Ieri ho assistito alla
presentazione del bel libro di Valerio Varesi: Il rivoluzionario appena uscito con Frassinelli. Lo presentavano
l’autore stesso, Eugenio Riccomini, illustre storico dell’arte
e docente universitario emerito, e
Gianmario Anselmi direttore del dipartimento di filologia
classica e italianistica,
Ha parlato per primo
l’autore.
Valerio Varesi ha detto che il suo libro è un
romanzo storico che ha per protagonisti i comunisti.
Rievoca il periodo che va dall’aprile del
1945 all’agosto del 1980. Trentacinque anni che trascorrono, come le nuvole nel
cielo, dalle grandi speranze del dopoguerra al liberismo economico della
Tatcher e di Reagan quando comincia lo
smantellamento dello stato sociale, comincia l’oggi. Ma le carenze della
giustizia iniziano subito. Il fascismo in Italia non ha avuto una
Norimberga. Nei comunisti bolognesi
c’era una vocazione rivoluzionaria che venne imbrigliata. Quando spararono a
Togliatti, la città fu sull’orlo della rivoluzione. Con il sindaco Fanti si
aprì una nuova fase: cominciò a prefigurarsi il compromesso storico. Nel ’68
poi Lercaro, che pure era anticomunista,
si incontrò con i comunisti sul tema del pacifismo.
Il cardinale condannò i
bombardamenti americani sul Vietnam e venne silurato. Segue il ’77 con l’uccisione
di Lorusso e la frattura tra il PCI e il movimento giovanile. Infine la bomba
alla stazione del 2 agosto del 1980 ha segnato la fine delle grandi speranze.
Oscar Montuschi, il protagonista, passa attraverso le vicende della città, poi
si stanca dell’attendismo togliattiano, va a Mosca e in Mozambico a combattere
per la liberazione.
Il romanzo finisce mantenendo
viva la fiammella dell’uguaglianza, se non del comunismo che economicamente ha
fallito.
Aggiungo una nota di Leopardi
il quale nello Zibaldone (923) scrive
che in India non c’è la schiavitù, ma ci sono le caste, e dove non c’è
uguaglianza non solo non c’è
democrazia ma “non c’è vera libertà”.
Varesi ha concluso questo
primo intervento deplorando la sconfitta culturale della sinistra: è passata
una sottocultura di gente che considera valore unico il denaro. Gente come
Trimalchione, dico, e gli altri liberti del Satyricon
“ubi sola pecunia regnat” (14).
Quindi ha parlato Eugenio Riccomini. Lo storico dell’arte
ha detto che ha divorato il libro. Montuschi rispecchia tutti i
comunisti di Bologna. Quelli che speravano e ritenevano di camminare procedendo
verso un mondo migliore come le persone raffigurate nel quadro Il quarto stato di Pellizza da Volpedo.
Bisognerebbe riprendere il cammino verso un
mondo migliore.
A me sembra, aggiungo, che le
stragi e tutta la decadenza di cui racconta il libro, abbiano progressivamente,
anzi regressivamente, annientato il quarto stato, sostituendolo con il quinto,
quello degli schiavi.
Ma torniamo a Riccomini,
Ha ricordato come il PCI si è suicidato
dando vita al PDS. Poi è sparita la P che indicava il partito per antonomasia
poiché quando si diceva “il partito” non c’era bisogno di specificare quale
partito fosse. Ora è PD. Ma democratico non significa nulla, non definisce
niente: oggi tutti si dichiarano democratici, anche i tiranni.
Riccomini ha raccomandato al
pubblico che riempiva il salone di Palazzo Marescotti di leggere il libro
perché racconta le nostre vite e l’antefatto delle vite dei giovani.
Poi ha parlato l’italianista Anselmi. Ha definito il libro un romanzo storico con personaggi
inventati ma inseriti in un contesto ricostruito con minuzia. Sul genere di I promessi sposi, per intenderci. Il rivoluzionario
racconta la storia della Bologna comunista, dalla fine della guerra alla strage
della stazione, senza nascondere le contraddizioni della guerra civile
sovrappostasi alla guerra mondiale e del suo prolungamento nel periodo
successivo.
