Un breve
tratto della II lezione del mio seminario. martedì 12 febbraio. Aula Guglielmi
17-19.
La poesia epica come antecedente della storia.
L’Odissea di Omero e le varie
riapparizioni di Ulisse. Lettura dei primi versi del poema omerico.
Il poema di Apollonio Rodio. Virgilio e Ovidio.
Aspetti
dell'uomo Ulisse.
“Ulisse è uno di quei personaggi che dalle
profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiave… E’ un
tipo incredibilmente furbo. Possiede una qualità che i Greci chiamano métis, astuzia. Un’astuzia che gli
consente di cavarsela tutte le volte che sembra ormai perduto. Ulisse ha tutto
contro, combatte con forze più grandi di lui, eppure trova il modo, con
astuzia, scaltrezza, bugie - dissimulando il proprio pensiero - di inventarsi
qualcosa e avere, infine, la meglio”[1].
Nel I canto dell'Iliade Odisseo è già l'uomo che, molto dotato di intelligenza[2]
riceve l'incarico di ricondurre Criseide al padre per ristabilire la pace tra
il sacerdote di Apollo e Agamennone. Nel secondo canto del poema più antico
Odisseo, simile a Zeus per intelligenza[3], riceve da Atena il compito di
trattenere la fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole[4].
La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un altro
epiteto formulare[5], il quale lo caratterizza come uomo intelligente e capace.
Capace di che cosa? Intanto notiamo questa capacità di ristabilire una
situazione compromessa; infatti nel II canto dell’Iliade Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga alternando le
blande parole con le ingiurie e facendo cadere lo scettro-bastone sul petto e
le spalle dell'uomo deforme[6], l’odiosissimo[7] Tersite dalla lingua
confusa[8].
“Egli lo spoglierà completamente e lo scaccerà a
forza di bastonate dal posto in cui è riunito l’esercito (ajgorh'qen[9]). Non vi viene
subito in mente il pharmakos o capro
espiatorio, l’uomo più brutto della comunità, che veniva trasformato in vittima
espiatoria e scacciato dalla città?”[10].
Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e
ristabilizzante.
Quindi egli parla all'esercito, non senza essere
stato adornato con altri epiteti[11]; infine l’Itacese viene designato con una
qualificazione più specificamente odissiaca[12].
Agli epiteti esornativi non bisogna dare troppa
importanza poiché spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla
necessità metrica che "nella poesia omerica è fattore determinante anche
per la scelta delle espressioni e degli epiteti"[13].
Invece sono caratterizzanti le parole che
Odisseo rivolge all'assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati
di essere come bambini piccoli o come donne vedove[14] mettendo in luce una
distinzione tra l'uomo compiuto[15], egli stesso, capace di riflettere,
parlare, agire, e l'uomo bambino o l'uomo-comare querula, creature dalla
ragione meno sviluppata. La maturità riflessiva e intelligente, indipendente
dall'istinto del gregge è un aspetto distintivo dell'uomo Odisseo. E' proprio
questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr, latinamente vir ,
capace appunto di virtù la quale, afferma Nietzsche, “è il vero e proprio
vetitum entro ogni legislatura di gregge”[16]. Di tale virtù fa parte la
capacità di opporre resistenza ai mali e alle minacce di cui è piena la vita,
di sopportale. Un'esortazione che Ulisse rivolge più volte a se stesso e ai
suoi compagni di avventura a cominciare da questo discorso dell'Iliade dove esorta i soldati dicendo: “tenete
duro cari e aspettate del tempo”[17].
Nell'Iliade
si trova anche qualche indicazione sull'aspetto fisico di Odisseo. Nella
lezione precedente avevo ricordato che Ulisse non era bello (non formosus erat), ma sapeva parlare (sed erat facundus Ulixes) e, pur non
essendo un Adone, fece torcere d’amore le dee dell’acqua, Circe e Calipso (et tamen aequoreas torsit amore deas)[18]
. Vediamo dunque se e quanto era poco bello.
Nel terzo canto dell’Iliade Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri
Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli parve più piccolo della testa di
Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi[19].
La maliarda rispose che quello era Odisseo
esperto di ogni sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore
aggiunge che anche lui l’aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con
Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando
stavano in piedi, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle[20].
Ulisse dunque, levatosi in piedi, se stava
zitto, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno furente e pazzo, ma, quando
parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di neve d'inverno (v.
222), e allora non si provava più
meraviglia per l'aspetto.
Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo
stile oratorio affermando di preferire fra tutte “illam orationem similem
nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam, sed et largam, postremo divinam
et caelestem” (Ep. I, 20), quell'eloquenza simile alle nevi invernali, cioè
densa e serrata, ma anche copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo.
Leopardi che era difettoso nel corpo, e lo
sopravvalutava, non ammette la bruttezza nell’eroe epico: “La perfettibilità
dell’uomo, come altrove ho detto, non ha che fare col corpo. E con tutto ciò la
perfezione del corpo, che non dipende dagli uomini, né è opera della ragione,
si è la principal condizione che si ricerca in un eroe del poema ec. (o si dee
supporre, perché ogni menoma imperfezione corporale suppostagli guasterebbe
ogni effetto) e la più efficace, supponendolo ancora perfetto nello spirito.
Questa circostanza non si può tacere; quando anche si taccia, la supplirà il
lettore; ma fare espressamente un protagonista brutto è lo stesso che
rinunziare a qualsivoglia effetto”[21].
Ma, abbiamo ribadito, la bellezza di Odisseo sta
nelle sue parole. Ulisse è un artista della parola.
Nell’XI canto dell’Odissea Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che
il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368).
“Il mondo sopra il quale Ulisse regna come un
sovrano onnipotente è quello del racconto… Nessuno conosce, quanto lui, l’arte
di appropriarsi le più diverse esperienze: nessuno ha una memoria così
incessante, e una mente equivoca come il destino, insolubile come i nodi di
Circe, colorata come Ermes, multiforme come Proteo, menzognera come quella dei
ciarlatani di strada. Sia Agamennone sia le Sirene lo chiamano “colui che
conosce molte storie”[22]. Così Ulisse diventò il simbolo dell’arte di
raccontare. Tutti i romanzieri sono andati alla sua scuola, cercando di
possedere i suoi doni… Esiodo affermava che le Muse sanno “dire molte menzogne
simili al vero”, ma sanno anche, quando vogliono, “cantare cose vere”… Nell’Odissea, la teoria del racconto, è, per
questo aspetto, identica alla teoria proclamata da Esiodo. Ci sono racconti
falsi, come le storie che, giunto a Itaca, Ulisse narra a Eumeo, ai Proci, a
Penelope, per ingannare amici e nemici e divertire sé stesso. Ma ci sono anche
quelli veri”[23].
Ulisse dunque non è bello ma è l'eroe e l'esteta
della parola.
Sotto questo aspetto egli prefigura il capo della
povli" democratica nella quale
la forza della parola sarà decisiva per il successo dell'uomo politico. “Il
sistema della polis implica prima di
tutto una straordinaria preminenza della parola su tutti gli altri strumenti
del potere. Essa diventa lo strumento politico per eccellenza, la chiave di
ogni autorità nello Stato, il mezzo di comando e di dominio su altri. Questa
potenza del linguaggio - di cui i Greci fecero una divinità: Peitho, la forza di persuasione - ricorda
l'efficacia delle parole e delle formule in certi rituali religiosi, o il
valore attribuito ai “detti” del re quando egli pronuncia sovranamente la themis; in realtà, tuttavia, si tratta
di una cosa affatto diversa. Il linguaggio non è più la parola rituale, la
formula giusta, ma il dibattito contraddittorio, la discussione,
l'argomentazione. Presuppone un pubblico al quale esso si rivolge come a un
giudice che decide in ultima istanza, per alzata di mano, tra i due partiti che
gli sono presentati: è questa la scelta puramente umana che misura la forza di
persuasione rispettiva dei due discorsi, assicurando la vittoria di uno degli
oratori sul suo avversario... Tra la politica e il logos c'è così un rapporto
stretto, un legame reciproco. L'arte politica consiste essenzialmente nel
maneggiare il linguaggio"[24].
Sulla scorta di Esiodo aggiungerei che anche
l'arte erotica e diverse altre consistono in buona parte nel maneggiare il
linguaggio.
La bellezza e la forza della parola
costituiscono la potenza decisiva per un greco.
Il principe della retorica del IV secolo,
Isocrate, celebrerà la facoltà di parlare con queste parole: “mevgiston ga;r ejn ejlacivstw/,
nou'" ajgaqo;" ejn ajnqrwvpou swvmati” (A
Demonico, 40), un'entità grandissima in una cosa piccolissima, è una buona
mente in un corpo umano[25].
In effetti “il padroneggiamento della parola
vale qual segno della sovranità della mente”[26].
