Il bel libro di Valerlo
Varesi contiene dei topoi, dei luoghi della storia della politica e della
letteratura nei quali ho ritrovato i miei auctores,
gli autori-accrescitori che hanno arricchito la mia umanità di coscienza e di
bellezza.
Il primo è “la nostalgia della guerra” ( Il rivoluzionario, p. 3) che induce
alcuni partigiani a continuare in un modo o in un altro, in un luogo o in un
altro, la guerra di liberazione combattuta contro i nazisti.
La guerra in sé è una cosa
brutta, ma la schiavitù è ancora più brutta.
La guerra
viene esecrata sin dall’Iliade, il poema delle battaglie “sempre sonanti”[1] dove tuttavia Zeus
dice ad Ares:"e[cqisto"
dev moiv ejssi qew'n oi} [ Olumpon
e[cousin (Iliade, V, 890), tu per me
sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
Ares è appunto il dio della guerra ed esso viene esecrato anche dal
religioso Eschilo: nel primo Stasimo dei
Sette a Tebe[2] il Coro dissacra il dio sanguinario definendolo un domatore di
popoli che soffia con furia violenta e
contamina la pietà "mainovmeno"
d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343-344).
Nell'Agamennone (del 458) Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d' j
[Arh" swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso
che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Quando i
conflitti armati finiscono infatti "Invece di
uomini,/ urne e cenere/ giungono alla
casa di ciascuno"( vv. 434-436).
Un’ultima testimonianza: il religiosissimo Sofocle prega tutti gli dèi,
ma nell'Edipo re[3] Ares viene deprecato dal
religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il
dio è privo di onore poiché la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle
veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica
eroica e senza riguardo per l'umanità: Tucidide[4] nel dialogo senza didascalie
del V libro fa dire dagli imperialisti Ateniesi
ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che
procura grandi rovine agli uomini.
La guerra dunque è cruenta, omicida e senza onore.
Eppure in certi casi è
difficile evitarla. Dopo la liberazione, chi ha lottato per il comunismo, per
la giustizia, per l’uguaglianza tra gli uomini senza la quale non c’è vera
libertà, prova sensi di delusione, frustrazione, sente di avere subito un
tradimento da chi prometteva equità e moralità nei rapporti tra gli uomini.
Invece nell’Italia del dopoguerra il fascismo rialza la testa, sebbene
mascherato e camuffato: “Carabinieri e poliziotti sono rimasti quelli del
Fascio così come i funzionari della Questura” ( Il rivoluzionario, p. 27). E’
Oscar che parla. il protagonista di questo romanzo storico che, come
quello del Manzoni, fornisce il quadro di un’epoca e nello stesso tempo scava
nella psicologia dei suoi personaggi, rappresenta scene di massa, dà voce a
dibattiti politici e di partito. Il PCI è spesso sullo sfondo perdendo un poco
per volta credibilità nell’animo del rivoluzionario e dei suoi sodali. A
Bologna già con Dozza si fanno le prove generali del compromesso storico mentre
il partito dà uno spazio sempre maggiore ai mediocri, ai burocrati senza
pathos, ai pedanti, mentre lo lesina ai generosi appassionati di giustizia e
libertà. C’è il racconto dei morti di Reggio Emilia, un massacro programmato
dall’alto, perpetrato con ferocia dai cani da guardia della borghesia, la
feroce “sesquiplebe” già vituperata da Vittorio Alfieri.
Oscar vedeva i mali presenti
e prevedeva quelli futuri “perché lui stesso era convinto che il sistema del
profitto, oltre che iniquo e autoritario, fosse destinato a disintegrarsi in
una macelleria sociale com’era già capitato nel ‘29” (Il rivoluzionario, p. 124).
Il rivoluzionario è, come
Tiresia, il profeta in grado di capire e “presoffrire tutto”[5].
Obiettivi polemici sono la
Democrazia Cristiana e i preti, ma la moglie di Oscar, Italina, “una brava
compagna”, sa distinguere tra loro e non li considera tutti dei nemici di
classe: “c’è anche chi non ha tradito Cristo e con quelli io ci vado d’accordo,
benché il partito sia contrario” (p. 155).
Questa donna equilibrata e
triste diviene la custode della casa, del figlio, mentre Oscar,
deluso e annoiato dai
compromessi paludosi dei comunisti nostrani, va in Russia e in Mozambico per
dare stimoli e significato alla sua
vita.