Tucidide sostiene che la stasi~ la guerra civile, è il più terribile delle
guerre, un conflitto che stravolge tutti i valori, perfino quello delle parole
(III, 82).
Anselmi ha trovato particolarmente interessante il
confronto fra tre generazioni: il sindaco Dozza con il giovane Oscar Montuschi,
poi, con il passare degli anni che portano via tutto, l’incontro con la
generazione successiva, quella del ’68.
Il libro è l’esposizione vivace e avvincente, anche per i
pregi formali, di quello che è stato il comunismo in Emilia. E’ interessante a
leggersi e utile a conoscere, a capire, ora che si usa il termine comunista a
vanvera, come si faceva nel Medioevo con la qualifica di “epicureo” per dire un
greve materialista, quasi un maiale come si legge anche nella Commedia di Dante
che ha preso troppo alla lettera Orazio[1].
Il protagonista, Oscar è irriducibile nella volontà di
realizzare i suoi ideali. Ed è una persona colta, come erano i dirigenti e non pochi militanti dell’epoca,
quando i comunisti leggevano. Togliatti pensava che fosse indispensabile che la
gente leggesse e fu lui il fondatore della collana dei classici della Einaudi. Nella classe politica di oggi non c’è cultura, spesso
non c’è coscienza. Dobbiamo riconquistare questi valori politici e umani.
Ha concluso l’autore del romanzo con un secondo
intervento che sul contesto storico
si è documentato ma i personaggi ha dovuto immaginarli e questo lo ha
alleggerito della zavorra dell’autobiografia.
Ha quindi esposto tre sue
tesi che oggi possono andare contro corrente: le vendette seguite alla caduta
del fascismo, quelle vendette sulle quali una pubblicistica interessata ha
gettato fango, sono poca cosa rispetto a quelle perpetrate dallo Stato nei
confronti della classe operaia. Infatti i dirigenti della polizia, dei
carabinieri, dei servizi segreti, erano rimasti gli stessi del periodo
fascista. Sono stati ricordati i morti di Portella della Ginestra, di Reggio
Emilia, di Modena. Omicidi commessi da gente che direttamente o indirettamente
rappresentava lo Stato, Varesi ha quindi esposto una sua ipotesi sulle brigate
rosse: esse nascono come movimento rivoluzionario, ma poi diventano uno strumento per disinnescare il
compromesso storico. I brigatisti
vengono lasciati agire perché Moro doveva essere ucciso: la strategia politica
dello statista pugliese di fatto non piaceva a Cossiga, non piaceva a Giulio
Andreotti, e, quello che più conta, non piaceva
agli Americani, Nemmeno ai Russi piaceva.
“Moro voleva sfuggire alla
logica dominante”[2].
Aggiungo che Monsignor
Bettazzi, il vescovo di Ivrea, aveva sentito dire da un altissimo prelato del
Vaticano: “expedit ut unus moriatur homo”.
E’ l’espressione dell’ ipocrita ferocia di Caifas ( Vangelo secondo Giovanni, 11, 50).
Oscar Montuschi crede nella
cooperazione, “in un’organizzazione del lavoro in cui tutti sono contemporaneamente
padroni e lavoratori senza più contrapposizione. Un sogno egalitario che il
rivoluzionario coltiva per la vita intera e che tenta di realizzare nella
Bologna della ricostruzione prima, nella Mosca poststaliniana poi, e infine in
Mozambico, nell’Africa rivoluzionaria all’indomani del crollo degli imperi
coloniali”.
Ma lo strapotere del denaro
annienta tutti gli ideali e gli idealismi.
E quando tu perdi i tuoi
valori e quelli degli altri diventano i tuoi, sei perduto” ha concluso Varesi.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
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