Non tutti i bambini diventano persone mature e
coscienti di sé.
Lo afferma Cicerone nell'Orator [1]:
"Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse
puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum
superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa
sia accaduto prima che tu sia nato, equivale ad essere sempre un ragazzo. Che
cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli
venuti prima, attraverso la memoria storica?
Anche gli amori, per crescere diventare grandi,
adulti, hanno bisogno di storia: “Anche gli amori muoiono nell’attimo: vivono
se diventano storia, cioè lunga fedeltà, rapporto con l’altro”[2].
Restare bambini, dal punto di vista
del pensiero, non è cosa buona.
Gli abitanti degli
Stati Uniti, si dice, hanno qualche cosa di infantile. In effetti da loro non
si respira la Storia.
“Le strade, le piazze dove camminano li uomini, le donne e i bambini europei hanno preso il nome da
statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi…
Le Streets e le Avenues in America sono semplicemente numerate; nei casi migliori, come a
Washington, hanno anche un orientamento, visto che il numero è seguito da un North o da un West. Le automobili non hanno il tempo per meditare su una Rue
Nerval o su un Largo Copernico. La sovranità del ricordo, questa auto-definizione
dell’Europa come lieu de la mémoire,
come luogo della memoria, ha però un lato oscuro. Le targhe affisse su tante
case europee non parlano solo dell’eminenza artistica, letteraria, filosofica e
politica. Commemorano anche secoli di massacri e di sofferenze, di odio e di
sacrifici umani…L’Europa è il luogo in
cui il giardino di Goethe confina con Buchenwald, in cui la casa i
Corneille s’affaccia sulla piazza del mercato dove Giovanna d’Arco venne
orribilmente messa a morte. Da questo censimento marmoreo, sembra che il numero
dei morti superi quello dei vivi…L’America del Nord rifiuta proprio questa
rete. La sua ideologia è quella dell’alba e del futuro. Quando Henry Ford ha dichiarato: “La storia è una sciocchezza”,
lanciava la parola d’ordine dell’amnesia creativa, inneggiando a quel
potere di dimenticare che è necessario all’inseguimento pragmatico dell’utopia”[4].
Leopardi trova che nella sua età prevalgano “creature”, giovani e anziane, infantilmente insensate[5]:
"Amico mio, questo secolo è un
secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a
nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E
questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi
hanno fatto gli uomini, e farlo appunto
da ragazzi, senza altre fatiche preparatorie"[6].
In fondo ogni uomo è solo "un tentativo, un
incamminato. Ma si deve essere incamminati verso la perfezione, in direzione
del centro, non della periferia"[7].
Il centro è l'individuazione della propria humanitas,
il riconoscimento dell' homo sum.
E’ difficile diventare
uomini: “La vita di
ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via,
l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso,
eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo
le possibilità…Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole,
formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della
natura verso l'uomo"[8].
“Ricordate
di certo la favola di Esopo, quando
Prometeo, su precisa indicazione di Zeus, plasma uomini e animali. Allorché
Zeus si rende conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani,
ordina a Prometeo di disfare un po’ di
animali per trasformarli in uomini. E’ questo il motivo, afferma Esopo, per
il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la loro forma umana sin
dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima d’una bestia”[9].
“Pro;~ a[ndra
skaio;n kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~”[10],
la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi:
esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa,
digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno,
legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la
storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[11].
"Il benessere dell'albero per le sue radici,
la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da
un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi
giustificati nella propria esistenza- è questo ciò che oggi si designa di
preferenza come il vero e proprio senso
storico"[12].
E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.
“La storia è il nostro accaduto, è ciò
che continuamente accade nel tempo. Ma tale è anche ciò che è stratificato, lo strato sotto il suolo su cui camminiamo e quanto più profondamente
le radici del nostro essere arrivano allo strato insondabile di ciò che,
sebbene posto sotto e fuori i confini fisici del nostro io, tuttavia lo plasma
e alimenta (così che in ore di meno vigile coscienza possiamo parlarne in prima
persona, come se appartenesse alla nostra carne), tanto più spiritualmente “carica” è la nostra vita, tanto più degna è
l’anima della nostra carne”[13].
