venerdì 31 gennaio 2025

Introduzione alla tragedia parte quarta.


 

All'inizio nel dramma dovette essere di gran lunga preponderante la parte corale[1], poi, da Eschilo in avanti, questa si restrinse. Aristotele ricorda che Eschilo portò il numero degli attori da uno a due, ridusse la parte del coro, e rese protagonista la parola (kai; ta; tou' corou' hjlavttwse kai; to;n lovgon prwtagwnistei'n pareskeuvasen, Poetica, 1449a, 15-18 ). 

Infatti il dramma greco rispetto al melodramma moderno è logocentrico.

Con lovgo~ intendo più la parola parlata che quella scritta: “Il mondo greco era anzitutto il mondo della parola parlata[2].

Il metodo odierno tende piuttosto alla orwelliana distruzione delle parole: “it’s a beautiful thing the destruction of  words” (1984, I, 5) , una cosa bella e utile per ogni regime tirannico

 

Ad Atene i drammi venivano rappresentati nel teatro di Dioniso situato sulle pendici dell'acropoli.

 In origine era di legno, poi subì diversi sviluppi e cambiamenti, fino all'epoca dell'impero romano, quando vi si svolgevano combattimenti di gladiatori e forse anche naumachie. Meglio conservato e di struttura più unitaria è quello di Epidauro, creazione[3] di un singolo architetto: Policleto il giovane.

In ogni modo il teatro[4] era senza tetto e constava di tre parti: la prima era la càvea (koi'lon), la gradinata dove sedeva il pubblico; la seconda l'orchestra circolare, il luogo centrale sul quale danzava il coro, dove sorgeva l'altare di Dioniso e si trovava una piattaforma (logei'on ), forse leggermente elevata: questa era il palcoscenico sul quale recitavano gli attori e stava nella parte dell'orchestra più lontana dagli spettatori;  infine, di seguito, si trovava la scena, in origine una tenda (skhnhv ) che consentiva ai personaggi  di cambiarsi il costume senza essere visti dal pubblico, poi divenne l'edificio di sfondo, un palazzo reale, un tempio, con una o più entrate, e due ali sporgenti (paraskhvnia), oppure una caverna. L'attore, abbiamo detto, recitava davanti alla scena, ma in certi casi appariva sul suo culmine o, impersonando un dio, su un un tetto mobile (qeologei'on), o anche sospeso in aria da una specie di gru (mhcanhv), e in tal caso era il deus ex machina.

“Dove agivano gli attori? Era riservato loro uno spazio distinto da quello del coro? Una testimonianza di Vitruvio (V 7, 2)  riferisce che essi recitavano su di un logheion, una scena rialzata di alcuni metri rispetto alla sottostante orchestra ove stazionava il coro. La creazione di questa struttura, con una conseguente rigida spartizione degli spazi, è un prodotto dell’età ellenistica: essa interessò certamente anche il teatro di Dioniso, ma non prima del III sec.a.C.

 Le tragedie che noi leggiamo ci documentano invece, in più di un caso, una stretta interazione tra coro e attori: le Supplici di Eschilo ci mostrano l’araldo egizio che aggredisce le Danaidi e tenta di trascinarle via con la forza da Argo; e nell’Edipo a Colono il coro cerca di contrastare fisicamente il tentativo di Creonte di rapire Antigone. Le stesse commedie di Aristofane, del resto, e ancor più il dramma satiresco-che, non dimentichiamolo, venivano rappresentati nello stesso teatro di Dioniso-presuppongono la prossimità di attori e coro. E’ evidente dunque che nel teatro del V sec. a. C. non poteva esservi una netta separazione tra orchestra e logheion, o almeno non poteva esservi un proscenio così alto come quello di cui parla Vitruvio…L’ipotesi che riscuote maggiori consensi è che nel V secolo un logheion rialzato esistesse realmente, ma che la sua altezza fosse tale da consentire facilmente, qualora la dinamica scenica lo prevedesse, un avvicinamento e quasi un contatto tra coreuti e attori”[5].