Odisseo del resto non è solo intelligente
ma anche coraggioso.
Ne un elogio in questo senso Diomede quando
vuole scegliersi un compagno per entrare nel campo dei nemici, e, tra quanti si
offrono, sceglie appunto l'Itacese il cui cuore è pronto e l'animo
coraggioso[27] e per giunta è molto bravo a pensare[28] .
Non
luminosa però è la fama della sua schiettezza.
Nell'Ippia
minore di Platone il sofista eponimo del dialogo sostiene che mentre
Achille è veritiero e semplice (“ajlhqhvv" te kai; aJplou'"”, 365b) Odisseo è invece “poluvtropov" te kai; yeudhv"”, versatile e
menzognero.
Sono i luoghi comuni della letterarura
successiva a Omero la quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo
Odisseo: Achille nell’Ifigenia in Aulide
chiarisce a Clitennestra che lo educò Chirone: “perché non imparasse gli usi
degli uomini malvagi”[29].
Più avanti il figlio di Peleo riconosce tale
capacità paideutica all'uomo piissimo che l'ha allevato dal quale: “ha imparato
ad avere semplici i costumi”[30]. L’antitesi del semplice, onesto Achille in
questa tragedia, e non solo, è Odisseo del quale Agamennone dice: “è molteplice
per natura e sempre dalla parte della massa[31]. Cioè un demagogo. Oggi si
direbbe un “populista””.
Nel dialogo Platonico Ippia riceve una
confutazione da Socrate.
Il sofista ricava la distinzione tra i due capi
achei dal IX libro dell'Iliade dove
Fenice Aiace e Odisseo vanno in ambasceria da Achille che irato non combatteva
ma faceva l'aedo, ossia cantava glorie di eroi accompagnandosi con la cetra (“fovrmiggi..a[eide kleva ajndrw'n", vv.186 e189).
Dopo l'accoglienza cordiale, il cibo e la bevanda, Odisseo parlò ("Aiace -
nota Jaeger - personifica piuttosto l'azione, Odisseo la parola”[32])
scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne mari e
monti da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le
porte dell'Ade chi una cosa tiene nascosta e un'altra ne dice[33].
L' Ippia di Platone sostiene che non a caso
Omero fa indirizzare queste parole a Odisseo.
Socrate risponde opponendosi a questa opinione comune della schiettezza di
Achille e affermando che il Pelide mente non meno di Odisseo, poiché ha detto
all’Itacese che sarebbe partito[34], e invece ad Aiace che non si sarebbe mosso
fino all’arrivo di Ettore davanti alla sua tenda[35]. Ippia sostiene che
Achille non mente di proposito. Socrate invece afferma che Achille ha mentito
deliberatamente a Odisseo per superarlo anche nell’arte del raggiro e aggiunge
che coloro i quali danneggiano, gli altri, e commettono ingiustizia e mentono e
ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~) [36] sono migliori di quelli che lo fanno
involontariamente (a[konte~)[37]. Infatti chi fa
del male volontariamente, se vuole fa del bene, chi lo fa involontariamente non
sa fare altro. E’ molto peggio zoppicare per necessità che per gioco.
Socrate nei dialoghi platonici dà sempre scacco
matto ai sofisti.
Infatti Leopardi lo considera il più sofista di
tutti.
E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e
casto parlatore, “l'odiator de' calamistri[38] e de' fuchi[39] e d'ogni
ornamento ascitizio[40] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti
se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).
La questione di Ulisse menzognero comunque
esiste.
“Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L'Aiace e il Filottete di Sofocle testimoniano che accanto all'ammirazione
convenzionale per il grande eroe esisteva anche un'opinione meno favorevole.
Anche l'Ippia minore di Platone
esprime per bocca del sofista gli stessi dubbi sul carattere di Ulisse, ma
Platone ci fa intendere che Ippia non fa che seguire, su questo punto, una
tendenza generale... In ultima analisi questa disposizione verso Ulisse risale
all'Iliade che lo mette a contrasto
come poluvtropo" con lo schietto
carattere di Achille. Anzi nell'Odissea
(q 75[41]) si ritrova l'antica tradizione intorno a questo contrasto dei due
grandi eroi nel canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille"[42].
Vediamo alcune testimonianze decisamente
contrarie a Odisseo
Nel Filottete
di Sofocle, Neottolemo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia
delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi[43], Odisseo .
