NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 30 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XII parte

Combattimento tra Greci e barbari

La comunità umana. Legge razionale e dovere. La moralità nella vita quotidiana

Le leggi umane si nutrono di quella divina, aveva già detto Eraclito.
Al posto della polis subentra la cosmopoli universale la quale ha bisogno di un novmo" che la tenga insieme. Questo è il diritto naturale. Ciò che è necessario (ta; devonta) viene dalla legge morale che è pure razionale. E’ conforme alla nostra natura di uomini anche la buona creanza e ogni sgarbo secondo Panezio è una mancanza contro il kaqh'kon, il dovere (cfr. Cic. Off. I 126 ss.).
Cicerone raccomanda la verecundia della quale la stessa natura è stata specialmente maestra e guida (praesertim natura ipsa magistra et duce”, lasciando nascoste, per esempio, le parti del corpo che non sono specie honesta, di apparenza decente.
I romani identificarono il kaqh'kon con il loro officium.
Gli Stoici non suddividono gli uomini in Greci e barbari. Aristotele considerava ancora il barbaro spiritualmente inferiore e destinato da natura alla schiavitù.
Per gli Stoici schiavo è solo colui che si fa servo dei suoi appetiti, libero è chi conserva la propria autonomia interiore.
Già Alcidamante (fr. 1) nel 366 aveva scritto ejleuqevrou" ajfh'ke pavnta" qeov": oujdevna dou'lon hJ fuvsin pepoivhken riferendosi alla guerra dei Messeni contro Sparta nel Messeniaco. Cfr. la polemica con Isocrate.
La massina a[nqrwpo" ejk fuvsew" dou'lo" oujdeiv" raggiunse la sua efficacia con la Stoà. Tuttavia questi filosofi non pensarono di abolire anche giuridicamente la schiavitù (cfr. Ep. 47 di Seneca).
Epitteto che era nato schiavo voleva che in ogni schiavo vedessimo un fratello. Contro l’egoismo predicato da Epicuro possiamo vedere l’Heautontimoroumenos di Menandro con il v. 77 di Terenzio homo sum: humani nil a me alienum puto. Quell’alienum (ajllovtrion), estraneo, è l’antitesi di oijkei'on, familiare.
E’ stata la Stoà a superare la chiusura nazionalistica dei Greci.
Contro i Pitagorici, dalla comunità degli esseri razionali sono invece esclusi gli animali e gli uomini non hanno obblighi giuridici o morali nei confronti delle bestie. La cosmopoli comprende uomini e dèì. La parola cosmopolita fu coniata da Diogene il cane.
Zenone scrisse una politeia con il quadro di una società ideale che sarebbe esistita in un’età promitiva. Gli uomini vivevano d’accordo guidati dall’unica legge razionale senza leggi scritte né matrimoni né proprietà privata né monete, né tribunali. Uomini e donne uguali, vestiti uguali. Il protettore era Eros che teneva tutti uniti nella concordia, nell’amore, nella libertà.
Di Crisippo gli avversari dicono che avesse giustificato il matrimonio di Edipo con la madre negando il male dell’incesto (cfr. Freud).
Le opinioni convenzionali non hanno sempre la loro ragion d’essere nella natura. Anche a proposito della sepoltura, gli Stoici negavano che il cadavere fosse il morto stesso. Per quanto riguarda il cannibalismo, a volte è l’unico modo per salvare la vita. I rapporti omoseesuali per Zenone e Crisippo erano un ajdiavforon. L’incesto tra un padre e una figlia può giustificarsi se i due devono conservare la specie essendo rimasti solo loro (cfr. Lot e le figlie).
Zenone, come Socrate. dava grande importanza al legame affettivo con gli allievi. Ma senza attrazione sessuale.
Panezio rifiutò la politeia di Zenone e si scagliò contro ogni atteggiamento ispirato al cinismo. Panezio considerava lacostituzione mista come la più giusta e conveniente. Antigono Gonata e Sfero, consigliere di Cleomene III, furono discepoli di Zenone. Propugnavano un tenore di vita semplice: proverbiali furono il piatto di lenticchie di Zenone e la sua vita ascetica. Crisippo trovava giusto che il maestro venisse pagato dagli allievi. Il matrimonio e l’educazione dei figli lo consideravano un dovere, l’adulterio un delitto contro la collettività. Le donne frequentavano piùttosto le lezioni di Epicuro che quelle di Zenone.
Le filosofie di origine anche solo in parte semitica hanno qualcosa di troppo difficile da attuare (cfr. il cristianesimo del vangelo, il marxismo, e Il castello di Barbablù di Gerorge Steiner.)
Gli Stoici diedero grande importanza all’educazione dei bambini e dei fanciulli cui si deve insegnare un senso di responsabilità.
L’amicizia deve comprendere la cavri", la cortesia. Cleante scrisse un Peri; cavrito". L’amicizia quale comunione spirituale è possibile solo tra i saggi. hJ filiva sumfwniva kai; oJmovnoia.
L’amicizia vera è del tutto disinteressata: la relazione determinata dall’utile”negotiatio est, non amicitia” (Seneca, Ep. 9 - 10), è uno scambio commerciale, non amicizia.