Noi gettiamo radici nei luoghi della terra dove
facciamo esperienze: “poiché molti eventi egli vi aveva vissuto e le storie che
noi viviamo in un luogo sono simili a radici che gettiamo nel suo sottosuolo”[14].
“Maturità della
mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[15].
Il senso
storico e quello letterario di T. S. Eliot
impongono una visione d’insieme:
"with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer
and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous
existence and composes a simultaneous order"[16],
con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero,
e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un'esistenza simultanea e compone un
ordine simultaneo.
Mito e
Storia.
Difficile e tardiva è la
distinzione tra mito e storia: “l’età eroica, che coinciderebbe press’a poco con l’età
micenea dei nostri libri di storia, era caratterizzata, secondo i Greci, da
certi elementi divini, che nessun “razionalismo” poteva eliminare. Ecateo[17]
stesso riferisce che gli Egiziani calcolavano ben 345 generazioni di soli
uomini, generazioni che non avevano avuto contatto con gli dèi. Ma non
riusciva a buttar via, per questo confronto egiziano, la sua convinzione che gli dèi avessero avuto rapporti con gli uomini,
in Grecia, fin verso un’epoca che coinciderebbe, grosso modo, con il nostro 1100 a . C. (la fine dell’età micenea-submicenea). Infatti,
imperturbabile, continuava ad affermare, per esempio: “A Danae si unisce
Zeus”…questo “genealogo”, cioè studioso del mondo eroico, non può negare il
presupposto fondamentale di quella storia eroica ch’egli tratta: il commercio,
cioè, fra uomini e dèi.”[18].
Platone nel Timeo racconta che quando
Solone era in Egitto, un sacerdote molto vecchio gli disse: “Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e
un Greco vecchio non esiste; voi siete giovani d’anima perché in essa non avete
riposto nessuna vecchia opinione (22b ss.). Essi non hanno ricordo delle
vicende più antiche a causa dei diluvi che periodicamente ne sconvolgono la
civiltà. Il diluvio celeste lascia
sopravvivere solo gli ignari di lettere e di Muse, sicché si perde il ricordo
dei tempi antichi. Gli Ateniesi novemila anni prima avevano le stesse leggi
degli Egiziani e si opposero all’imperialismo di Atlantide ma poi ci fu una
catastrofe per la quale i guerrieri di
Atene sprofondarono dentro la terra e Atlantide
fu assorbita dal mare (Timeo, 25d).
Nel
Crizia sono descritte Atlantide e
Atene come città rette da dèi: la prima da Posidone, Atene da Atena ed Efesto.
In Atlantide però si estinse l’elemento divino ed essa diventò gonfia di
ingiustizia e di prepotenza (121b). Allora Giove, compresa la degenerazione
della stirpe, decise di punirla.
La storia nacque dalla poesia.
Giambattista
Vico afferma che "la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre,
utilizzando un passo di Strabone[19] (I, 2, 6) sulla
continuità tra l'epica ed Ecateo, :"prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo
milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor
poeti"[20].
Nevio
scrisse il Bellum Poenicum, in
saturni, con la prima guerra punica, Ennio gli Annales già in esametri, con la seconda quando la storiografia
statale era solo annalistica. Con questi poeti arcaici la storia è già opus oratorium. In un passo degli Academica,
Cicerone afferma che i poeti arcaici, Ennio, Pacuvio, e Accio e molti altri
piacciono “qui non verba, sed vim
Graecorum expresserunt poetarum” (III, 10), poiché resero non le parole ma
la forza dei poeti greci.
Analoga valutazione estetica si trova nel Prologo dell'Andria dove
Terenzio si difende dall'accusa di contaminatio menzionando i
suoi maestri Nevio, Plauto, Ennio:" quorum aemulari exoptat
neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam" (vv. 20-21),
dei quali preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto che la buia
diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio
Lanuvino e degli altri detrattori.
