Il politicante umbraticus[1] ha perso le elezioni. Il ripetitore di luoghi comuni
del politichese le ha perse. Il professore esoso e pedante, seduto freddo
nell’ombra fredda, il bocconiano ancora meno lucido dei suoi stupidi
scribacchiatori che gli suggeriscono gesti canini di cui si vergognerebbe un
adolescente non stupido.
Ancora: ha perso le elezioni l’imbecille
ortodosso che parlava come un politico “deve” parlare, in quanto rappresenta
senza essere sfiorato dal dubbio un partito che esige il pensiero unico e
schiaccia le teste.
Quelli che dicono di averci salvati dal
baratro hanno di fatto scavato una buca melmosa dove sono caduti loro. Ora vedo
gente fangosa in quel pantano. Hanno perso per servilismo verso i poteri forti
comportandosi come Eracle in Lidia, il quale asservito alla regina Onfale,
cardava la lana avvolto in vesti color zafferano e ogni tanto veniva colpito
dal sandalo della donna. Onfale era una matriarca lidia, ma mutatis mutandis, potremmo mettere al
posto suo la bionda e callipigia Kanzler
tedesca.
Hanno perso quelli che non hanno avuto
rispetto per la nostra sovranità nazionale, ossia per i loro concittadini,
facendosi collaborazionisti della prepotenza del mercato e della finanza
internazionale. Cercavano di rendere sempre più poveri i poveri, più facilmente
licenziabili gli operai, più indifesi i deboli, arrivando a criminalizzare il
sindacato che li difendeva. Poi magari versavano una lacrimetta[2] pensando che
gli Italiani, che noi Italiani, non fossimo logici[3]. Davanti a tanta scellerata
ipocrisia “difficile est saturam non
scrivere”[4], è difficile non scrivere satire. Chi ha saputo scriverle e
recitarle interpretando l’indignazione dei suoi connazionali, ha trionfato: “facit indignatio verba”[5], è l’indignazione a mettere
insieme le parole. Lo sdegno dell’uomo satirico, o piuttosto silenico[6], ha
incoraggiato e autorizzato l’ecce homo
alla ribellione.
Quegli homines, con l’ecce e
tutto[7], sono i tanti Italiani poveri.
Questa conversione dai partiti vetusti al
nuovo rimarrà una rivolta pacifica se il voto cambierà qualche cosa e i giovani
satiri allievi dell’opimo, gran nuotatore Sileno agiranno bene.
Lo dicono anche i bambini giocando:
"at pueri ludentes 'Rex eris'
aiunt/'si recte facies"[8].
Altri perdenti, dico Ingroia e i suoi tra
i quali mi colloco poiché non intendo saltare sul carro del vincitore, hanno
perso pur dicendo cose giuste. Abbiamo perso perché le abbiamo dette in modo
poco perspicuo, con voce esile e pronuncia non chiara. C’era bisogno di uno
scossone coribantico appunto, di un rullo di tamburi che spingesse alla carica.
Tympana
tenta tonant et cymbala circum
Concava,
raucisonoque minantur cornua cantu[9].
Dopo tanto frastuono, ora vediamo cosa
sanno fare sileni, satiri, baccanti e coribanti. Se alla furia dionisiaca
sapranno aggiungere il “nulla di troppo” delfico e apollineo.
Se faranno bene collaboreremo con loro,
se non faranno bene finiranno come gli altri nella spazzatura della politica e
della storia.
Lo sanno anche i bambini.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
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[1] Petronio contrappone l'umbraticus doctor deleterio ai grandi
tragici: “cum Sophocles aut Euripides
invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia
deleverat” (Satyricon, 2), quando
Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era
ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni.
[2] Cfr. Dante, Purgatorio, V, 107
[3] Cfr. Dante, Inferno, XXVVI, 123.
[4] Giovenale (60-130 d. C.), Satire, I, 30)
[5] Cfr. Giovenale, Satire, I, 79.
[6] Il Magnifico Lorenzo de' Medici nella
Canzona di Bacco, celeberrimo “trionfo”
del 1490, raffigura Sileno montato su un asino: “Questa soma, che vien
drieto/sopra l'asino è Sileno/così vecchio è ebbro e lieto,/già di carne e
d'anni pieno;/se non può star ritto almeno/ride e gode tuttavia./Chi vuol esser
lieto, sia,/di doman non c'è certezza" (vv. 29-36).
[7] Cfr. Nietzsche, Lettera del 14
novembre 1888 all’amica Meta: “Questo
homo sono cioè io stesso, compreso l’ecce”
[8] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[9] Lucrezio, De rerum natura, II, 618-619: “I tamburelli tesi tuonano sotto i
palmi e i cembali concavi intorno, e con il rauco suono minacciano i corni"
Speriamo veramente in Apollo!
RispondiEliminaalessandro