Le malattie dell’anima e la loro cura 284
pavqo" è ogni processo psichico provocato dall’esterno. Può essere anche una alterazione negativa e noi possiamo rimanere “affetti” dalle cose. Epicuro chiamava taracaiv i turbamenti psichici
Per Zenone le affezioni rappresentano un grave pericolo contro l’autodeterminazione del logos. L’istino che eccede la misura pleonavzousa oJrmhv si trasforma nel pavqo" dove il logo" rinuncia alla sua libertà. Ne consegue un movimento sfrenato dell’anima che Zenone paragona al volo convulso di un uccello in preda allo spavento (ptoiva, ptoevw, io spavento).
L’anima è materiale e noi proviamo dolore nell’anima anche per un’offesa recata al corpo. Crisippo pensa che il pathos sia un logos sfrenato in seguito a un giudizio perverso.
Cfr. l’Estetica di Hegel: il pathos come elmento della ragione nella tragedia.
L’ira, il timore e simili emozioni sono giudizi cattivi.
Seneca considera l’ira una specie di pazzia, sia pure di breve durata,

L’eccitazione passionale è un uscire fuori da se stessi, un’e[kstasi" (ejxivstamai). L’affezione è allontanamento da logos. Questo allontanamento può essere una decisione cosciente, come nella Medea di Euripide:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" (vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice la madre furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
Il pathos per Zenone è un movimento innaturale dell’anima. Il logos si altera. La vera causa del pathos è l’a[gnoia, l’ignoranza del destino dell’uomo. Allora interviene l’ajkolasiva, la sfrenatezza che Cicerone traduce intemperantia. Questa è dovuta alla ajtoniva, la mancanza di tensione del pneu'ma psichico. Allora cediamo al pathos. Un particolare grado di debolezza è l’ajrrwvsthma, l’ illanguidimento (cfr.a[rrwsto", debole, formato con l’aj - privativo e rJwvnnumi, “rendo forte”).
Quattro sono le affezioni fondamentali: hjdonhv, il piacere; luvph, il dolore (povno" invece è quello fisico); ejpiqumiva, il desiderio; fovbo", la paura. Secondo Zenone il dolore di un uomo è l’ancor fresca opinione che un male lo opprima nel presente dovxa provsfato" tou' kakou' auJtw'/ parei'nai.
Il dolore secondo Crisippo dà un restringimento (sustolhv) o rimpicciolimento meivwsi" del pneuma, mentre il piacere è un sollevamento e[parsi" (ejpaivrw), e il timore uno scansare e[kklisi".
 L’o[rexi" è un tendere. Le affezioni sono tutte da condannare in quanto dipendono dalla debolezza del logos. Crisippo combatte i Peripatetici i quali consideravano le affezioni tenute nei giusti limiti un aiuto per la ragione. Crisippo replica che il pathos non tollera limiti e che le affezioni sono malattie del logos. Vanno estirpate.
Cfr. il De ira di Seneca: se l’ira è sotto controolo e può essere usata contro i nemici, in modo funzionale alla vittoria degli irati, non è ira.

Crisippo scrisse a questo proposito uno therapeutikòs approvato anche da un avversario come Galeno (130 - 200). Si deve tenere presente l’inutilità del dolore e che l’apparente grandezza del male dipende da una valutazione soggettiva. La profilassi è essere sempre preparati ai cambiamenti della sorte. Poi essere convinti che fuori dalla sfera morale non esiste alcun bene né alcun male. Dunque bisogna giungere alla apatia, la libertà dalle affezioni. Del resto esistono anche sentimenti legittimi e buoni eujpavqeiai. La gioia carav invece dell’hjdonhv. Gioia è il razionale sollevarsi dell’anima.

Poi bouvlhsi" il desiderio conforme a ragione invece dell’appetito, la precauzione e[kklisi", scansare ragionevolmente il pericolo, invece della paura, l’aijdwv", la vergogna che si prova per un giusto rimprovero, mentre è da condannare l’aijscuvnh, la paura della cattiva fama. La compassione non deve turbarci ma spingerci ad aiutare il prossimo. L’apatia stoica non comporta la rinuncia all’attività ma contiene un disprezzo per il corpo e la vita dei sensi che darà fastidio a molti Greci.


CONTINUA

lunedì 28 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XI parte


La mantica (p.214)
Dio è presciente del futuro e ne mette al corrente gli uomini con dei segni. La mantica spiega i segni che gli dèi ci inviano. Si vedono nelle viscere degli animali o nei voli degli uccelli.
Non che queste creature alate conoscano il futuro, “sed volatus avium dirigit deus”[1]. Del resto l’Amleto di Shakespeare dirà: “There is special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2)