Pindaro nell’Istmica
IV denuncia l’oscurità del destino (v. 31), che fece cadere Aiace, puvrgo~[44] la torre, con gli
artifici di chi valeva meno di lui, ma Omero gli ha reso onore tra gli uomini, all jOmhrov~ toi tetivmaken di j
ajnqrwvpwn
(v. 37).
Nella Nemea
VIII il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di
eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso
discorso ingannevole di Odisseo. Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’
generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di
regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le
ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei”[45].
Nella parodo dell’Ecuba di Euripide, il coro delle prigioniere troiane presenta
Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn) furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo» (vv.
131-132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena. In questa
tragedia il figlio di Laerte è un freddo politico per cui vale solo la ragion
di stato che calpesta tante vite innocenti. Nel primo episodio la vecchia
regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa
dannata dei demagoghi: «Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il
favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di
danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma
quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza?
Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove
sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba, vv. 254-261). Poco più avanti
Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta
espressione di umanesimo in favore della vita: “mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li"" (v. 278), non
ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nel dramma satiresco Ciclope, di Euripide, quando Odisseo entra in scena definendosi
Itacese, signore dei Cefalleni, Sileno replica: “oi\d j a[ndra, krovtalon drimuv, Sisuvfou gevno~” (vv. 103-104), conosco
quel tipo, un sonaglio petulante, razza di Sisifo[46].
Nell'Eneide
Ulisse è malfamato: "sic notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete
Ulisse? domanda Laocoonte, e più avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne
denuncia la trama criminale contro Palamede morto "invidia pellacis
Ulixi" (II, 90) per l'invidia del perfido Ulisse e lo definisce
"scelerum inventor" (II, 164) ideatore di crimini. Durante il viaggio
dei Troiani profughi verso l’Italia, racconta Enea: “Effugimus scopulos Itacae,
Laërtia regna, et terram altricem saevi exsecramur Ulixi ”[47], evitiamo gli
scogli di Itaca, regno di Laerte, e malediciamo la terra del crudele Ulisse. Nel
VI canto Deifobo raccontando la sua fine definisce Ulisse, l’Eolide[48], hortator scelerum (v. 529), istigatore
di scelleratezze.
Nelle Troiane
di Seneca, Andromaca annuncia l'arrivo di Ulisse con queste parole: “Adest
Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque:/nectit pectore astus callidos"
(vv. 521-522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un'espressione
equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre. Più avanti la vedova di Ettore
lo apostrofa in questo modo: "O machinator fraudis et scelerum
artifex,/virtute cuius bellicā nemo occĭdit,/dolis et astu maleficae mentis
iacent/etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris
facinus tui" (vv. 750-754) o tessitore di frodi e artefice di inganni, per
il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per i tuoi inganni e
l'astuzia della mente malefica giacciono morti anche i Pelasgi, ora metti
avanti l'indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto dell'animo tuo. Ulisse
vuole la morte del piccolo Astianatte pensando ai lutti che il bambino se
divenisse grande procurerebbe alle madri greche. Come quelli che nel 2004
approvavano i bombardamenti sui bambini iracheni.
Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope
scrive a Ulisse, qualificandolo come ferreus
(v. 58), e immaginando che peregrino
captus amore (76), sia preso dall’amore
per una straniera cui “Forsitan et narres quam sit tibi rustica
coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77-78), forse racconti quanto
sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.
“Al Dante che voleva narrare di Ulisse, si
presentavano tre tradizioni mitiche e letterarie di grande autorevolezza. Nella
prima, l’eroe greco è un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie
false, un oratore illusionista. Tale appare a Virgilio nell’Eneide, a Ovidio nelle Metamorfosi, a Stazio nell’Achilleide, e a tutta una serie di scrittori
posteriori come Ditti, Benoît de Sainte Maure, Guido delle Colonne e così via.
E non c’è alcun dubbio sul fatto che Dante condanni Ulisse all’inferno per le
sue frodi: come chiarisce Virgilio nella sua presentazione della fiamma
cornuta, per “l’agguato del caval”, e per gli stratagemmi con cui riuscì,
assieme a Diomede, a strappare Achille a Deidamia e a rubare il Palladio… D’altro
canto, le ali della fazione avversa, come i remi di Ulisse, sorvolano la
proibizione mitico-ontologica (antica e medievale) delle Colonne d’Ercole e, in
spirito ultra-umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa,
Ulisse rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del
vizio, il nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale
dell’uomo ‘classico’… Cicerone, Orazio, Seneca, ma anche Fulgenzio e, nel
Medioevo stesso, Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio, contemporaneo e
amico di Dante, parlano di Ulisse in questi termini”[49].
