Ifigenia
Quanto dici sul mio conto è gratuito e
inventato. Quando mai mi sarei comportata in maniera irrazionale e autolesiva
secondo te?
Gianni
Per esempio due anni fa, quando avresti
voluto conservare il nostro amore e invece l’hai mandato in malora con la tua
incapacità fisiologica di controllare gli istinti peggiori
Ifigenia
Come no! Tu saresti il socratico dalla
razionalità che prevale sull’istinto? Ma fammi il piacere!
Tu dai i numeri. Tutto quello che dici è falso.
A quali momenti, a quali episodi
immaginati dalla tua mente malata ti riferisci?
Gianni
All’estate del 1979, vedi ti do davvero i
numeri, alla seconda metà di luglio e ai primi venti giorni di agosto, quando
non hai capito quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale e
secondo la buona educazione che io esigo dalla mia donna, e tu allora volevi
che io ti considerassi la mia donna. Ma non hai capito niente. Non hai capito
quando a Debrecen non mi mandasti l’espresso che mi avevi preannunciato con un
telegramma, non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti
perduto ogni credito con me: non hai capito che io non sono il tipo di uomo con
il quale si possa non mantenere un impegno preso senza perderne tutta la stima.
Non capivi e ti dimostravi violenta e volgare
quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia negli occhi perché esitavo
a soddisfare la tua richiesta di fare l’amore nell’acqua bassa, dove tutti
potevano vederci. Quando cercavi di levarmi il costume, il vice bagnino, il
vecchio Dante si avvicinava imprecando contro di noi, “anime prave”, nemmeno fosse stato Caronte. Allora tu lo
schernivi per la sua vecchiezza. Se fossi stato lui, ti avrei risposto che gli
dèi concedono una doppia giovinezza solo alle persone buone[1], quindi a lui
no, e tanto meno a te avrebbero dato
questa seconda possibilità..
Ma il poveraccio non se ne intendeva e
tu, improba, avevi buon gioco nel canzonarlo per l’antico pelo.
Non capivi niente quando nei mesi
successivi, a Bologna, mi impedivi di vedere i film e qualunque spettacolo mi
interessasse, sbaciucchiandomi o parlando in continuazione: davanti al
televisore, al cinema e a teatro in mezzo a gente irritata. La tua
irrazionalità, quando scoppia, è
volgare, talvolta persino violenta: non trova un limite nell’educazione,
nella moralità che non hai ancora acquisito o sviluppato in dosi sufficienti.
Tu sei troppo egocentrica e incivile per capire i tuoi doveri, rispettare i
limiti imposti dal buon gusto, e accorgerti dei sentimenti degli altri.
Certo, bella sei bella. Anche malvestita
e non lavata sei bella.
E vederti colpisce la mia sfera diciamo
emotiva, al punto che mi si impenna la volontà di fare cose egregie per
meritarti, ma io vorrei che mi si drizzasse anche il sentimento morale[2], il senso del buono oltre quello del bello. Invece l’etica,
derelitta, si affloscia esangue.
Ifigenia
Ma va’ là buffone! Proprio tu vieni a
parlarmi di etica, di senso morale!
Dov’era il tuo senso morale, quale conto
facevi dei miei sentimenti nel giugno del 1979 quando io ti amavo come in un
sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti di Bologna e di Debrecen?
Ti vantavi di averne più dei tuoi
innumerevoli anni![3]
Oppure mi lasciavi giudicare dalle tue
zie, vecchio bamboccio infantilmente insensato!
E dopo l’estate, quando io ancora ti
amavo e avevo bisogno di te, e tu, per non prenderti la responsabilità della
mia educazione, ti sei innamorato, squallidamente, di quella supplente stronza
e hai smesso di prenderti cura di me dopo esserti tolto la voglia di fare
l’amore con me? Ma fammi il piacere, cialtrone! Le hai dimenticate davvero le
tue colossali disonestà, o fingi di non ricordatene, e menti ora, come mentivi
allora quando dicevi: “ti amo tanto”, mentre eri innamorato di quell’idiota e
meditavi di sposarla perché era vergine e di famiglia borghese?
