Un breve tratto della II lezione del mio seminario.
martedì 12 febbraio. Aula Guglielmi 17-19.
La poesia epica come
antecedente della storia. L’Odissea
di Omero e le varie riapparizioni di Ulisse. Lettura dei primi versi del poema
omerico.
Il poema di Apollonio Rodio.
Virgilio e Ovidio.
Aspetti
dell'uomo Ulisse.
“Ulisse è uno di quei personaggi che dalle profondità del
tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiave…E’ un tipo
incredibilmente furbo. Possiede una qualità che i Greci chiamano métis, astuzia. Un’astuzia che gli
consente di cavarsela tutte le volte che sembra ormai perduto. Ulisse ha tutto
contro, combatte con forze più grandi di lui, eppure trova il modo, con
astuzia, scaltrezza, bugie-dissimulando il proprio pensiero-di inventarsi
qualcosa e avere, infine, la meglio” [1].
Nel I canto dell'Iliade Odisseo è già l'uomo che, molto
dotato di intelligenza [2] riceve
l'incarico di ricondurre Criseide al padre per ristabilire la pace tra il
sacerdote di Apollo e Agamennone. Nel secondo canto del poema più antico
Odisseo, simile a Zeus per intelligenza [3], riceve
da Atena il compito di trattenere la fuga dell'esercito acheo da Troia con
blande parole [4].
La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un altro epiteto
formulare [5], il
quale lo caratterizza come uomo
intelligente e capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa capacità
di ristabilire una situazione compromessa; infatti nel II canto dell’Iliade Odisseo riesce a fermare
l'esercito in fuga alternando le blande parole con le ingiurie e facendo cadere
lo scettro-bastone sul petto e le spalle dell'uomo deforme [6],
l’odiosissimo [7] Tersite
dalla lingua confusa [8].
“Egli lo spoglierà completamente e lo scaccerà a forza di
bastonate dal posto in cui è riunito l’esercito (ajgorh'qen[9]). Non vi
viene subito in mente il pharmakos o
capro espiatorio, l’uomo più brutto della comunità, che veniva trasformato in
vittima espiatoria e scacciato dalla città?” [10].
Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e ristabilizzante.
Quindi egli parla all'esercito, non senza essere stato
adornato con altri epiteti [11]; infine
l’Itacese viene designato con una qualificazione più specificamente odissiaca [12].
Agli epiteti esornativi non bisogna dare troppa importanza
poichè spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla necessità
metrica che "nella poesia omerica è fattore determinante anche per la
scelta delle espressioni e degli epiteti" [13].
Invece sono caratterizzanti le parole che Odisseo rivolge
all'assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati di essere come bambini piccoli o come donne vedove [14] mettendo
in luce una distinzione tra l' uomo compiuto [15], egli
stesso, capace di riflettere, parlare, agire, e
l'uomo bambino o l'uomo-comare querula, creature dalla ragione meno
sviluppata. La maturità riflessiva e intelligente,
indipendente dall'istinto del gregge è un aspetto distintivo dell'uomo Odisseo.
E' proprio questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr, latinamente vir , capace appunto di virtù
la quale, afferma Nietzsche, "è il vero e proprio vetitum entro ogni
legislatura di gregge" [16]. Di tale
virtù fa parte la capacità di opporre resistenza ai mali e alle minacce di cui
è piena la vita, di sopportale. Un' esortazione che Ulisse rivolge più volte a se stesso e ai suoi
compagni di avventura a cominciare da questo discorso dell'Iliade dove esorta i soldati
dicendo:" tenete duro cari e aspettate del tempo” [17].
Nell'Iliade si trova anche qualche indicazione sull'aspetto fisico di Odisseo. Nella
lezione precedente avevo ricordato che Ulisse non era bello (non formosus erat), ma sapeva parlare (sed erat facundus Ulixes) e, pur non
essendo un Adone, fece torcere d’amore le dee dell’acqua, Circe e Calipso. et tamen aequoreas torsit amore deas
" [18] .
Vediamo dunque se e quanto era poco bello.
Nel terzo canto dell’Iliade Priamo chiede a Elena di
identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte
Scee; uno gli parve più piccolo della
testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi [19].