Attico nel De legibus dice a Cicerone, che dovrebbe scrivere la historia la quale manca alle lettere
romane: “quippe cum sit opus , ut
tibi quidem videri solet, unum hoc
oratorium maxime” (I, 5), dal momento che appunto essa, come appunto a
te sembra di solito, è l’unica scrittura
adatta all’oratore.
Quindi aggiunge che nihil potest esse ieiunius,
niente può essere più scarno degli annali dei pontefici massimi, poi anche
le storie di Fabio Pittore[21], Catone,
Fannio (genero di Lelio) e Venonio sono cosa exile, (I, 6), roba povera.
Cicerone nel De oratore (II, 12-15, 51-62) fa dire a
Catulo che tra i Greci per essere grande storiografo bisognava essere anche
grande oratore, mentre fra i latini “satis
est non esse mendacem”.
La storia ufficiale infatti non era altro che
compilazione di annali (erat enim
historia nihil aliud nisi annalium confectio).
Gli annales pontificum erano scarne cronache
annuali.
Storiografia
moralistica e retorica secondo Auerbach.
La storiografia “ retorica”, oltre che “moralistica””
di cui parla Auerbach in Mimesis dunque inizia con Sallustio.
Auerbach
analizza alcuni capitoli [22] del I libro
degli Annales di Tacito.
Secondo Auerbach le parole di Tacito denigrano
la ribellione dei legionari:"A suo
modo di vedere, si tratta soltanto d'arroganza plebea e di mancanza di
disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è soltanto la schiuma sempre
pronta alla ribellione; per il caporione
Percennio, ex capo di claques teatrali[24] col suo "histrionale
studium", che si atteggia a generale (velut contionabundus"),
egli ha il più profondo disprezzo"[25].
Tacito dunque denigra la rivolta senza nessuna
comprensione per le difficoltà e le richieste dei soldati: “una legione in rivolta per lui non è altro
che una marmaglia senza legge…non soltanto egli non ha nessuna
comprensione, ma in genere nemmeno nessun interesse positivo per quelle
richieste; egli non polemizza contro di esse con argomenti positivi, non si
prende affatto la pena di dimostrare che sono ingiustificate; invece alcune considerazioni puramente
moralistiche (licentia, spes praemiorum,
pessimus quisque, inesperti animi) sono sufficienti per previamente
invalidarle…non esiste nell’antichità una profonda indagine storica che tratti
metodicamente lo sviluppo dei movimenti sociali e nemmeno quelli degli
spirituali. Questo è stato notato di passaggio da studiosi moderni; così il
Norden nella sua (Antik Kunstprosa (II,
647): “Dobbiamo pensare che un’esposizione delle idee generali che muovono il
mondo non è stata in genere mai fatta dagli antichi, anzi nemmeno mai tentata”;
e Rostovcev nella sua Social and Economic History of the Roman
Empire (p. 88) dice: “Gli storici
non s’interessano alla vita economica dell’impero”. Queste due opinioni
rflettono il modo particolare degli antichi di vedere le cose: essi non vedono le forze, bensì vizi e
virtù, successi ed errori: la loro
impostazione del problema non è evoluzionistica né nei riguardi dello
spirito né in quelli della materia; è
invece moralistica…La storiografia
di tipo moralistico, e per di più quasi sempre strettamente cronologico,
che lavora sulle basi di categorie immutabili, non può produrre oggetti sintetico-dinamici, quali adoperiamo noi oggi,
Concetti come “capitalismo industriale” o
“economia di piantagione…e d’altronde anche concetti come Rinascimento,
Illuminismo, Romanticismo, che in
primo luogo designano epoche, ma anche sintesi di fatti…E per tutti questi
concetti è essenziale che in essi il divenire e il trasformarsi , e cioè l’idea
dello sviluppo sia implicita. Al contrario, i concetti moralistici, e perfino
quelli politici (aristocrazia, democrazia e via dicendo) costituiscono
concezioni aprioristiche ancorate all’antichità ”[26].