Dante apre il Convivio con la memorabile frase aristotelica, “tutti li uomini
naturalmente desiderano di sapere”, e Ulisse è il prototipo dell’uomo affamato
di conoscenza. Egli rischia la vita molte volte per il desiderio di imparare.
Le Sirene per attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di
gioia e conoscendo più cose[50] Dante-personaggio della Commedia si sente attratto verso Ulisse da un desiderio
intensissimo (“vedi che del desio ver’ lei mi piego”, dice a Virgilio); eppure
il poeta fiorentino avverte il pericolo estremo che Ulisse rappresenta per lui
“Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio:
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ‘ngegno affreno ch’io non soglio,
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ha dato ’l ben, ch’io stesso nol m’invidi”[51]
Infine, Dante-poeta fa affondare il suo eroe da
Dio; Dante il giudice lo condanna all’Inferno; e perfino dal Paradiso il
personaggio-autore ribadirà che il “varco” di Ulisse è stato “folle”.
Dante è uno di quei poeti che, come Sofocle tra
i Greci, considerano limitata l’intelligenza umana e colpevole l’uomo che non
tiene imbrigliata la propria. Il che non toglie che entrambi sappiano trarre
bellezza dalle parole.
Nell’Odissea
invece il protagonista eponimo è un uomo la cui intelligenza è favorevole alla
vita. Magris lo considera l’archetipo dell’uomo occidentale: “L'io occidentale
è simboleggiato da Odisseo, che costruisce faticosamente la propria identità ed
il proprio dominio - su Itaca, sul suo equipaggio e su se stesso - rinunciando
alle sirene, a Calipso e al fiore del loto ossia resistendo alla tentazione di
abbandonarsi alla beata indifferenza in grembo alla natura"[52].
L'inversione di questo processo cui tende Nietzsche, continua Magris, è
"lo scioglimento dionisiaco dell'io".
Tale tendenza alla “dispersione dionisiaca
dell'io nel fluire sensibile” veramente è ben più antica di Nietzsche, però è
condivisibile anzi è ineccepibile la collocazione dell'uomo Odisseo nella
categoria dell'apollineo: egli è l'uomo che si individua nella conoscenza e nel
dolore, quindi difende e mantiene il principium individuationis davanti a tutte
le lusinghe e contro tutti gli assalti. L'Odissea
è dunque "hjqikhv", fatta di
caratteri, come la definiva già Aristotele[53], oltre che complessa per via dei
numerosi riconoscimenti, a partire dall'ajnagnwvrisi" che di se stesso compie Odisseo. E attraverso
la sua lettura tutti noi possiamo riconoscere qualche cosa di quello che siamo,
arrivando alla scienza suprema, quella prescritta dall'oracolo delfico.
"Conosci te stesso" è tutta la scienza. Solo alla fine della
conoscenza di tutte le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti
sono soltanto i limiti dell'uomo"[54].
Giovanni ghiselli
g.ghiselli@tin.it
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[1] J.Pierre Vernant, C’era una volta Ulisse, p.5.
[2] poluvmhti", vv. 311 e 440
[3] Dii; mh'tin ajtavlanton, v. 169
[4] ajganoi'" ejpevessin", v. 180
[5] polumhvcano~, v. 173
ricco di risorse
[6] ai[scisto" ajnhvr, Iliade
II 216
[7]
e[cqisto~, Iliade II, 220.
[8]
Iliade II, 246.
[9] Iliade
II, 264 ndr
[10] G. Murray, Le origini dell’Epica greca, p.
269.
[11] di'o", v. 244, splendido, molto generico invero:
attribuito in XIV, 3 dell'Odissea
anche al porcaro il quale del resto ha un comportamento nobile,; poi ptolivporqo", v 278 distruttore di
rocche, anche questo generico e attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares
Achille e Oileo
[12] eϋfronevwn, Iliade II, v. 283, assennato
[13]Cantarella-Scarpat, Breve introduzione a Omero, p. 151.
[14]
w{" te ga;r
h] pai'de" nearoi; ch'raiv te gunai'ke", Iliade II, v. 289
[15] l'a[ndra del primo verso dell'Odissea
[16] Scelta
di frammenti postumi 1887-1888 , p. 324.