Zeus (p. 2017)
Platone chiamava il principio di ogni vita “idea del bene, o Dio”
Gli Stoici chiamano il logos anche Zeus. Cleante ha scritto in Inno a Zeus poiché la fredda prosa scientifica non basta quando si voglia celebrare la maestà di Zeus. L’invocazione è a Zeus dai molti nomi: logos, pronoia, physis, heimarmene. Se l’uomo è aberrante, Dio sa inquadrare nel tutto anche le aberrazioni. Dio sa raddrizzare ciò che è storto. Ciò che è brutto nelle mani di Dio diviene bello, ciò che è nemico si consegna all’amore
Cleante chiedeaZeus di togliere dall’anima l’oscurità della stoltezza

L’etica (p.222)
L’etica greca è eudaimonistica.
Ogni pianta e animale ha un destino e lo realizza se porta a maturazione le proprie doti innate. Questa è la sua eujdaimoniva: raggiungere lo stato migliore possibile per lui. E’ altra cosa da eujtuciva, il successo esteriore
C’è eujdaimoniva quando abbiamo la coscienza di compiere una missione assegnata da Dio. Come Socrate quando va a morire (Fedone, 58e)
Fedone racconta a Echecrate che Socrate mentre stava morendo “eujdaivmwn moi ajnhvr ejfaivneto”, mi appariva un uomo felice.
Dobbiamo sapere in modo esatto qual è il tevlo", lo scopo della vita.
L’uomo non è più animale politico ma viene considerato pittosto quale individuo
Nel V secolo Antifonte[2] aveva individuato la vera natura dell’uomo negli impulsi egoistici. Epicuro trovò l’eudaimonia in una pace interiore non turbata da inquietudini né da dolori (p. 227).
Seneca scrive che per ogni cosa esistente c’è un bene caratteristico al quale è predisposta dalla natura: per il cane il fiuto, per l’uomo la ragione
 In homine quid est optimum? Ratio: hāc antecedit animalia, deos sequitur”(Ep. 76, 9).
 Zenone scrisse sulla natura dell’uomo che ha la percezione esterna e connessa a questa una sunaivsqhsi", una compercezione interna. Sente in sé quell’essere che gli è proprio (oijkei'on) e del quale si appropria con la oijkeivwsi" (appropriazione appunto). Alla percezione di sé si accompagna un senso di compiacimento eujarevsthsi" che è un innato amore di sé, l’istinto di conservazione.
Il primo istinto è diretto a sviluppare e conservare la nostra essenza naturale: l’anatroccolo appena uscito dal guscio arranca verso l’acqua (cfr, Cic. Fin. V, 42) Fanno parte della nostra essenza la bellezza e la forza, la salute, la memoria, l’intelligenza. Queste sono ta; prw'ta kata; fuvsin, le prime cose secondo natura. Il bambino scopre subito che è utile e buono quanto conserva la sua esistenza, mentre cattivo è quanto la danneggia. Con lacrescita la oijkeivwsi" si indirizza verso il logos che è l’essenza caratteristica dell’uomo. L’animale estende la oijkeivwsi" fino alla prole che sente simile a sé, mentre l’uomo arriva ad abbracciare tutta l’umanità in quanto in ogni essere razionale noi riconosciamo un nostro congiunto. L’uomo è un koinwniko;n zw'/on, un essere comunitario.
 Lo spirito associativo ce l’hanno anche le api e le formiche ma solo l’uomo può agire moralmente. Kalovn moralmente buono è quanto corrisponde alla natura umana, aijscrovn è qello che la contrasta. Agire moralmente significa operare per l’utile della collettività. Movnon to; kalo;n ajgaqovn, solo ciò che è morale è bene e procura eudaimonia, la eu[roia bivou, il dolce fluire della vita.
Il fine dell’uomo è la vita coerente oJmologoumevnw" zh'n . Vivere conformemente al logos che deve mantenersi ritto ojrqov" lovgo" di fronte a qualsiasi lusinga. Il logos non è distinto dalla fuvsi" e dunque si deve oJmologoumevnw" th'/ fuvsei zh'n (Cleante) E Crisippo ajkolouvqw" th'/ fuvsei zh'n. Vivere secondo natura era per i Greci la cosa più ovvia fin dai tempi remoti.
I due aspetti della natura umana quello animale e quello razionale. Nel bambino prevale quello animale (p. 239)

I valori. Il bene assoluto e i beni relativi 241
ajxiva è il valore positivo ajpaxiva ciò che contrasta la vita. Il bene non va separato dall’utile, Bene è ciò che aiuta l’uomo a raggiungere il fine della sua vita, ciò che sviluppa il logos. Bene è ciò che fa buono l’uomo. Quod bonum est bonos facit. L’eudaimonia non viene pregiudicata da circostanze estene contrarie. Essa è assicurata dal bene morale. La felicità non deve dipendere da cose esterne che non sono in nostro possesso. Il bene si trova nel proprio intimo, poi nella comunità degli esseri razionali, nell’amicizia degli uomini buoni. Quanto non contribuisce alla felicità né all’infelicità è un ajdiavforon, cosa indifferente. La salute non dà l’eudaimonia da sola, ma contribuisce al suo raggiungimento. Del tutto indifferente è se il numero dei capelli sia pari o dispari. Ma tra gli ajdiavfora alcuni hanno ricevuto dalla natura un rilievo positivo: quelli conformi alla nostra natura che sono prohgmevna, preferiti, entre quelli contrari alla natura sono ajpoprohgmevna, respinti. La salute è preferita alla malattia anche dal saggio ma non deve essere inconciliabile con il bene morale. L’eudaimonia comunque non viene intaccata dalle cose esterne (p.248)