Auerbach nota che Rostovcev considera gli aspetti
economici dell’impero romano. Per esempio “ si pone la questione di come si
debba spiegare la presenza in Italia d’un numero relativamente grande di
proletari”. Una frase e una domanda simile sarebbero inconcepibili in uno
scrittore antico…Apriamo Tucidide, e
allora troviamo, accanto alla
continua descrizione degli avvenimenti di primo piano, soltanto considerazioni di contenuto statico e aprioristico, per
esempio sopra il carattere degli uomini o il destino, che certo vengono
applicate a situazioni particolari, ma valgono in assoluto.
Torniamo al testo di Tacito. Se non lo interessavano
le pretese dei soldati e non aveva nessuna intenzione di discuterle
oggettivamente, perché nel discorso di Percennio le presenta con tanta
vivacità? Qui esiste un motivo puramente estetico. Dello stile dei grandi storici fanno parte le grandi orazioni, che per
lo più sono finte, servendo a rendere drammaticamente visivo (illustratio) il fatto, e talvolta anche
a esprimere grandi pensieri politici e morali, e in ogni caso debbono costituire i pezzi più brillanti
della rappresentazione…Tacito è un
maestro, e i suoi discorsi non sono semplice decorazione, ma sono veramente pieni del carattere e della
condizione di colui che finge oratore, e tuttavia essi pure sono innanzi tutto
retorici. Percennio non parla la sua lingua, ma quella di Tacito, e cioè
estremamente concisa, eccellentemente ordinata e altamente patetica…E questo è il secondo segno distintivo
della storiografia antica: la retorica. Moralismo e retorica le danno grande ordine, chiarezza ed efficacia
drammatica…qui è il limite. Moralismo e retorica sono inconciliabili con l’idea
della realtà quale sviluppo di forze; la storiografia antica non ci dà né
storia di popoli né storia economica e spirituale”[27].
Nella storiografia antica dunque mancherebbe la
struttura economica.
Santo
Mazzarino non la pensa come Auerbach né come Rostovtzeff.
.
L’autore di Il pensiero storico classico ritiene che nella storiografia greca e
in quella latina non manchi un'ampia e approfondita considerazione dei fatti
economici:"Basta pensare, per es.,
all'archeologia di Tucidide, tutta fondata su aJcrhmativa[28] e crhmavtwn th;n
kth'sin[29]; concetti che lì sono fondamentali, non già semplici riferimenti. Tacito
(…) Plinio il Vecchio (…) hanno interpretato con acutezza i fatti sociali
dell'epoca giulio-claudia"[30].
Si pensi alla crisi dell’agricoltura
italica dovuta all’estendersi dei latifondi, per esempio: latifundia perdidere Italiam"
scrive Plinio il Vecchio[31].
Per quanto riguarda l’autore degli Annales[32] :"Questa
idea della crisi economica dell'Italia domina il pensiero di Tacito, e dà ad
esso toni di tristezza profonda: infatti, la ritroviamo in un passo degli Annali,
XII, 43, meritatamente celebre”[33]:"at
hercule olim Italia legionibus longiquas in provincias commeatus portabat, nec
nunc infecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus,
navibusque et casibus vita populi Romani permissa est ", eppure, per
Ercole, una volta l'Italia mandava vettovaglie per le legioni in province
lontane, né oggi la terra soffre di sterilità, ma noi preferiamo far coltivare
l'Africa e l'Egitto, e la vita del popolo romano è affidata ai rischi della
navigazione.
Siamo nell’ultimo periodo del
principato di Claudio (41-54 d. C.), ma già Ottaviano Augusto temeva che le
campagne rimanessero non coltivate a causa dell'ozio della plebe, e decise di
abolire le distribuzioni frumentarie:"quod earum fiducia cultura
agrorum cessaret "[34],
poiché, confidando in queste, la gente trascurava la coltivazione dei campi.
Tuttavia l'imperatore non perseverò nel proponimento. Poi "Una grande
crisi scoppiò nel 33 d. C. : i latifondi coltivati da schiavi rendevano
impossibile una qualunque concorrenza da parte di piccoli proprietari; questi
si erano indebitati, ricorrendo a prestiti di latifondisti senatori, sebbene ai
senatori fosse proibita l'usura…Ne derivò la rovina di molti piccoli proprietari, i quali svendevano i campi per pagare i
debiti"[35].