Poi perché ti ricordava tua sorella e le
altre donne di casa tua, e addirittura te stesso stuzzicando con quel sembiante
aggraziato il tuo morboso attaccamento
alla razza e il tuo narcisismo E quando studiavi giorno e notte per
placare i sensi di colpa che ti perseguitavano, siccome facevi torto e mentivi
alla tua compagna, a me, che mi ero
affidata a te quando avevo appena vent’anni e avevo chiesto il tuo aiuto per crescere, allora la tua razionalità
ineccepibile e la tua moralità impeccabile dove diavolo erano? Sì, dove avevi
messo la tua famosa onestà e la tua infallibile logica quando venivi a letto
con me e pensavi a quell’altra, progettavi di sposarla, mentre lei ti faceva le
moine e ti lusingava solo perché si aspettava la tua protezione e il tuoi aiuto
di professore bravo nell’ambiente dove
si sentiva a disagio? Non crederai mica davvero di essere una persona per bene,
con tutto il male che mi hai fatto?
(le
ultime parole le ha dette con pathos dolente, quasi piangendo)
Gianni (con aria triste)
Non stai esagerando?
Ifigenia
No, non sto esagerando, anzi, minimizzo
le tue scelleratezze. Durante tutto il secondo anno del nostro “stare insieme”,
tu mi hai evitato poiché pensavi che passare il tempo con me significasse
sottrarlo alla preparazione delle conferenze con cui volevi affascinare
quell’imbecille che probabilmente non ti ascoltava nemmeno, comunque non ti
capiva e di sicuro non tin voleva. Io allora ho sofferto moltissimo, molto più
di quanto la tua “delicata” sensibilità possa immaginare.
Per giunta sei stato stupido: tu che ti
atteggi a genio, non hai capito che facevi uno sbaglio, un errore non solo
morale ma anche dell’intelligenza: noi due ci aiutavamo a vicenda, eravamo
funzionali alla crescita l’uno dell’altro. Più tardi te ne sei accorto anche
tu: troppo tardi perché la tua comprensione valesse qualcosa. A un certo punto
io non ne potevo più di soffrire e ho smesso di amarti. Ho cominciato a provare
interesse per altri uomini. Allora hai cominciato a soffrire tu, perché,
prepara il male a se stesso chi lo infligge a un altro. Me lo hai detto più di
una volta, tu che lo hai imparato a memoria[4] senza averlo mai capito, da
erudito cretino e disonesto quale sei. E’ stato il dolore che ti ho dato per
difendere me stessa, soltanto il dolore che ti ha reso morale[5] e logico, non
la tua onestà, né la tua intelligenza.
Gianni (sempre triste, pensoso e calmo)
Sì, c’è molto di vero in quello che dici.
Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il
dolore. Per questo ti amo.
Però è anche vero che quando mi sono
“perdutamente” innamorato della piccola collega lusingatrice e mi sono messo a
studiare come un matto per fare bella figura con lei, l’ho fatto perché tu non
mi davi più stimoli: mi annoiavi, mi disturbavi con parole e atti insipidi. Tra
noi non poteva andare avanti così. Tu anzi, secondo me, avevi assunto
quell’atteggiamento passivo e stanco perché io ti dessi una lezione. Non potevo
approvarti: ti avrei fatto del male.
Comunque ora, scusami Ifigenia, ma non
c’è più tempo di parlarne (guarda
l’orologio)
Sono le otto e mezzo ed è buio. Ora,
usciamo, cerchiamo le dracme, a costo di chiedere l’elemosina tendendo la mano
in piazza, poi mangiamo. Io ho una fame boia, tu anche suppongo, e parte del
nostro astioso nervosismo deriva dalla denutrizione.
Ifigenia
Va bene, Tanto più che non abbiamo niente
da aggiungere.