La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni
sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore aggiunge che
anche lui l’aveva vista una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando
i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi,
Menelao lo sovrastava delle larghe spalle [20]
Ulisse dunque,
levatosi in piedi, se stava zitto, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno
furente e pazzo, ma, quando parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di neve d'inverno (v.
222), e allora non si provava più
meraviglia per l'aspetto.
Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo stile
oratorio affermando di preferire fra tutte
"illam orationem similem
nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam, sed et largam, postremo divinam
et caelestem " ( Ep. I, 20),
quell'eloquenza simile alle nevi invernali, cioè densa e serrata, ma anche
copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo.
Leopardi
che era difettoso nel corpo, e lo sopravvalutava, non ammette la bruttezza
nell’eroe epico: “La perfettibilità dell’uomo, come altrove ho detto, non
ha che fare col corpo. E con tutto ciò la perfezione del corpo, che non dipende
dagli uomini, né è opera della ragione, si è la principal condizione che si
ricerca in un eroe del poema ec. (o si dee supporre, perché ogni menoma
imperfezione corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace,
supponendolo ancora perfetto nello spirito. Questa circostanza non si può
tacere; quando anche si taccia, la supplirà il lettore; ma fare espressamente
un protagonista brutto è lo stesso che rinunziare a qualsivoglia effetto” [21].
Ma, abbiamo ribadiamo, la bellezza di Odisseo sta nelle sue
parole. Ulisse è un artista della parola
Nell’XI
canto dell’Odissea Alcinoo
dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai;
frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che il suo racconto è fatto con arte,
come quello di un aedo (vv. 367-368).
“Il
mondo sopra il quale Ulisse regna come un sovrano onnipotente è quello del
racconto…Nessuno conosce, quanto lui, l’arte di appropriarsi le più diverse
esperienze: nessuno ha una memoria così incessante, e una mente equivoca come
il destino, insolubile come i nodi di Circe, colorata come Ermes, multiforme
come Proteo, menzognera come quella dei ciarlatani di strada. Sia Agamennone
sia le Sirene lo chiamano “colui che conosce molte storie” [22]. Così Ulisse diventò il
simbolo dell’arte di raccontare. Tutti i romanzieri sono andati alla sua
scuola, cercando di possedere i suoi doni…Esiodo affermava che le Muse sanno
“dire molte menzogne simili al vero”, ma sanno anche, quando vogliono, “cantare
cose vere”…Nell’Odissea, la teoria
del racconto, è, per questo aspetto, identica alla teoria proclamata da Esiodo.
Ci sono racconti falsi, come le storie che, giunto a Itaca, Ulisse narra a
Eumeo, ai Proci, a Penelope, per ingannare amici e nemici e divertire sé
stesso. Ma ci sono anche quelli veri” [23].
Ulisse
dunque non è bello ma è l'eroe e l'esteta della parola.
Sotto questo aspetto egli prefigura il capo della povli"
democratica nella quale la forza della parola sarà decisiva per il successo
dell'uomo politico. "Il sistema della polis implica prima di tutto una straordinaria
preminenza della parola su tutti gli altri strumenti del potere. Essa diventa
lo strumento politico per eccellenza, la chiave di ogni autorità nello Stato,
il mezzo di comando e di dominio su altri. Questa potenza del linguaggio-di cui
i Greci fecero una divinità: Peitho ,
la forza di persuasione-ricorda l'efficacia delle parole e delle formule in
certi rituali religiosi, o il valore attribuito ai "detti" del re
quando egli pronuncia sovranamente la themis
; in realtà, tuttavia, si tratta di una cosa affatto diversa. Il linguaggio
non è più la parola rituale, la formula giusta, ma il dibattito
contraddittorio, la discussione, l'argomentazione. Presuppone un pubblico al
quale esso si rivolge come a un giudice che decide in ultima istanza, per
alzata di mano, tra i due partiti che gli sono presentati: è questa la scelta
puramente umana che misura la forza di persuasione rispettiva dei due discorsi,
assicurando la vittoria di uno degli oratori sul suo avversario...Tra la politica e il logos c'è così un rapporto
stretto, un legame reciproco. L'arte
politica consiste essenzialmente nel maneggiare il linguaggio" [24].