La condotta della vita. Moralità assoluta e moralità relativa (250)
L’uomo ha per natura la tendenza al bene morale ma non è facile sottrarsi ai cattivi influssi. La ajrethv è la teleivwsisi" il compimento di ogni natura ma dagli influssi cattivi può derivare la diastrofhv la perversione.
Cìè una piqanovth" tw'n fantasiw'n, un potere di seduzione delle rappresentazioni, dei cattivi educatori, dell’ambiente che opera una kathvchsi", (cfr, hjcevw, risuono e causativo fccio risuonare) una dottrina la quale suggerisce beni fallaci come potere, denaro e così via.
Allora il buon seme viene sopraffatto dalle erbacce. L’antidoto è la buona educazione filosofica.
La lingua greca non possiede una parola corrispondente a volontà.
Omero se un eroe decide di agire, scrive “allora pensò altro” (e[nq j au\t j a[ll j ejnovhse, Odissea, II, 382) e segue l’azione. Si tratta di Atena che prende l’aspetto di Telemaco per aiutarlo
 Il greco non fa appello alla volontà ma alla conoscenza.
Cfr.però quanto dice Fedra nell’Ippolito di Euripide: " il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica, alcuni per infingardaggine,/alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo, e l'irrisolutezza"(vv. 380 - 385).
Del resto “velle non discitur”, a volre non si impara (Seneca, Ep. 81, 13)

Cleante definisce la virtù come tovno" la tensione che conferisce al logos la forza necessaria per mantenersi saldo di fronte agli allettamenti esterni. La swfrosuvnh, la temperanza tiene gli istinti in armonia con il logos. La frovnhsi", assennatezza, regola le nostre azioni. Le virtù uno smh'no" ajretw'n, uno sciame di virtù, hanno una correlazione ajntakolouqiva e presuppongono tutte la scienza del bene e del male. Aristone, discepolo di Zenone disse che esiste una sola virtù, la scienza del bene e del male. Chi arriva a conoscere la virtù ne riceve un character indelebilis. L’ojrqo;" lovgo" produce il katovrqwma, l’azione retta. La maggior parte degli uomini non ci arriva: oiJ fau'loi ouj duvnantai katorqou'n, agire rettamente, Cadono negli ajmarthvmata, le azioni peccaminose. Ci sono anche le azioni medie, indifferenti. Mangiare e bere sono necessari per il funzionamento del logos. Sono azioni convenienti kaqhvkonta secondo natura, non sono azioni virtuose né viziose.



CONTINUA




[1] Amminano Marcellino, Storie, XXI, 1, 9, ma è Dio che dirige i voli degli uccelli.
[2] Antifonte di Ramnunte èl’oratore e l’uomo pplitico, tra gli ideatori e i promotori del colpo di stato ologarchico del 411. Venne condannato a a morte con la restaurazione della democrazia
Antifonte di Ramnunte è, tra i due Antifonti, l’oratore e l’uomo politico, tra gli ideatori e i promotori del colpo di stato ologarchico del 411. Venne condannato a a morte con la restaurazione della democrazia

sabato 26 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. X parte

Euhemerus

Anche i benefattori dell’umanità sono stati divinizzati. L’evemerismo vedeva negli dèi degli uomini alzati a onori divini. 
Evemero da Messina (Εήμερος, 'felice', 'prospero', in latino: Euhemerus; Messina, 330 a.C. circa – Alessandria d'Egitto, 250 a.C. circa) è stato un filosofo, mitografo e storico greco antico, presso la corte di Cassandro I, re di Macedonia.

La Storia Sacra

L'opera ci è giunta solo in frammenti di tradizione indiretta, dei quali quelli più cospicui sono riportati da Diodoro Siculo e dalla traduzione dell'opera in latino compiuta da Ennio e giunta a noi in un ampio frammento tramandatoci a sua volta da Lattanzio: il testo di Evemero, comunque, era originariamente strutturato in tre libri.
È, dunque, presente in Evemero un'interpretazione razionalistica della natura degli dèi, secondo la quale essi erano stati in origine uomini molto potenti che si erano successivamente guadagnati la venerazione dei concittadini; da qui il termine evemerismo per descrivere questa teoria. Evemero divenne famoso rapidamente proprio per la sua teoria, l'evemerismo, cioè la spiegazione razionalistica della genesi degli dei. Se la sua opera, come quella degli altri storici a lui contemporanei, fu rapidamente eclissata dal Romanzo di Alessandro, le sue idee ebbero vasta eco e grazie all’Euhemerus di Ennio esse furono integrate nella teologia dei Romani del periodo Augusteo.
Evemero non è l'unico e men che meno il più noto degli storici "utopistici" o romanzeschi. I suoi interessi etnografici lo avvicinano al suo contemporaneo Ecateo di Abdera, autore di una monografia sugli Egiziani divenuta anch'essa fonte citata da Diodoro Siculo. Da Ecateo egli ricava anche il gusto per la commistione di dati etnografici e la sua ottica di storico, coerente con il profilo dei memorialisti di età ellenistica, non è particolarmente interessata a riferire un resoconto veritiero, quanto a suscitare nel lettore le emozioni che nel secolo precedente erano richieste nelle rappresentazioni drammatiche, soffermandosi su particolari esotici e romanzeschi.