Uscimmo quasi di corsa. Seguendo
l’indicazione preziosa del portiere bene informato, potemmo cambiare le lire in
un bugigattolo ipogeo aperto fino alle dieci di sera. L’ingresso sembrava quello di capo Tenaro[6]
aperto sugli inferi, ma risalendo con le dracme per il cibo agognato mi pareva
di salire sull’Olimpo, tanta era la fame. Del resto si sa che le montagne
incantate hanno le loro radici nel Tartaro. Stavamo uscendo dall’inferno anche
mentalmente dopo il dialogo fatto di colpi e contraccolpi[7] di botte e
risposte miste di verità e di sofismi cattivi.
Mentre l’usuraio ci cambiava il denaro ci davamo occhiate di sospetto alternate
a sguardi di complicità. Questa un poco alla volta si consolidò e prevalse.
Dopo tutto all’epoca eravamo tipi, o
tipacci, piuttosto simili.
Dio li fa, poi li accoppia come si dice.
Ci diede una schiarita all’umore tetro
del pomeriggio il cibo mangiato con
gusto in una simpatica trattoria vicina all’albergo, il vino resinato, poi un concerto con la musica rasserenante di
Mendelsshon che andammo a sentire nel teatro di Erode Attico sotto l’acropoli
chiara di luce lunare. Anche le acropoli delle nostre persone, i nostri
cervelli, si andavano rasserenando e rischiarando.
Così potemmo tornare in albergo piuttosto
concordi. Ricordavamo con fierezza il gradus ad Parnassum, i voti sull’ombelico
del mondo e prospettavamo un futuro di gloria e di gioia per entrambi.
Gli dèi avevano dato un esito
inaspettato[8] alla giornata.
Forse, lettore, anche a te.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1] Euripide,
nell’Eracle, fa dire al coro di vecchi tebani: “Se gli dèi avessero
intelligenza e sapienza (xuvnesi"
kai; sofiva)
riguardo agli uomini donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di
virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del
sole (eij"
aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente
ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661-669).
Marziale afferma che
l’uomo buono che è senza senza rimorsi e gode del frutto della sua vita,
accresce lo spazio della sua vita: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc
est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8).
[2] Cfr. Seneca:
“erigitur virtus cum tacta est et impulsa” (Ep., 94, 29) la virtù si drizza
quando viene toccata e stimolata
[3] Avevo trentatrè anni
ed ero segno di contraddizione (signum cui contradicetur, shmei`on ajntilevgomenon, Nuovo Testamento, Luca, 2, 34), al pari di Cristo.
[4] Cfr Esiodo:“prepara
il male a se stesso l’uomo che lo prepara per un altro,/ e il cattivo progetto
è pessimo per chi l’ha progettato”
(Opere e giorni, vv. 265-266).
Ne conservo la memoria.
Di questo, di ricordare e citare le frasi belle, non sono pentito.
[5] Cfr. tw`/ pavqei mavqo~, Eschilo, Agamennone,
177.
[6] Il promontorio
Tenaro è il punto più meridionale del Peloponneso . Secondo il mito, Eracle
scese negli inferi e ne portò sulla terra il cane dell’Ade passando per questa
via. Dopo Caronte, non potevo non nominare Cerbero, il cagnaccio dal ringhio
metallico, raccontando questa giornata infernale
[7] Cfr. Erodoto:
"c'è in Arcadia Tegea, in luogo
piano,/dove due venti soffiano per possente necessità,/ e colpo e contraccolpo,
e male su male si posa" (kai; tuvpo" ajntivtupo", kai; ph'm j ejp
j phvmati kei'tai,
Storie, I, 67, 4).
[8] " Di molti casi
Zeus è dispensatore sull' Olimpo (Pollw'n tamiva" Zeu;" ejn jOluvmpw/);/e molti eventi fuori
dalle nostre speranze (ajevlptw") portano a compimento
gli dèi;/e i fatti attesi non si avverarono,/mentre per quelli inaspettati un
dio trovò la via./Così è andata a finire questa azione"
(Euripide, Medea, vv.
1415-1419). Molto simile è la conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca,
dell'Elena e delle Baccanti del grande Euripide
sarebbe bello leggerne ancora
RispondiEliminaalessandro