Sulla scorta di Esiodo
aggiungerei che anche l'arte erotica e diverse altre consistono in buona parte
nel maneggiare il linguaggio.
La bellezza e la forza della parola costituiscono la
potenza decisiva per un greco.
Il principe della
retorica del IV secolo, Isocrate, celebrerà
la facoltà di parlare con queste parole:"mevgiston ga;r ejn
ejlacivstw/, nou'" ajgaqo;" ejn ajnqrwvpou swvmati"(A Demonico , 40), un'entità grandissima
in una cosa piccolissima, è una buona mente in un corpo umano [25].
Odisseo del resto non è solo intelligente ma anche coraggioso.
Ne un elogio in
questo senso Diomede quando vuole scegliersi un compagno per entrare nel campo
dei nemici, e, tra quanti si offrono, sceglie appunto l'Itacese il cui cuore è
pronto e l'animo coraggioso [27] e per giunta è molto bravo a pensare [28] .
Non luminosa però è la fama della sua
schiettezza.
Nell'Ippia minore di
Platone il sofista eponimo del
dialogo sostiene che mentre Achille è veritiero e semplice ("ajlhqhvv"
te kai; aJplou'"", 365b) Odisseo è invece "poluvtropov" te
kai; yeudhv"", versatile e menzognero.
Sono i luoghi comuni della letterarura successiva a Omero
la quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo Odisseo: Achille nell’Ifigenia in Aulide chiarisce a Clitennestra che lo educò Chirone:
“perché non imparasse gli usi degli uomini malvagi [29].
Più avanti
il figlio di Peleo riconosce tale
capacità paideutica all'uomo piissimo che l'ha allevato dal quale:", ha
imparato ad avere semplici i costumi [30]. L’antitesi del semplice, onesto Achille in questa tragedia, e non solo,
è Odisseo del quale Agamennone dice: “, è molteplice per natura e sempre dalla
parte della massa [31]. Cioè un demagogo. Oggi si direbbe un “populista”.
Nel dialogo Platonico Ippia riceve una confutazione da
Socrate.
Il sofista ricava la
distinzione tra i due capi achei dal IX libro dell'Iliade dove Fenice Aiace e
Odisseo vanno in ambasceria da Achille che irato non combatteva ma faceva
l'aedo, ossia cantava glorie di eroi accompagnandosi con la cetra ( "fovrmiggi..a[eide
kleva ajndrw'n", vv.186 e189). Dopo l'accoglienza cordiale, il cibo
e la bevanda, Odisseo parlò ("Aiace-nota Jaeger-personifica piuttosto
l'azione, Odisseo la parola" [32])
scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne mari e
monti da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le
porte dell'Ade chi una cosa tiene nascosta e un'altra ne dice [33].
L' Ippia di Platone sostiene che non a caso Omero fa
indirizzare queste parole a Odisseo.
Socrate risponde opponendosi a questa opinione comune della schiettezza di
Achille e affermando che il Pelide mente non meno di Odisseo, poiché ha detto
all’Itacese che sarebbe partito [34], e
invece ad Aiace che non si sarebbe mosso fino all’arrivo di Ettore davanti alla
sua tenda [35]. Ippia sostiene
che Achille non mente di proposito
Socrate invece afferma che Achille ha mentito
deliberatamente a Odisseo per superarlo anche nell’arte del raggiro e aggiunge
che coloro i quali danneggiano, gli altri, e commettono ingiustizia e mentono e
ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~) [36] sono
migliori di quelli che lo fanno involontariamente (a[konte~)[ 37].
Infatti chi fa del
male volontariamente, se vuole fa del bene, chi lo fa involontariamente non sa
fare altro. E’ molto peggio zoppicare per necessità che per gioco.
Socrate nei dialoghi platonici dà sempre scacco matto ai
sofisti.
Infatti Leopardi lo considera il più sofista di tutti.
E Socrate stesso, l'amico del
vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri [38]
e de' fuchi [39]
e d'ogni ornamento ascitizio [40]
e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente
meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone,
3474).
La
questione di Ulisse menzognero comunque esiste.
"Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L'Aiace
e il Filottete di Sofocle testimoniano che accanto
all'ammirazione convenzionale per il grande eroe esisteva anche un'opinione
meno favorevole. Anche l'Ippia minore di Platone esprime per bocca del sofista gli
stessi dubbi sul carattere di Ulisse, ma Platone ci fa intendere che Ippia non
fa che seguire, su questo punto, una tendenza generale...In ultima analisi
questa disposizione verso Ulisse risale all'Iliade che lo mette a contrasto come poluvtropo" con lo
schietto carattere di Achille. Anzi nell'Odissea
(q 75 [41]) si
ritrova l'antica tradizione intorno a questo contrasto dei due grandi eroi nel
canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille" [42].
Vediamo
alcune testimonianze decisamente contrarie a Odisseo
Nel Filottete di
Sofocle, Neottolemo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia
delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi [43], Odisseo .
Pindaro nell’ Istmica
IV denuncia l’oscurità del destino
(v. 31), che fece cadere Aiace, puvrgo~[ 44]
la torre, con gli artifici di chi valeva meno di lui, ma Omero gli ha reso
onore tra gli uomini (all j { Omhrov~ toi tetivmaken di j ajnqrwvpwn
(v. 37).
Nella Nemea VIII
il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~
(v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e
prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’
generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di
regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le
ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” [45]
Nella
parodo dell’Ecuba di Euripide, il
coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ
poikilovfrwn) furfante
dal dolce eloquio, adulatore del popolo» (vv. 131-132) che convince l'esercito
a mettere a morte Polissena. In questa tragedia il figlio di Laerte è un freddo
politico per cui vale solo la ragion di stato che calpesta tante vite
innocenti.
Nel primo
episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva
contro la genìa dannata dei demagoghi:
«Razza di
ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi
facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire
qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto
con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare
un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba, vv. 254-261).
Poco più avanti Ecuba supplica
Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta espressione di
umanesimo in favore della vita:"mhde;
ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" "
(v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nel dramma satiresco Ciclope, di Euripide, quando Odisseo
entra in scena definendosi Itacese, signore dei Cefalleni, Sileno replica: “oi\d j a[ndra, krovtalon drimuv, Sisuvfou gevno~” (vv. 103-104), conosco quel tipo, un sonaglio
petulante, razza di Sisifo [46].
Nell' Eneide Ulisse è
malfamato:"sic notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete Ulisse?
domanda Laocoonte, e più avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne denuncia
la trama criminale contro Palamede morto "invidia pellacis Ulixi "
(II, 90) per l'invidia del perfido Ulisse e lo definisce "scelerum inventor"
(II, 164) ideatore di crimini.
Durante il viaggio dei Troiani
profughi verso l’Italia, racconta Enea: “Effugimus
scopulos Itacae, Laërtia
regna,-et terram altricem saevi exsecramur Ulixi ” [47], evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e
malediciamo la terra del crudele Ulisse.
Nel VI canto Deifobo raccontando
la sua fine definisce Ulisse , l’Eolide [48], hortator
scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.
Nelle Troiane di Seneca,
Andromaca annuncia l'arrivo di Ulisse con queste parole: " Adest
Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque/: nectit pectore astus callidos"
(vv. 521-522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un'espressione
equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre.
Più avanti la vedova di Ettore lo
apostrofa in questo modo:"O machinator fraudis et scelerum
artifex,/virtute cuius bellicā nemo occĭdit,/dolis et astu maleficae mentis iacent/etiam
Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris facinus tui " (vv. 750-754) o tessitore di frodi e
artefice di inganni, per il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per
i tuoi inganni e l'astuzia della mente malefica giacciono morti anche i
Pelasgi, ora metti avanti l'indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto
dell'animo tuo.
Ulisse vuole la morte del piccolo
Astianatte pensando ai lutti che il bambino se divenisse grande procurerebbe
alle madri greche. Come quelli che nel 2004 approvano i bombardamenti sui
bambini iracheni.
Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope scrive a Ulisse,
qualificandolo come ferreus (v. 58),
e immaginando che peregrino captus amore
(76), sia preso dall’amore per una
straniera cui “Forsitan et narres quam
sit tibi rustica coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77-78),
forse racconti quanto sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.