Per gli Stoici la religione popolare contiene un nocciolo di verità: il popolo ha adorato molti dèi siccome la divinità unica dispiega le sue forze nell’aria (Hera), nel mare (Poseidone) nella terra (Demetra) nel fuoco (Efesto).
Nelle parole dei poeti si deve cercare il senso nascosto, la ujpovnoia, il senso allegorico. Già Platone nel Cratilo (404) fa derivare
{Hra da ajhvr. Gli Stoici fecero dell’allegoria un metodo fisso di lavoro.
L’allegorismo dagli Stoici acquistò il carattere di un metodo scientifico impiegato poi da Ebrei e da Cristiani. Gli stoici, come aveva fatto Eschilo, usarono il nome di Zeus per la loro divinità universale.

La Provvidenza (p. 193)
Per gli Stoici la divinità è sollecita nei confronti degli uomini. La provnoia inerisce all’essenza divina come il bianco alla neve. La natura provvidente non fa nulla senza uno scopo. Ogni cosa è concatenata con un’altra e ha una sua destinazione. Né manca lo scopo della bellezza. Il pavone è stato creato dalla natura a motivo della sua coda. Le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. L’uomo è l’usufruttuario di tutte le cose. Sofocle nel I Stasimo dell’Antigone vede questo predominio dell’uomo sulla natura in modo problematico.
L’antica grecità non pensava che il mondo fosse stato creato per l’uomo. Si trova invece nell’Antico Testamento. Zenone portò questa idea dalla propria cultura semitica.
Crisippo scrisse che le cimici provvedono a che non dormiamo troppo. La debolezza del corpo ci spinge a sviluppare il logos. Malattie e grandinate non sono in origine (prohgoumevnw") nei piani della provvidenza ma sono fenomeni concomitanti (kat j ejpakolouvqhn). La luce non c’è senza le tenebre, né il bene senza il male. Il male è un’emanazione del libero arbitrio. I mali fisici mettono alla prova e temprano la forza morale dell’uomo. Del resto noi non possiamo sempre pretendere di leggere nelle intenzioni di Dio. Terremoti sono punizioni e purificazioni: dobbiamo sempre pensare al tutto e alla sua grandezza, allora la critica meschina sarà ridottaal silenzio. Seneca Epist. 95, 49: gli dèi operano opera solo il bene.
La causa del fare del bene è la loro natura: “Quae causa est dis bene faciendi? Natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt
 Panezio scrisse il Peri; pronoiva".

La Heimarmene (p. 201)
La Provvidenza si rivela come eiJmarmevnh ù (hJ eiJmarmevnh (moi'ra) destino p. p. da meivromai, ricevo la mia parte (lat. mereo e mereor, merito).
Tutto ha una causa e gli Stoici rimproveravano agli Epicurei in particolare il clinamen incausato. C’è una catena di cause, un ininterrotto nesso causale.
Con un’etimologia inammissibile gli Stoici interpretarono eiJmarmevnh come eiJrmo;" aijtiw'n, series causarum, concatenazione di cause (cfr. ei[rw, annodo). Il caso non esiste.
La tuvch è invero un’ aijtiva a[dhlo" ajnqrwpivnw/ logismw'/.
Tutto ciò che accade, accade necessariamente.
Gli avversari replicavano che questo determinismo rigido condanna l’uomo all’inazione (p. 204)
Se è prederminato che il malato guarirà non è inutile curarsi perché è prestabilito pure che la guarigione dipende dalla cura.
Omero usa ei[marto quando un uomo prende coscienza della parte assegnatagli.
L’Eteocle di Eschilo accetta il proprio destino e lo impiega per la salvezza della patria (Sept. 281, 264)
Nell’Agamennone di Eschilo, Clitennestra vuole scaricare la colpa sul demone ma il coro le rinfaccia le sue responsabilità (Agamennone 1488 e 1505)
Platone nelle Leggi (904cd) circoscrive l’ambito della eiJmarmevnh.
Nel mito di Er della Repubblica Lachesi figlia di Ananche dice che la virtù non ha padrone e la responsabilità è dell’uomo che fa la scelta (617d - e)
Le Moire
Sedevano in trono tre persone diverse dalla folla: le figlie di Ananche, le Moire vestite di bianco e con dei serti (stevmmata, 617c) sul capo.
Queste sono Lachesi, Cloto e Atropo che cantavano sull’armonia delle sirene.
 Lachesi cantava ta; gegonovta, il passato, Cloto ta; o[nta, il presente, Atropo ta; mevllonta, il futuro.
Le tre Moire[1] accompagnavano con la mano i moti del fuso.
Le anime dovettero presentarsi a Lachesi, quella che dà le sorti.
Quindi un portavoce (profhvth~) dispose in fila la folla, poi prese delle sorti, dei modelli di vita dalle ginocchia di Lachesi.
Infine il profhvth~, salito su un’alta tribuna, diede voce al pensiero di Lachesi, la vergine figlia di Ananche (jAnagkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" lovgo~).
Disse: “Questo è l’inizio di un altro ciclo di mortalità della razza mortale, e non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì voi sceglierete il demone"
 (“ oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (617 e).
Chi è sorteggiato a scegliere per primo, prenda per primo la vita cui sarà congiunto”.
 La parola di Lachesi aggiunge che la virtù è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta[2], non la divinità” (aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~ (617 e).