Ma torniamo
al rapporto tra storia e poesia e chiudiamo l’argomento
S. Mazzarino esamina il rapporto tra l'opera di Polibio e
la tragedia storica romana:" In
Roma la tragedia era sorta con Nevio, il poeta storico-epico del Bellum Poenicum. In particolare, la tragedia
storica, o "pretesta", dei Romani si connetteva con la più tipica
manifestazione del loro senso della storia e della morte"[36].
Nevio[37] scrisse la praetexta Clastidium che celebrava la vittoria riportata dal
console Marcello sui Galli nel 222 a . C.
Il pesarese Lucio
Accio[38] invece con la pretesta Decius celebrò la vittoria di Sentinum, del 295 a . C., in cui il console Decio Mus, che
comandava l'ala sinistra contro i Galli (alleati dei Sanniti), s'era
consacrato, col rito della devotio
Ricordo anche la praetexta
Ambracia di Ennio[39] che celebrò la spedizione
vittoriosa di Marco Fulvio Nobiliore contro gli Etoli di Ambracia i quali si arresero dopo un lungo
assedio (189 a .
C.). Degli echi di questo fatto militare possono trovarsi anche nell’Amphitruo di Plauto.
Petronio nel Satyricon, attraverso il poeta Eumolpo dà
precetti ai poeti che vogliano verseggiare fatti storici. I modelli sono Omero, i lirici greci, il
romano Virgilio e la curiosa felicitas
(118, 5) l'accurata
fecondità di
Orazio.
Ebbene il poeta deve essere plenus litteris (118, 6), deve avere un’ampia cultura letteraria per non cadere sub onere, sotto il peso dell’impresa. Quindi non deve imitare
gli storici cercando di racchiudere nei versi le imprese militari: “non enim res gesta versibus comprehendendae sunt, quod longe melius historici
faciunt, sed per ambages deorumque
ministeria et fabulosum sententiarum tormentum praecipitandus est liber
spiritus, ut potius furentis animi vaticinatio appareat quam religiosae
orationis sub testibus fides”, cosa che fanno molto meglio gli storici; ma
lo spirito libero deve gettarsi a capofitto in mezzo alle ambiguità e funzioni
divine e la sofferenza leggendaria delle battute, in modo che appaia il
vaticinio di un animo invasato piuttosto che l’affidabilità di un discorso
scrupoloso che dipende dalle testimonianze.
Si pensi al to; mh; muqw'de" di Tucidide :" e la
mancanza del favoloso di questi fatti verosimilmente, apparirà meno
piacevole all'ascolto (I, 22, 4). Il mito e il favoloso dunque, da quando Tucidide
legiferò[40], va lasciato ai poeti. Polibio
che ripete formule tucididèe seguì questa regola. Non altrettanto Tito Livio.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
Questo testo corrisponde a un paio di paragrafi della prossima lezione del mio seminario ( martedì 19 febbraio ore 17-19. Istituto di italianistica e filologia classica, Via Zamboni, 32, aula Guglielmi ).
[2] Natoli, Parole
della filosofia, p. 47.
[3]Il mestiere
di vivere , 24 dicembre 1937.
[4] G. Steiner, Una
certa idea di Europa, p. 37 ss.
[5]Si può pensare agli
infanti centenari dell’età d’argento di Esiodo. Mevga nhvpio~ è
l'attardato bambino pargoleggiante (ajtavllwn) dell’età d’argento: tali tipi umani rimanevano cento anni in casa
con la madre solerte, poi, quando ne uscivano, vivevano per un tempo meschino,
soffrendo dolori per la loro stupidità: poiché non potevano astenersi da
un’insolente prepotenza reciproca (Esiodo, Opere
e giorni, vv 130-135).
[6] Dialogo di
Tristano e di un amico (1832). E’
una delle Operette morali delle quali
l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi
troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) .
Mevga nhvpio~, molto stupido, incapace di parlare, è l'attardato
bambino pargoleggiante (ajtavllwn) dell’età d’argento: tali tipi umani rimanevano cento
anni in casa con la madre solerte, poi, quando ne uscivano, vivevano per un
tempo meschino, soffrendo dolori per la loro stupidità: poiché non potevano
astenersi da un’insolente prepotenza reciproca (Esiodo, Opere e giorni, vv 130-135).