L’Italia infatti è sempre più
calpestata e schiacciata dallo stivale statunitense: “Chi tiene il guinzaglio
sono gli americani”, soggiunse Oscar.
“Democristiani, repubblicani,
liberali e fascisti sono solo marionette. Fanfani, Gronchi, Segni…Tutti al
servizio di Truman e dei capitalisti” (p. 163). La denuncia della nostra
sovranità limitata è esplicita.
Un asservimento dei nostri
politici che ha spinto Pasolini a incriminarli addirittura per le stragi :
“In conclusione
il Psi e il Pci dovrebbero per prima cosa (se vale questa ipotesi) giungere ad
un processo degli esponenti democristiani che hanno governato in questi
trent’anni (specialmente gli ultimi dieci) l’Italia. Parlo proprio di un
processo penale, dentro un tribunale. Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una
dozzina di altri potenti democristiani (compreso forse per correttezza qualche
presidente della Repubblica) dovrebbero essere trascinati, come Nixon, sul
banco degli imputati. Anzi, no, non come Nixon, restiamo alle giuste
proporzioni: come Papadopulos…Nel banco degli imputati come Papadopulos. E
quivi accusati di una quantità sterminata di reati, che io enuncio solo
moralmente…:indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro
pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri,
connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera,
collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle
stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di
punirne gli esecutori) distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia,
responsabilità della degradazione antropologica degli italiani…responsabilità
della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di
ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono “selvaggio” delle
campagne, responsabilità dell’esplosione “selvaggia” della cultura di massa e
dei mass-media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione,
responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto,
magari, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. Senza un
simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il
nostro paese. E’ chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani
(Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla” [6].
In una situazione del genere non è possibile che un
uomo onesto faccia finta di niente. La guerra allora può diventare plausibile
quale guerra di liberazione
.
Euripide nelle Troiane (del 415) fa dire a Poseidone:"mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei'
povlei", -naou;" te tuvmbou" q
j, iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali
chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili
dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena (vv. 37-40 nell’Elettra (vv. 1282-1283) e nell'Oreste (vv.
1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra di Troia è stata combattuta
per un fantasma poiché a Ilio andò soltanto un’icona di Elena, mentre la
bellissima donna in carne e ossa venne trasportata a Ilio dagli dèi che vollero
alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.
Eppure nell’Ifigenia in Aulide scritta
negli ultimi anni di vita di quando Ciro il Giovane:" parei'ce crhvmata Peloponnhsivoi" ej" to;
nautikovn"( Tucidide, II,
65, 12) forniva agli Spartani il denaro
per la flotta, Euripide esorta alla guerra . La ragazza, fatta venire in Aulide
dal padre Agamennone come vittima sacrificale perché l’armata potesse partire,
in un primo tempo ha paura, poi però, in un impeto di patriottismo, proclama la
necessità della guerra santa contro i barbari di Oriente, identificabili con i
Persiani da parte del pubblico ateniese, e si offre come prima combattente e
prima vittima in uno scontro, giusto e necessario, fra civiltà: “"offro il
mio corpo per l'Ellade. Sacrificatelo, espugnate Troia. Questo sacrificio
infatti sarà il mio monumento duraturo, questi i figli, le nozze e la gloria.
E’ naturale che i Greci comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui
Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi" (vv. 1397-1401).
Anche
Oscar e alcuni altri ex partigiani sentono questa necessità di combattere
contro l’oppressione e l’asservimento.
Montuschi
va prima a Mosca a preparare il terreno, non senza farsi un’amante, Irina, poi
in Mozambico, a fare la guerra.
Per
queste missioni si allontana dal figlio Dalmazio e dalla moglie Italina che mantiene sempre un atteggiamento
dignitoso, anzi nobile.
“A
Mosca di preti se ne vedevano pochi e la loro influenza sulla politica era
inesistente. Oscar lo scriveva a Italina ricordandole l’appoggio incondizionato
del clero alla repressione in atto e ogni volta lei replicava che anche i russi
erano molto religiosi e forse avevano capito che i comunisti e i cristiani
stavano tutti da una parte sola: quella degli ultimi” ( Il rivoluzionario p. 179).
Il
Vaticano dunque quale centro di potere, di intrighi, di faide.
Il cattolicesimo romano visto continuazione
dell’impero romano, tutt’altra cosa dal messaggio di Cristo.
In
questi giorni anche il sommo pontefice
Joseph Ratzinger se ne è accorto, se ne è andato con la sua pena.