Epicuro crede nel libero arbitrio che ha il suo correlativo cosmico nella parevgklisi" degli atomi, la deviazione dalla linearetta nella caduta. La deviazione del resto deve essere minima (cfr. Lucrezio II, 44)
Per gli Stoici la sugkatavqesi" è un atto libero. L’uomo ha il compito di educare il proprio logos ed è colpa sua se lo lascia indebolire.
Epicuro sostenne che l’eiJmarmevnh fa dell’uomo uno schiavo. Altri avversari la chiamavano hJmidouleiva, una mezza schiavitù.
Crisippo pone la libertà nella accettazione del destino.
Cleante scrive seguirò pronto il destino e{yomai aokno", poiché se non voglio, divenuto vile, nondimeno dovrò seguirlo h]n dev ge mh; qevlw, kako;" genovmeno" oujde;n h|tton e{yomai (fr. 527).
Siamo come cani legati a un carro.


CONTINUA



[1] Cfr. lagcavnw “ricevo in sorte”, klwvqw, “filo” e trevpw “volgo” preceduto da aj - privativo, quindi l’inflessibile.
[2] E’ l’afferrmazione della responsabilità degli uomini, già fatta da Zeus nel primo canto dell’Odissea Da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi per la loro stupida presunzione hanno dolori oltre il destino.  

giovedì 24 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. IX parte

Annibale Carracci, Ercole al bivio

La divinità (p.183)
La vita ultraterrena non li preoccupa e considerano fiabe per bambini le pene infernali. Vollero comunque ridare agli uomini la base religiosa smarrita. Il consensus omnium depone a favore dell’esistenza di Dio (cfr. Cic De legibus I 24). L’uomo crede in Dio poiché grazie al logos gli è affine. Poi la bellezza del cosmo, l’ordine e la regolarità dei moti astrali. Insomma il cielo stellato sopra di noi. Chi considera il mondo un prodotto del caso, può credere che l’Odissea sia un’accozzaglia di lettere (on libro di cucina cfr. Hermann Hesse).
L’universo è un capolavoro che presuppone un artefice.
Dio è artista ma non trascendente bensì immanente nel mondo, è pu'r noerovn, fuoco intelligente è pu'r tecniko;n oJdw' badivzon eij" gevnesin.
Noi vediamo una scala di essenze che arriva all’uomo il quale però non può essere il gradino supremo. Questo è il logos che compenetra il mondo intero e ne fa qualcosa di divino. Contiene tutte le forze germinative. da lui non può venire cosa cattiva o contro ragione (cfr. Seneca, Nat. quaest. I, 3); Ad Helv 8, 3 divinus spiritus per omnia maxima ac minima aequali intentione diffusus. La divinità è eterna mentre il mondo concreto e gli astri scompariranno nella ejkpuvrwsi".
Il mondo è pieno di dèi (Talete) e la divinità si manifesta in molte forme (Euripide). Dio si manifesta in molte forme ma è unico.
Crizia o chiunque sia l’autore del dramma satiresco Sisifo, giunse ad affermare che la religione non è se non l’invenzione di astuti governanti che volevano mantenere soggetto il popolo.
 devo" ti dei'ma lavqra/ [1]
Prodico sosteneva che gli uomini considerano divino tutto quanto è necessario: i poeti hanno chiamato Dioniso il vino e Demetra il pane
Prodico (Πρόδικος; Ceo, 460 a.C. circa – Atene, forse 380 a.C.) è stato un filosofo e retore greco antico. Sofista tra i più celebri, viaggiò a lungo per la Grecia riscuotendo un largo successo soprattutto ad Atene, ove si recò come ambasciatore, e a Sparta.

L'etica: Eracle al bivio

L'etica ricoprì un ruolo importante nel pensiero di Prodico, tanto da essere apprezzato e citato da Senofonte, Platone e Socrate (di cui talvolta viene riportato addirittura allievo). Questa sua attenzione alla sfera della morale e dell'etica mette infatti in crisi il pregiudizio che vede i sofisti come individui spregiudicati e avidi, strenui sostenitori del relativismo etico.
A dimostrazione di ciò Senofonte riporta, parafrasandola, la cosiddetta favola di Eracle al bivio, probabilmente contenuta nell'opera più famosa del sofista, intitolata ραι (Stagioni). Eracle, divenuto adolescente e giunto quindi all'età in cui deve scegliere cosa fare della propria vita, se essere virtuosi o votarsi al vizio, incontra ad un bivio due donne, personificazioni della Virtù (Areté) e del Vizio (Kakía). Entrambe tengono un discorso al giovane, per indurlo a scegliere una delle due: la volontà di Eracle di seguire la Virtù è un'immagine del passaggio dell'uomo dalla sua natura originaria (physis) alla virtù «divina» (nomos), acquisibile per mezzo dell'educazione.
 tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi" o{ti oJ povno~ ajgaqovn ai{mato~ ei\~ ajgaqoi`o, fivlon tevko~, Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di non poche altre. “Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata una forma, essa rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni elemento nuovo deve cimentarsi con essa”[2].
Sappiamo che la cultura greca non si limita ai Greci.
  