[7] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro (del
1943), p. 81.
[8] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.
[9] Francesco de Stisi e Maria Leone, Luna, p. 172.
[11] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia
per la vita, in Considerazioni
inattuali II, p. 83 e p. 87.
[12] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia
per la vita, in Considerazioni
inattuali II, p. 99.
[13] T. Mann, Giuseppe
e i suoi fratelli. La storia di Giacobbe, p. 213.
[14] T. Mann, Giuseppe
e i suoi fratelli. La storia di Giacobbe,
p. 385.
[15] T. S. Eliot, Che
cos’è un classico? (del 1944) In T.
S. Eliot, Opere, p. 965.
[17] Ecateo di Mileto, il primo logografo, nato verso il
550, scrisse Genealogie che volevano contrapporre una visione
razionale a quella tradizionale :"Ecateo di Mileto dice così: scrivo
queste storie come a me sembrano vere; infatti le tradizioni dei Greci sono
molte e, a parer mio, anche ridicole ("oiJ ga;r JEllhvnwn lovgoi polloiv te kai; geloi'oi,
wJ" ejmoi; faivnetai, eijsivn",
fr. I Jacoby).
L’altra opera è Perihvghsi" gh'" (o Perivodo" gh'" ),
comunque una Descrizione della terra con una carta allegata.
Era una descrizione etnica e geografica del
mondo conosciuto divisa in due libri: uno dedicato all'Europa, l'altro all'Asia
(ndr).
[18] S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, I, pp. 78-79.
[19]
64 a. C.-20 d.C. Ci è pervenuta la Geografia in 17 libri.
[20]La
Scienza Nuova , Pruove filologiche, III e VIII.
[21]
260-190 a. C. Uno dei più antichi annalisti, trattò la storia di Roma, in greco
e in latino, fino alla seconda guerra pun punica, in polemica con la narrazione
filocartaginese di Filino d’Agrigento.
[22]
I, 16 ss.
[23]
Attuale Ungheria.
[25]
Auerbach, Mimesis, il realismo
nella letteratura occidentale, II cap. Fortunata p. 43.
[26]
Auerbach, Mimesis, pp. 44-46.
[27]
Mimesis, p. 47.
[28]
Tucidide, Storie, I, 11, 3. Significa scarsità di risorse senza
le quali secondo lo storiografo della guerra del Peloponneso non si possono
allestire grandi flotte né fare guerre grandi come quella del Peloponneso.
[29]I,
13, 1. E' l'accumulo di ricchezze necessari allo sviluppo di una grande
potenza.
[30]
S. Mazzarino, L'impero romano,
(del 1974) vol.I, p. 214, n. 4.
[31]
Naturalis historia, XVIII, 7.
[32]
Gli Annales, composti da Tacito negli anni successivi al 111 d. C.,
dovevano continuare l'opera di Livio: il titolo dei manoscritti Ab excessu
divi Augusti echeggia il liviano Ab urbe condita. Dell'opera che
doveva andare dalla morte di Augusto a quella di Nerone ci sono arrivati i
libri I-IV, un frammento del V e parte del VI con gli avvenimenti dalla morte
di Augusto (14 d. C.) a quella di Tiberio (con una lacuna per gli anni 29-31);
inoltre i libri XI-XVI con il regno di Claudio, dal 47, e quello di Nerone fino
al 66.
[33]
S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, III, p. 458.
[34]
Svetonio, Vita di Augusto, 42.
[35]
S. Mazzarino, L'impero romano I, p. 148.
[36]S. Mazzarino, Il
Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 152.
[37]
280-201
[38]
170-80 a. C.
[39]
239-169 a. C.
[40]
Jo d j ou\n Qoukidivdh~ eu\ mavla
tou't j ejnomoqevthse kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn…Luciano, Come si deve scrivere la storia, 41-42. Il
trattatello è del 164 d. C. ”,
Tucidide dunque legiferò molto bene e
distinse la buona dalla cattiva storiografia.
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