Ma
torniamo a Varesi. Il suo bel libro non
si perde nelle inezie prive di significato ma coglie le quintessenze della
storia e commenta con intelligenza e sensibillità i fatti storici epocali degli
anni che vanno dal 1945 al 1980.
Nel
1956 c’è l’invasione dell’Ungheria da parte dei Russi: “Togliatti si schierò
coi sovietici e più tardi si seppe che votò per la condanna a morte di Nagy,
mentre l’Unità liquidava gli insorti
come “teppisti”, “spregevoli provocatori” e persino “fascisti”. A Bologna, i
fatti avevano superato la capacità di analisi, appannando la lucidità dei
dirigenti di via Barberia che balbettavano temporeggiando” (Il rivoluzionario, p. 193).
Dopo tanti anni da
quell’autunno in cui ero bambino, Canfora, all’epoca bambino anche lui, ha
trovato un parallelo tra la repressione degli Ungheresi riottosi all’impero sovietico e quella degli oligarchi di Samo che
provarono a ribellarsi alla democrazia ateniese che era di fatto una
talassocrazia, un impero marittimo.
Samo si era ribellata nel 441
all’oppressione ateniese. In quell’occasione i democratici partigiani degli
Ateniesi “furono letteralmente massacrati, tranne beninteso quelli che
trovarono scampo fuggendo. Esattamente come i comunisti ungheresi nei giorni
della rivolta popolare tra il 23 ottobre ed il 3 novembre del 1956…Nella guerra
contro Samo Atene si impegnò con una flotta comprendente anche forze alleate
(per dare l’impressione che tutta la “lega” puniva l’alleato ribelle) ed inviò
alla testa di questa grande flotta che penò non poco a sopraffare tutti i
ribelli, tutto il collegio degli strateghi, compreso il poeta Sofocle che in
quell’anno ricopriva tale carica. L’intervento contro l’Ungheria fu anch’esso
“corale”, per le stesse ragioni propagandistiche…Dopo la sconfitta del 440-439,
a Samo tornò, imposto dagli Ateniesi, un governo “popolare”, che fece piazza
pulita della fazione che aveva alimentato la ribellione e condotto senza
esclusione di colpi la guerra. A partire da quel momento Samo fu il più fedele
alleato di Atene”[7].
Credo che l’impiccagione
di Nagy sia stato un errore politico oltre che un crimine, come lo è ogni
condanna a morte.
Fu saggio
invece Kádar a proclamare dopo la restaurazione: “Chi non è
contro di noi è con noi”.
In Italia
poi ci fu il governo Tambroni appoggiato dai fascisti del Movimento Sociale,
quindi l’insurrezione di Genova, altra città martire delle violenze
poliziesche.
Nel freddo di Mosca Oscar non rimpiange il
sole italiano : “Qui tutto si misura con l’inverno, un tribunale che ci
processa da ottobre a maggio” sorrise Irina. “Nei mesi di neve e di buio cosa
puoi fare se non pensare alla tua vita e farti domande? Da voi in Italia,
invece, c’è luce e sole”
Una luce
che però non illumina il potere, né mentalmente né in altro modo: “Non sempre”,
la contraddisse Oscar. “C’è l’oscurità della nebbia e l’oscurità del potere.
Non a caso i fascisti sono neri” (p. 245).
L’oscurità, la non trasparenza
connaturata al potere viene denunciata
anche da Guicciardini che scrive
:"spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì
grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di
quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che
fanno in India"[8].
Poi i funerali di Togliatti, le dimissioni di Dozza, l’elezione
di Fanti, l’allontanamento del cardinal Lercaro che aveva condannato i
bombardamenti americani sul Vietnam
“Ve’ mo’” esclamò Scaramagli “Altro che le purghe di
Stalin!” (v. 296). Lercaro del resto “venne insignito dell’Archiginnasio d’oro
e della cittadinanza onoraria. Era il primo cardinale cacciato da Bologna dal
papa e reintegrato da un sindaco comunista” ((p. 296).
Comunque Montuschi,
tornato dalla Russia, a casa sua non si sente a proprio agio
“”Dopo qualche settimana a Bologna, Oscar sentiva il
bisogno di evadere da una città in cui anche i comunisti si portavano dietro
l’odore di sacrestia” (p. 301). Né a livello nazionale era diverso: “A Bologna
abbiamo Fanti, a Roma c’è Amendola e Napoletano, ma sono tutti uguali: vogliono
andare a cena coi preti”, si lamentava “ (p. 305). Quindi le stragi, a
cominciare da quella di piazza Fontana.