La religione

Prodico è anche celebre come "anticipatore" dell'evemerismo. Già il suo maestro Protagora era stato accusato di empietà, avendo assunto una posizione agnostica sugli dèi, sostenendo che di questi non si può sapere niente, né se esistano né se non esistano.
 Prodico invece spiegava la religione popolare sulla base della divinizzazione prima delle cose utili all'uomo e poi dei loro scopritori: in questo modo sono stati divinizzati dapprima il sole, la luna, i fiumi, e in seguito sono nate divinità come Demetra (il pane), Dioniso (il vino) ed Efesto (il fuoco e le sue potenzialità tecniche). In questo modo, a quanto affermano le testimonianze, Prodico ricollegava anche i riti misterici ai frutti dell'agricoltura.

Il linguaggio

Tuttavia, la fama di Prodico è dovuta soprattutto alla sua dottrina della sinonimica o dell'esatto significato dei nomi: tale dottrina consiste essenzialmente nell'analisi semantica dei termini sinonimi e nella determinazione del loro significato preciso e univoco. Da qui l'inesattezza della notizia antica, accettata anche da molti moderni, secondo cui Prodico sarebbe stato maestro di Socrate: ciò che a Socrate interessa, infatti, non è tanto il significato dei termini, quanto ciò che ciascuno vuole significare quando usa un determinato termine.
Sotto questa luce Prodico può essere considerato piuttosto come il predecessore della moderna filosofia analitica del linguaggio.



CONTINUA



[1] Sono parole di un frammento (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II secolo d. C.
[2] W. Jaeger, Paideia 1, p. 191.

mercoledì 23 agosto 2017

Leggere e scrivere di viaggi. con Emilio Lonardo, Paolo Piccirillo e Gianni Ghiselli


Il tempo dell'"e".                                             CASADEIPENSIERI2017
Confronto vs conflitto                                        Dedicata a Luigi Pedrazzi
Festa Unità Bologna


29 Agosto 2017 Martedì ore 21                               Red Square, Parco Nord


    
Leggere e scrivere di viaggi

con Emilio Lonardo, Paolo Piccirillo e Gianni Ghiselli






Di E.Lonardo: “Sulla rotta dei ribelli”, Ad est dell'Equatore ed.
Di M.Marsullo e P. Piccirillo: “Dio si è fermato a Buenos Aires”, Laterza










Casadeipensieri2017                         27° edizione della rassegna culturale internazionale


domenica 20 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. VIII parte

La Via Lattea vista dalla Terra

Il mondo e i periodi cosmici (p.144)
Per Epicuro il nostro mondo, uno degli innumerevoli mondi sparsi è un prodotto del caso.
Per Zenone è un’opera d’arte della divinità che lo compenetra ed è di perfetta bellezza. Ha una forma sferica perfetta.
Cfr. il Timeo di Platone: se il cosmo è bello (eij me;n dh; kalovς ejstin o{de oJ kovsmoς) l’artefice è buono (o Jdhmiourgo;ς ajgaqovς).
 Il demiurgo, il migliore degli autori (a[ristoς tw'n aijtivwn), ha guardato al modello eterno (pro;ς to; ajivdion e[blepen). Sicché il cosmo è la più bella tra le cose nate (kavllistoς tw'n gegonovtwn 29a).
Il demiurgo dunque era buono e chi è buono non prova invidia. Egli ridusse il disordine all’ordine (29d)
Seneca aggiunge: “quaeris quod sit propositum deo? Bonitas. Ita certe Plato ait: “quae deo faciendi mundum fuit causa? Bonus est: bono nulla cuiusquam boni invidia est; fecit itaque quam optimum potuit” (Ep. 65, 10). Lo scopo di Dio è la bontà.