 

“Tra le convenzioni del teatro greci rientra anche l’uso di macchine…Il più celebre di questi strumenti è senza dubbio la macchina del volo (mhcanhv o anche gevrano~= “gru”): un congegno fissato al suolo su un basamento al margine dell’orchestra , dotato di un lungo braccio mobile azionato per mezzo di funi e carrucole, alla cui estremità doveva essere agganciata una bardatura che serviva ad imbragare l’attore destinato ad essere sollevato in alto…della mhcanhv si fa uso nel Prometeo[6] , ove Oceano compare in groppa ad un fantastico essere alato…Della mechané Euripide si avvalse spesso per l’apparizione improvvisa e miracolosa di una divinità che interviene dall’alto a risolvere un conflitto drammatico altrimenti inestricabile. Una soluzione certamente sorprendente e di facile presa spettacolare, come dimostra il fatto che l’espressione qeo;~ ajpo; th`~ mhcanh`~ (=deus ex machina)  divenne proverbiale: la prima attestazione è in Platone (Crat. 425d; Clitoph. 407a), e con ironia il comico Antifane[7] osserva che ai poeti tragici, quando essi non sanno più come sviluppare l’azione, basta alzare la gru così come si alza un dito, ed ecco che ogni loro problema è risolto (fr. 189 K.-A)”[8].   

 

 

Un'altra macchina, utile a mostrare simbolicamente scene d'interno o a trasportare personaggi  era  l' ejkkuvklhma , un carrello basso su ruote, spinto fuori attraverso l'apertura centrale della skhnhv .

 Questa , tornando ad Aristotele, fu resa più ricca e varia da Sofocle che introdusse la scenografia e il terzo attore  (Poetica , 1449a, 19).

Gli attori erano tutti maschi; ciascuno usava una maschera (provswpon, cfr. lat persona[9]) e poteva interpretare più parti in una stessa tragedia.

Il medesimo attore interpretava nelle Baccanti i personaggi di Penteo e di Agave, con un sinistro effetto di ironia tragica, se si pensa al finale del dramma e alla possibilità che nella voce della madre che celebra il suo folle trionfo gli spettatori riconoscessero, al di là delle variazioni messe in atto dall’interprete, la medesima voce del figlio da lei dilaniato (…) nelle Baccanti un attore impersonava Dioniso e Tiresia, un altro Penteo e Agave, un altro ancora Cadmo, il servo e il primo Messaggero, mentre resta dubbia l’attribuzione del ruolo del secondo Messaggero ”[10].

 

Torniamo alla Poetica di Aristotele.

Per quanto riguarda la grandezza (to; mevgeqo~), da racconti brevi e un linguaggio scherzoso, per il fatto che subì una trasformazione dal satiresco, la tragedia assunse tardi una forma solenne, e il metro da tetrametro divenne giambico (1449a, 21). All’inizio si usava il tetrametro per il fatto che la poesia era satiresca e piuttosto adatta alla danza, poi, sviluppatosi il dialogo, la stessa natura del parlato trovò il metro appropriato: mavlista ga;r lektiko;n tw'n mevtrwn to; ijambei'on ejstin (1449a, 25), infatti il giambo è il verso più adatto al parlato; un segno di questo è che noi nella conversazione diciamo moltissimi giambi, mentre gli esametri  li usiamo raramente e solo quando usciamo dal tono della conversazione (1449a, 31).

 La tragedia consta di sei parti qualitative (mevrh ei\nai e{x, kaq  j o{ poiav ti~ ejsti;n hJ tragw/diva, 1450a, 10): racconto (mu'qo~), caratteri, linguaggio, pensiero, spettacolo visivo, musica.

 

 

Bologna 31 gennaio 2025 ore 11, 32 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] “Il coro originariamente è tutto”, J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, 1, p. 1140.

[2] M. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, p. 18.

[3] 350 a. C. ca.

[4] Etimologicamente è “il luogo da dove si guarda”.

[5] Di Marco, Op. cit., pp. 57-58

[6] Il Prometeo incatenato (molto probabilmente) di Eschilo: ne parleremo estesamente più avanti .Ndr.

[7] Autore della cosiddetta “commedia di mezzo”  che presentava spesso parodie mitologiche, utilizzando spesso episodi di tragedia di Euripide, come testimoniano alcuni titoli di Antifane: Medea, Baccanti, Elena. Ndr.

[8] Di Marco, Op. cit., p. 62.

[9] “Un’opinione accreditata e diffusa vuole inoltre che il nome latino di “maschera” (persona) non sia che il greco provswpon passato ai Romani attraverso l’etrusco (donde la diversità delle due forme)” . Prefazione di C. Questa a Plauto Anfitrione, p. 14.

[10] Di Marco, Op. cit p. 85 e p. 88

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