[17] tlh'te, fivloi, kai; meivnat j ejpi; crovnon (II, v. 299)
[18] S. Kierkegaard, Diario del seduttore, p. 75. La citazione è tratta da Ovidio, Ars Amatoria, II, 123-124.
[19] meivwn me;n kefalh'/ jAgamevmnono" jAtreΐdao,/ eujruvtero" d&w[moisin ijde; stevrnoisin
ijdevsqai
(vv. 193-194)
[20] stavntwn me;n Menevlao" uJpeivrecen eujreva"
w{mou",
v. 210.
[21] Zibaldone,
1692.
[22] Poluvain j (XII, 184). Nel Satyricon Circe offre amore a Encolpio dicendo: “nec sine causa Polyaenon
Circe amat: semper inter haec nomina magna fax surgit. sume ergo amplexum, si
placet” (127, 7), non senza motivo Circe ama Polieno: sempre tra questi nomi
guizza una grande fiamma. Prendimi dunque tra le braccia, se ti va. La donna
vuole facilitare l'unione con l'espediente scaramantico del nomen omen. “Quando, infatti, Encolpio a
Crotone prenderà il nome di Polieno e s'imbatterà in una matrona di nome Circe,
diverrà inevitabile l'incontro fra lui e Circe sul terreno amoroso proprio
perché così è accaduto al polyvainos
Odisseo” (P. Fedeli, Lo spazio letterario
di Roma antica, vol I, p. 356.). Ndr.
[23] P. Citati, La mente colorata, p. 163.
[24] J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco, pp. 47-48.
[25] mevgiston ga;r ejn ejlacivstw/, nou'" ajgaqo;"
ejn ajnqrwvpou swvmati" (A Demonico, 40)
[26] W. Jaeger, Paideia 1, p. 38.
[27] ou| pevri me;n provfrwn kradivh kai; qumo;"
ajghvnwr",
Iliade X, v. 244
[28] perivoide noh'sai", v. 247.
[29] i{n j h[qh mh; mavqoi kakw'n brotw'n” (v. 709),
[30] ejgw; d j, ejn
ajndro;" eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon tou;"
trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926-927)
[31] Poikivlo~ ajei; pevfuke tou' t j o[clou mevta” (v. 526)
[32]
Padeia 1, p. 69.
[33]
o{" c j e{teron me;n keuvqh/ ejni; fresivn, a[llo
de; ei[ph/", Iliade IX, v. 313.
[34] Iliade
IX, 682-683
[35] Iliade,
IX, 650-655.
[36] Si pensi alla rivendicazione di Prometeo
nei confronti della propria tasgressione: “eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai”, (Prometeo
incatenato, 266) “di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la
trasgressione, non lo negherò”. Queste parole del Titano ribelle forniscono una
legittimazione all'ira di Zeus e argomenti a Nietzsche in La nascita della tragedia per nobilitare "la concezione
ariana" del peccato attivo: “La cosa migliore e più alta di cui l’umanità
possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi
accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui
i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di
ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito
semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la
seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili
fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è
l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica” F. Nietzsche. La nascita della tragedia, p. 69.
[37] Ippia minore, 372 d
[38] Da calamistrum,
“ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[39]
Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[40]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
[41]
Nell'VIII dell'Odissea Demodoco canta
tra l'altro: “nei'ko" jOdussh'o" kai; Phleïvdew
jAcilh'o"”, la lite tra Odisseo e Achille Pelide.
[42]
W. Jaeger, Paideia 1, p. 61 n. 16.
[43]
pro;~ tou' kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~ (384)
[44] Cfr. Odissea,
XI, 556.
[45] Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 221-225.
[46] Secondo una leggenda Anticlea, la madre di
Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe avuto una tresca con Sisifo,
famoso per i suoi inganni, e da questa
relazione sarebbe nato Odisseo
[47] Eneide
III, 272-273
[48] “Qui, come annota Servio, si segue la
leggenda secondo cui Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con
Laerte, avrebbe giaciuto con Sisifo, figlio di Eolo, e “vasel d’ogni froda”,
dal quale avrebbe avuto Odisseo” (E Paratore (a cura di), Virgilio, Eneide, vol. III, libri V-VI, p. 292)
[49] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 54.
[50] kai;
pleivona eijdwv", Odissea, XII, 188.
[51] Inferno, XXVI, 19-22
[52] L'anello
di Clarisse, p. 6.
[53] Poetica,
1459b.
[54] Nietzsche, Aurora, p. 40.
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