NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 26 febbraio 2013

Chi ha perso le elezioni e chi le ha vinte




Il politicante umbraticus[1] ha perso le elezioni. Il ripetitore di luoghi comuni del politichese le ha perse. Il professore esoso e pedante, seduto freddo nell’ombra fredda, il bocconiano ancora meno lucido dei suoi stupidi scribacchiatori che gli suggeriscono gesti canini di cui si vergognerebbe un adolescente non stupido.
Ancora: ha perso le elezioni l’imbecille ortodosso che parlava come un politico “deve” parlare, in quanto rappresenta senza essere sfiorato dal dubbio un partito che esige il pensiero unico e schiaccia le teste.

Quelli che dicono di averci salvati dal baratro hanno di fatto scavato una buca melmosa dove sono caduti loro. Ora vedo gente fangosa in quel pantano. Hanno perso per servilismo verso i poteri forti comportandosi come Eracle in Lidia, il quale asservito alla regina Onfale, cardava la lana avvolto in vesti color zafferano e ogni tanto veniva colpito dal sandalo della donna. Onfale era una matriarca lidia, ma mutatis mutandis, potremmo mettere al posto suo la bionda e callipigia Kanzler tedesca.

Hanno perso quelli che non hanno avuto rispetto per la nostra sovranità nazionale, ossia per i loro concittadini, facendosi collaborazionisti della prepotenza del mercato e della finanza internazionale. Cercavano di rendere sempre più poveri i poveri, più facilmente licenziabili gli operai, più indifesi i deboli, arrivando a criminalizzare il sindacato che li difendeva. Poi magari versavano una lacrimetta[2] pensando che gli Italiani, che noi Italiani, non fossimo logici[3]. Davanti a tanta scellerata ipocrisia “difficile est saturam non scrivere[4], è difficile non scrivere satire. Chi ha saputo scriverle e recitarle interpretando l’indignazione dei suoi connazionali, ha trionfato: “facit indignatio  verba[5], è l’indignazione a mettere insieme le parole. Lo sdegno dell’uomo satirico, o piuttosto silenico[6], ha incoraggiato e autorizzato l’ecce homo alla ribellione.
Quegli homines, con l’ecce e tutto[7], sono i tanti Italiani poveri.

Questa conversione dai partiti vetusti al nuovo rimarrà una rivolta pacifica se il voto cambierà qualche cosa e i giovani satiri allievi dell’opimo, gran nuotatore Sileno agiranno bene.
Lo dicono anche i bambini giocando: "at pueri ludentes 'Rex eris' aiunt/'si recte facies"[8].
Altri perdenti, dico Ingroia e i suoi tra i quali mi colloco poiché non intendo saltare sul carro del vincitore, hanno perso pur dicendo cose giuste. Abbiamo perso perché le abbiamo dette in modo poco perspicuo, con voce esile e pronuncia non chiara. C’era bisogno di uno scossone coribantico appunto, di un rullo di tamburi che spingesse alla carica.
Tympana tenta tonant et cymbala circum
Concava, raucisonoque minantur cornua cantu[9].
Dopo tanto frastuono, ora vediamo cosa sanno fare sileni, satiri, baccanti e coribanti. Se alla furia dionisiaca sapranno aggiungere il “nulla di troppo” delfico e apollineo.
Se faranno bene collaboreremo con loro, se non faranno bene finiranno come gli altri nella spazzatura della politica e della storia.
Lo sanno anche i bambini.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it

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[1] Petronio contrappone l'umbraticus doctor deleterio ai grandi tragici: “cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat” (Satyricon, 2), quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni.
[2] Cfr. Dante, Purgatorio, V, 107
[3] Cfr. Dante, Inferno, XXVVI, 123.
[4] Giovenale (60-130 d. C.), Satire, I, 30)
[5] Cfr. Giovenale, Satire,  I, 79.
[6] Il Magnifico Lorenzo de' Medici nella Canzona di Bacco, celeberrimo “trionfo” del 1490, raffigura Sileno montato su un asino: “Questa soma, che vien drieto/sopra l'asino è Sileno/così vecchio è ebbro e lieto,/già di carne e d'anni pieno;/se non può star ritto almeno/ride e gode tuttavia./Chi vuol esser lieto, sia,/di doman non c'è certezza" (vv. 29-36).
[7] Cfr. Nietzsche, Lettera del 14 novembre 1888 all’amica Meta: “Questo homo sono cioè io stesso, compreso l’ecce
[8] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[9] Lucrezio, De rerum natura, II, 618-619: “I tamburelli tesi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi intorno, e con il rauco suono minacciano i corni"

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