forma di immoralità”[10].

Sentiamo ora una critica alla cultura di questa nostra città dove pure le offerte culturali non mancano, anzi alcune le offriamo noi stessi:“Noi ci siamo chiusi, per timore e per ignoranza, non solo nelle roccaforti leghiste, nelle leggi Bossi-Fini ma anche nella dotta e democratica Bologna, dove non siamo stati capaci di cogliere le straordinarie potenzialità di un dialogo nuovo fra le culture, il vero segno di speranza per il futuro dei nostri ragazzi” (p. 133).
Io ho imparato da Erodoto il rispetto di tutte le culture, anzi l’interesse per le civiltà, e le persone, anche le più stravaganti.
Secondo lo storiografo di Alicarnasso, ha torto in modo assoluto   Cambise " pantach'/ w\n moi dh'lav ejsti o{ti   ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh""( III 38) da ogni punto di vista dunque per me è evidente che  molto matto era Cambise[11]; altrimenti non si sarebbe messo a schernire religioni e costumi. Non solo: arrivava a bruciare  le immagini dei santuari (III, 37, 3).
Recentemente nella nostra televisione si sono viste donne biasimate, o derise, o vituperate, per il fatto che portano il burka con orgoglio.   
 Del relativismo culturale Erodoto è stato maestro.
 Apollonio Rodio nelle Argonautiche  registra le singolarità di un mondo altro, di culture diverse: i Colchi per esempio depongono sottoterra i cadaveri delle donne, ma appendono agli alberi quelli degli uomini; in tal modo l'aria ha parte uguale alla terra (III, 207-210).
Nella letteratura latina troviamo un’affermazione di relativismo culturale  in Cornelio Nepote il quale nel Proemio al Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium  afferma che dalla sua opera si può imparare: "non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari " (Praefatio, 3), che non sono uguali per tutti gli atti onorevoli e turpi e che tutte le azioni vanno giudicate secondo le tradizioni degli antenati.
Quando i lettori del  liber avranno appreso questo, non si meraviglieranno che l’autore nel trattare le virtù dei Greci, ha seguito le loro usanze. “Neque enim Cimoni fuit turpe, Atheniensium summo viro, sororem germanam habere in matrimonio, quippe cum cives eius eodem uterentur instituto” (4), né di fatto fu vergognoso per Cimone, grandissimo tra gli Ateniesi, avere in moglie la sorella nata dallo stesso padre[12].

Ma veniamo a un’altra affermazione della Gotti che condivido in pieno “Renderei obbligatoria la storia” (p. 146).
La storia allarga e allunga le prospettive e nello stesso  tempo aiuta l’accrescimento della nostra umanità. La maturità delle persone non può prescindere dalla conoscenza della storia.
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone nell'Orator[13]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Vediamo qualche altra preferenza culturale della Gotti “Fotocopierei qualche carattere di Teofrasto” (p. 147)
A Teofrasto (370-285 a. C.), che fu  il successore di Aristotele nella direzione della scuola peripatetica,  io aggiungerei Menandro (342-292 a.   C.) che fu suo discepolo.
e ricavò dal maestro, oltre una una buona preparazione filosofica, alcuni suggerimenti dai Caratteri, trenta schizzi di tipi umani, ciascuno con una inclinazione predominante: la rusticità, l'adulazione, la superstizione, la diffidenza. Ho menzionato questi quattro titoli non a caso ma  perché corrispondono ad altrettanti protagonisti eponimi di commedie di Menandro.
Altre figure  per i quali la Gotti dichiara un forte interesse sono Archimede, Pitagora,   Socrate (147).
Socrate mi ha insegnato prima di tutto che la vita senza indagine e apprendimento, non è vita umana. Nell’Apologia scritta da Platone, l’anziano filosofo afferma che una vita senza ricerca non è vivibile per l’uomo: “oJ de;  ajnexevtasto~ bivo~ ouj biwto;~ ajnqrwvpw/” (38a).-
Poi tante altre cose mi ha insegnato.
“Poi attenzione all’epica e alla mitologia. I bellissimi titoli usciti nel corso del 2012, l’Iliade illustrata da Giovanni Manna, l’Ulisse illustrato da Yvan Pommaux, e la raccolta di racconti mitologici di Roberto Piumini sono bastevoli per i prossimi vent’anni” ( A scuola con i libri, p. 147)
Nel prossimo autunno, tutti i mercoledì dal 9 ottobre all’11 dicembre, terrò un corso sulla letteratura greca all’Università dell’età libera di Pesaro, e partirò dai poemi omerici dando particolare rilievo alla figura di Odisseo.
Concludo la presentazione di A scuola con i libri  riferendo le parole dell’autrice che raccomandano la lettura e incoraggiano i giovani novizi del nostro mestiere: “Herman Hesse, nella raccolta di scritti Una biblioteca della letteratura universale, definiva la lettura un talismano, e poneva una domanda che ancora non ha trovato risposta. Se ogni anno milioni di bambini entrano in contatto con l’alfabeto, imparano a leggere, sono toccati dal talismano, perché così pochi ne fanno uso? Per trovare risposte dovremmo cominciare tutto da capo. Inventarci una Pedagogia della lettura che da Collodi passi per Gian Burrasca. E via via continuare il cammino con la consapevolezza che il lavoro riguarda con urgenza le maestre e i maestri della scuola di oggi. A loro va un augurio e una esortazione. L’augurio di poter insegnare il più a lungo possibile, di godere di  un mestiere fra i più umani che a un umano sia dato concedere” (p. 163).
E’ una mia ferma convinzione. Ho dedicato la vita all’insegnamento e non ne sono pentito. Lo faccio ancora e continuerò a farlo finché ne avrò forze bastanti. Non credo che sopravviverò all’impossibilità di insegnare educando. Me stesso e chi mi ascolta, o mi legge come voi oggi.

Giovanni Ghiselli

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[1] N. Machiavelli, Il Principe (del 1513), Dedica al Magnifico Lorenzo De' Medici.
[2] 1885-1972.
[3] Del resto esserne esclusi significa soffrirne la mancanza: "For I am homesick after mine own kind / And ordinary people touch me not / And I am homesick / after mine own kind that know, and feel / And have some breath for beauty and the arts", ho nostalgia di gente del mio stampo e la gente dozzinale non mi tocca. Ho nostalgia di gente del mio stampo che conosce e sente e respira il bello e l'arte (E. Pound, Prigioniero, da Personae del 1907).  
[4] eujtevleia è frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi. Augusto  dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides (  Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi. Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo”, G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11. Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire,  ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando  a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
[5] Zibaldone, 1411-1412.
[6] J. Joyce, Dedalus, p. 258.
[7] F. Fellini, Intervista sul cinema, a cura di G. Grazzini, p. 114.
[8] gevnoio oi|o~ ejssiv (Pitica II  v. 72)
[9] Esiodo, Teogonia, 135.
[10] Il ritratto di Dorian Gray, p. 88.
[11] Re persiano succeduto a Ciro, il fondatore dell’impero. Cambise conquistò l’Egitto. 
[12] Si chiamava Elpinice (cfr. Vita di Cimone, 1, 2).
[13] Del 46 a. C.

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