L’analisi è lucida: sono stati i fascisti manovrati quali
sicari
“E dietro ci sono gli americani coi servizi, non
dimenticartelo”, gli dice Guerrino, il politico-imprenditore che organizza i
viaggi all’estero di Oscar. E continua: “Vogliono creare paura, incertezza,
disordine, così al momento giusto tirano fuori la soluzione autoritaria che, a
quel punto, in un paese di pecore come il nostro, verrà subito applaudita”
(310).
Infatti
alla gente impaurita si può fare credere tutto: “nil falsum trepidis” [9], nulla è
falso per chi è spaventato.
La paura dunque è funzionale al potere. Joachim Fest
riporta queste parole di Hitler: “La gente ha bisogno della paura risanatrice.
La gente vuole temere qualcosa, pretende che la si intimidisca e che ci sia
qualcuno cui assoggettarsi tremando. Non avete forse constatato voi stessi, con
i vostri occhi, che dopo lo scontro nei locali pubblici, sono proprio quelli
che le hanno buscate i primi a chiedere di entrare nel partito? Cosa sono
dunque queste chiacchiere sulla crudeltà, e perché vi scaldate tanto per un
atto di violenza? E’ proprio quello che la massa vuole. La massa pretende
qualcosa che le faccia orrore”[10].
Infatti: le torri gemelle hanno potenziato la cricca
di Bush.
E la paura del baratro ha dato il potere a Monti che
nel baratro ci sta facendo cadere, poiché se tu guardi a lungo in un burrone,
alla fine il burrone entrerà in te.
Quindi il Mozambico, per
combattere l’oppressione dei Portoghesi del dittatore fascista Salazar. Laggiù
la natura sovrasta l’uomo e tutto appare carico di colori, di sapori, di luce
di vita. La quale manifesta tutta la sua potenza e la sua crudeltà, dionisiaca
se vogliamo..
Il Mozambico viene liberato,
Salazar cade, ma dall’Italia arrivano notizie inquietanti e anche il paese
africano continuava a essere dilaniato da rigurgiti di guerra, dalla povertà,
dalla fame. Oscar era convinto che il
fondamento del comunismo fosse la crescita cooperativa, ma Guerrino Cassadei, il manager, il tecnico
voleva instaurare il mercato, suscitando la reazione di Oscar, una reazione
profetica: “Certe volte non ti capisco. Non so se parli da comunista o come uno
di quei saccenti della Bocconi istruiti per affamare il mondo”, sibilò Oscar “
(Il rivoluzionario, p. 392).
Intanto in Italia procede il
compromesso storico, nascono le cosiddette Brigate Rosse, e “il terrorismo che
non porta da nessuna parte” (p. 398)
Né le cose andavano meglio in
Mozambico:“Oscar ebbe l’impressione che un potente riflusso stesse investendo
il paese” (406).
Le cooperative funzionavano
male, o non funzionavano proprio; qua e là scoppiavano focolai di guerra
civile, carnevale sinistro in cui cambia perfino il significato delle parole.
Il mercato è la quintessenza del male contro il quale Oscar si batte, ma questo
Leviatano non lascia scampo, nemmeno in Mozambico dove arrivano “i boiardi, gli
uomini di partito a capo delle aziende statali italiane con tutta una corte di
cicisbei, tra sottopancia, passacarte e amanti travestite da portavoce.
Arrivarono anche imprenditori contro i quali il partito e il sindacato avevano
combattuto lotte sanguinose al prezzo di bastonature e scontri in piazza. Oscar
osservava quel corteo osceno in preda a un’angoscia crescente. Mai come in quel
momento si sentiva spodestato, derubato della propria parte. Credeva di essere
un rivoluzionario, ma si accorgeva di aver lavorato per i padroni di sempre”
(p.415).
Oscar soffre la vittoria del mercato e del capitale
anche fisicamente. Gli viene un piccolo infarto. Il medico russo gli consiglia
il ritorno in Italia dove intanto “Moro
e Berlinguer sono decisi all’abbraccio” (p. 419) e le cooperative stavano
diventando “il cavallo di Troia del capitale” (p. 420)
Quindi Oscar riparte,
sconfitto, tra i saluti ipocriti di chi rimane a introdurre in Mozambico i
metodi del capitalismo per il quale i conti vengono prima delle persone, “ma i
conti sono sempre disumani alla fine, com’è disumano il capitalismo…La
cooperazione sarebbe stato il miglior antidoto contro gli apparati totalitari:
tutti uguali, tutti lavoratori, tutti padroni. Ma voi avete scelto il mercato e
nel mercato ci sono sempre pochi padroni e molti servi” (p. 421), dice
Montuschi a Ravaglia, l’uomo del mercato che annulla l’uguaglianza poiché
attribuisce stipendi con differenze sesquipedali tra lavori diverso.