Nel Timeo, Platone aveva anche considerato il mondo come un essere vivente. Gli Stoici lo confermano: il cosmo è un essere animato dotato di ragione. Come Epicuro, Zenone ritiene che la u{lh, la sostanza universale è indivenuta e imperitura ajgevnhto" kai; a[fqarto", ou[te pleivwn gignomevnh ou[te ejlavttwn. Il mondo attuale invece è soggetto al divenire e al perire. Ci sono periodi cosmici durante i quali l’ordine del mondo nasce dalla sostanza prima, poi dopo un periodo stabilito dal destino, si risolve in essa con l’ejkpuvrwsi", la conflagrazione. Il cosmo è eterno come sostanza del mondo ma è nato e perituro in quanto diakovsmesi", ordinamento: fqarto;" me;n oJ kata; th;n diakovsmhsin, ma ajivdio", eterno tenendo conto della conflagrazione e reso immortale dalle palingenesi e dei periodi cosmici.
Eraclito aveva scritto del cammino all’insù e del cammino all’ingiù, del fuoco che si trasforma negli altri elementi e del ritorno nel fuoco. Il fuoco condensandosi si converte in aria poi in acqua. L’elemento umido ha un’importanza decisiva per lo sviluppo della vita (cfr. Talete).
Zenone pone nell’acqua il punto critico del cammino. Le parti più consistenti dell’acqua depositandosi diventano terra, le più fine evaporano diventando aria e fuoco. I 4 elementi mescolandosi danno origine alla pluralità delle cose individuali. Determinante perZenone è l’azione del logos già unito al fuoco primordiale. Poi il logos trasforma il fuoco nell’elemento umido e si dispiega nella pluralità. Come aveva fatto Platone con l’unico essere di Parmenide, Zenone frantuma il logos di Eraclito in una pluralità di spermatikoi; lovgoi che formano le cose individuali.
Legge eterna è che ciò che è nato debba perire. Anche il nostro mondo. A lungo andare, l’elemento più attivo, il fuoco, ha il sopravvento e alla fine riassorbe in sé tutti gli altri elementi. La ejpuvrwsi" determina anche una kavqarsi", una purificazione da tutte le sue scorie e imperfezioni. Poi ci sarà la palingenesi la rigenerazione e la restaurazione ajpokatavstasi" il ritorno allo stato precedente (magari purificato? Strano, perché il mondo era perfetto. La kavqarsi" mi sembra una contraddizione logica).
Nella palingenesi tutto tornerà nella stessa forma, anche gli individui. Sofocle sposerà ancora Santippe e Santippe tormenterà Socrate che berrà di nuovo la cicuta, Ecco perché Dio conosce il futuro.

L’Universo e le sue parti. Le piante e gli animali. L’uomo (p. 158.)
Gli Stoici pensavano che il sole fosse più grande della terra, e anche la luna, mentre Epicuro spinse il suo sensismo tanto oltre da sostenere che il sole è grande quanto appare a noi e ha il diametro di circa un piede
Inoltre credevano che la terra fosse il centro fisso dell’universo. Cleante protestò contro Aristarco di Samo che precorreva Copernico affermando che la terra si muove

Aristarco di Samo (Samo, 310 a.C. circa – 230 a.C. circa) è stato un astronomo.
Nato a Samo, una delle maggiori isole in prossimità della costa della Ionia, studiò ad Alessandria, dove ebbe come maestro Stratone di Lampsaco.
Astronomo e fisico, Aristarco è noto soprattutto per avere per primo introdotto una teoria astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra ruota attorno al Sole percorrendo una circonferenza. Sappiamo inoltre che Aristarco concordava con Eraclide Pontico nell'attribuire alla terra anche un moto di rotazione diurna attorno ad un asse inclinato rispetto al piano dell'orbita intorno al Sole (ipotesi che giustificava l'alternarsi delle stagioni).
 Gli astri sono animati e divini, e il Sole è il primo tra gli astri. Cleante da vero greco, pensava che Helios Apollo con i suoi raggi distribuisca al mondo luce, calore, vita, coesione e armonia.
I pesci stanno nel gradino più basso tra gli animali, e nei porci, secondo Cleante, l’anima svolge la funzione del sale: quella di salvare il corpo dalla putrefazione.
Il medico alessandrino Erofilo scoprì il sistema nervoso nell’età di Zenone e Cleante trasferì l’hJgemonikovn nel capo. Crisippo invece riteneva l’anima diffusa e l’hJgemonikovn nel cuore. Interpretava allegoricamente il mito di Zeus che ingoia Metis.
Il medico Erasistrato manteneva il cuore come sede del pneuma vitale.
Erofilo (Ηρόϕιλος, Heróphilos; Calcedonia, 335 a.C. circa – Alessandria d'Egitto, 280 a.C. circa) fu un medico greco - ellenistico, noto come primo anatomista della storia e per essere stato, insieme ad Erasistrato, il fondatore della grande scuola medica di Alessandria d'Egitto.

L’istinto (oJrmhv) è un moto dell’anima in direzione di un oggetto.
Zenone definì l’affezione una pleonavzousa oJrmhv, un istinto che eccede la misura. L’istinto di mangiare diventa smisurata ingordigia. L’istinto si è sottratto alla sovranità del logos. Il logos fuorviato genera affezioni, lovgo" ponhrov" e hJmarthmevno".

La morte è separazione dell’anima dal corpo. Il pneuma sussiste per qualche tempo ma poi perde e la sua tensione si dissolve nel tutto. Cleante suppose che tutte le anime si conservino fino all’ejkpuvrwsi", Crisippo limitò tale sopravvivenza alle anime più forti, quelle dei saggi. Ma gli Stoici non avevano un vivo interesse per lasorte delle anime dopo la morte.