Quindi Montuschi torna a
Bologna dove trova Italina “coi capelli più grigi, con più rughe. Nel suo volto
Oscar misurò amaramente la propria età “ (p. 423)
Dalmazio intanto, il loro figliolo aveva
lasciato la madre, secondo Irina per seguire l’esempio del padre. Il ragazzo
ricompare al Sant’Orsola dove il padre è ricoverato.
Dalmazio si era trasferito
alle fonderie Reggiane “dove il comunismo sopravvive”, dice (p. 425).
In Italia procede il
compromesso storico e anche la cultura, anzi la sottocultura del liberismo che
aizza gli istinti più volgari: “la lotta bestiale per prevalere sull’altro,
l’egoismo sfrenato” ((428). Intanto l’Unione sovietica sta collassando.
Nel febbraio del ’77 Oscar,
disgustato, strappa la tessera del partito e segue con simpatia la protesta
studentesca fatta di “canti, sberleffi, disegni, ironia” (p. 435). La
contestazione giovanile però era caotica e poco produttiva.
Nel mese di marzo la reazione
giunse all’omicidio di Francesco Lo russo.
Ci fu una reazione violenta
dei giovani, e Cossiga mandò i blindati a Bologna “La città era in stato
d’assedio. Elicotteri la sorvolavano, tremila poliziotti e carabinieri la
presidiavano, centotré studenti furono arrestati e la repressione durò fino
all’estate”. (440). Sono avvenimenti che quelli della mia generazione ricordano
bene, sono eventi epocali della nostra vita e, mentre ne leggiamo la storia ci
tornano in mente tante vicende cui abbiamo partecipato, se non altro con
il sentimento. La rivoluzione ancora una volta viene soffocata ma Oscar cedere nescius, come Achille , non
molla: “mise in piedi, con Italina e i soliti vecchi compagni delusi dal
partito una cooperativa in cui avrebbero lavorato persone dimesse dai manicomi
e ragazzi handicappati” (p. 441). Si trattava sempre di stare dalla parte degli
ultimi: “Lavoriamo per gli altri, i più deboli: questo è il comunismo”
dichiarava orgogliosamente Oscar” (p, 444). Nell’impresa umanitaria c’erano anche
dei preti, “i preti da marciapiede che ogni giorno, in silenzio, soccorrono gli
ultimi”. I precursori di don Ciotti e don Gallo.
Oscar rifiuta di rinnovare la
tessera. Al segretario della sezione del PCI che glielo chiedeva, ricorda
l’assassinio di Pasolini che aveva capito molte cose, e il burocrate ottuso
risponde:: “”Ma dai! Che tiri fuori? Un busone che sognava le lucciole!” (p.
445). Frase emblematica di ignoranza, chiusura mentale, ottuso spirito
gregario.
E siamo arrivati al 16 marzo,
un giorno che quelli della mia età ricordano come fosse ieri.
“La sera prima, la radio
aveva annunciato per quel giorno la fiducia al quarto Governo Andreotti con
l’appoggio dei comunisti: il passo decisivo verso il compromesso storico” (p.
449)
Quindi, ossia di qui, il
rapimento di Moro che “dava fastidio a tutti”
Ricompariva il passato “con
il suo ghigno peggiore” (p. 450)
Il compromesso storico con i
comunisti al governo dava noia a molti, soprattutto agli Americani, ma anche ai
Russi e alle gerarchie ecclesiastiche.
Dunque expedit ut unus
moriatur homo.
Nel marzo del ’79 il PCI
perse voti.
Nel penultimo capitolo c’è un
bel dialogo con un reduce da un manicomio, Erminio, un uomo la cui pazzia
consisteva nell’assenza dei tanti pregiudizi che ci mettono in testa fin da
bambini e ci rendono infelici. Oscar pensò che i veri matti sono quelli fuori
dai manicomi mentre “i saggi erano quelli come Erminio e forse per questo erano
stati rinchiusi” (p. 459)
I vari componenti la comune
comunista di Oscar costituivano un mondo separato. “C’è tutto il mondo qui”,
spiegava Italina. “Questi ragazzi ci mostrano la nostra nudità, gli istinti con
cui facciamo sempre i conti” (460). Razionalità e istinto dovrebbero cooperare,
l’irrazionale dovrebbe essere reso produttivo e benefico, da distruttivo quale
è tante volte, se si scatena e non si lascia guidare. Le Erinni devono
diventare Eumenidi.
La vittoria del capitalismo
che ci rende infantilmente insensati per indurci a comprare una serie di
giocattoli inutili è una “sconfitta prima di tutto culturale” (p. 461). Il paese dei balocchi diventa il paese degli
asini bastonati.
Nel 1980 il vecchio compagno Aldrovandi
finisce in ospedale con un tumore ai polmoni, il 27 giugno “cade” il Dc9 Itavia
nel mare di Ustica con ottantuno persone a bordo, tutte morte.
“Immediatamente si mise in
moto la consueta macchina della menzogna” (p.464). Il 2 agosto Aldrovandi muore
e scoppia la bomba alla stazione di Bologna. In novembre le Brigate Rosse
rapirono l’assessore campano della DC Ciro Cirillo per il quale fu aperta la
trattativa che nel caso di Moro fu esclusa. Perche? Varesi attraverso i suoi
personaggi non manca mai di indicare le cause dei fatti storici, le cause più
vere ma meno segnalate dai ruffiani, dagli ambigui prosseneti dell’informazione
ufficiale.
“Moro voleva sfuggire alla
logica dominante, Cirillo, invece, c’è dentro e forse potrebbe ricattarli”,
commentò Italina (p. 467)
Tutto crollava “Gli rimane
solo che crolli l’Unione sovietica e potranno essere padroni di tutto” (467)
Nell’ultimo capitolo Oscar
lamenta la propria delusione, ma Italina attribuisce il non conseguimento degli
scopi alla brevità della vita: “le idee non muoiono. Muoiono gli uomini, ma
loro continuano a vivere” (p. 467).
Questo libro aiuta le idee a
continuare a vivere
Il capitalismo ha avuto una
vittoria momentanea, una vittoria di Pirro: “il capitalismo è un sistema
stupido perché pensa che tutto sia
infinito. Imprenditori, banchieri e finanzieri sono altrettanto stupidi.
L’avidità li porta a giocare sporco fino all’autodistruzione…una volta
diventati tiranni, il mondo si ribellerà. Sarà allora che le nostre idee
torneranno e lì ci sarà dentro anche un po’ della vita tua e della mia” (p.
468)
Sono parole di Italina,
profetiche come quelle della Pizia di Delfi e della Sibilla Cumana.
Cristianesimo e socialismo
non si sono ancora realizzati ma non possono morire poiché rappresentano
bisogni fondamentali delle persone: quello dell’amore e quello
dell’uguaglianza,
Oscar semplifica la storia
del mondo “a una lotta tra servi e padroni” Ma è una lotta impari e “non potrà
cambiare niente finché migliaia di servi saranno contenti di servire” (p. 469)
Si può replicare che milioni
di sfruttati, il meglio dell’umanità, come li chiamava don Milani, non sono contenti e vogliono l’uguaglianza[11].
“Noi abbiamo la coopetativa”,
lo consolò Italina. “Lì non sono entrati i manager e non ci sono né servi né
padroni. A nostro modo continueremo a tener viva la fiammella e arriverà un
giorno che verrà buona per appiccare di nuovo l’incendio, quando il capitale
avrà seccato il mondo. Noi non ci saremo, ma avremo conservato il fuoco”…
Quella sera andarono a letto
sereni” (p. 469)
Sono le ultime parole di
questo libro che consiglio di leggere per ricordare, per imparare, per
riflettere, per sentire.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1]
Cfr. Carducci, Sogno d’estate, 1.
[2]
Del 467 a. C.
[3]
Propendo per una datazione bassa, posteriore al 415 a. C.
[4] 460 ca-400 ca a. C.
[5] Cfr. T. S: Eliot, And I Tiresias have presuffered all (The Waste Land, , v. 243)..
[6]
P. P. Pasolini, Lettere luterane, p.
170 e sgg.
[7]
L. Canfora, Esportare la libertà, p.
40 e p. 44.
[8]
Ricordi, 141.
[9]
Stazio, Tebaide, VII, 131.
[10]
Hitler, Una biografia, p. 214.
[11]Lettera A Una Professoressa della Scuola Di Barbiana:"In Africa, in
Asia, nell'America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino
nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d'essere fatti eguali. Timidi
come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio
dell'umanità"(p. 80).
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