“Al Dante che voleva narrare di
Ulisse, si presentavano tre tradizioni mitiche e letterarie di grande
autorevolezza. Nella prima, l’eroe
greco è un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie false, un
oratore illusionista. Tale appare a Virgilio nell’Eneide, a Ovidio nelle Metamorfosi,
a Stazio nell’Achilleide, e a tutta
una serie di scrittori posteriori come Ditti, Benoît de Sainte Maure, Guido delle
Colonne e così via. E non c’è alcun dubbio sul fatto che Dante condanni Ulisse
all’inferno per le sue frodi: come chiarisce Virgilio nella sua presentazione
della fiamma cornuta, per “l’agguato del caval”, e per gli stratagemmi con cui
riuscì, assieme a Diomede, a strappare Achille a Deidamia e a rubare il
Palladio…D’altro canto, le ali della fazione avversa, come i remi di Ulisse,
sorvolano la proibizione mitico-ontologica (antica e medievale) delle Colonne
d’Ercole e, in spitito ultra-umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa, Ulisse
rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del vizio, il
nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale dell’uomo
‘classico’…Cicerone, Orazio, Seneca, ma anche Fulgenzio e, nel Medioevo stesso,
Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio, contemporaneo e amico di Dante,
parlano di Ulisse in questi termini” [49].
Dante apre il Convivio
con la memorabile frase aristotelica, “tutti li uomini naturalmente desiderano
di sapere”, e Ulisse è il prototipo dell’uomo affamato di conoscenza. Egli
rischia la vita molte volte per il desiderio di imparare. Le Sirene
per attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e
conoscendo più cose [50] Dante-personaggio della Commedia si sente attratto
verso Ulisse da un desiderio intensissimo (“vedi che del desio ver’ lei mi
piego”, dice a Virgilio); eppure il poeta fiorentino avverte il pericolo
estremo che Ulisse rappresenta per lui
“Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio:
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ‘ngegno affreno ch’io non soglio,
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
Infine, Dante-poeta fa affondare il suo eroe da Dio; Dante
il giudice lo condanna all’Inferno; e perfino dal Paradiso il
personaggio-autore ribadirà che il “varco” di Ulisse è stato “folle”.
Dante è uno di quei poeti che, come Sofocle tra i Greci,
considerano limitata l’intelligenza umana e colpevole l’uomo che non tiene
imbrigliata la propria. Il che non toglie che entrambi sappiano trarre bellezza
dalle parole.
Nell’Odissea
invece il protagonista eponimo è un uomo la cui intelligenza è favorevole alla
vita. Magris lo considera l’archetipo dell’uomo occidentale: “ L'io occidentale è simboleggiato da Odisseo,
che costruisce faticosamente la propria identità ed il proprio dominio-su
Itaca, sul suo equipaggio e su se stesso-rinunciando alle sirene, a Calipso e
al fiore del loto ossia resistendo alla tentazione di abbandonarsi alla beata
indifferenza in grembo alla natura" [52].
L'inversione di questo processo cui tende Nietzsche, continua Magris, è
"lo scioglimento dionisiaco dell'io".
Tale tendenza alla "dispersione dionisiaca dell'io nel
fluire sensibile"veramente è ben più antica di Nietzsche, però è
condivisibile anzi è ineccepibile la collocazione dell'uomo Odisseo nella
categoria dell'apollineo: egli è l'uomo che si individua nella conoscenza e nel
dolore, quindi difende e mantiene il principium
individuationis davanti a tutte le
lusinghe e contro tutti gli assalti. L'Odissea è dunque "hjqikhv", fatta di caratteri, come la definiva già
Aristotele [53], oltre
che complessa per via dei numerosi riconoscimenti, a partire dall' ajnagnwvrisi"
che di se stesso compie Odisseo. E attraverso la sua lettura tutti noi
possiamo riconoscere qualche cosa di quello che siamo, arrivando alla scienza
suprema, quella prescritta dall'oracolo delfico. "Conosci te stesso" è tutta la scienza . Solo alla fine
della conoscenza di tutte le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose
infatti sono soltanto i limiti dell'uomo" [54].
[1] J.Pierre Vernant, C’era
una volta Ulisse, p.5.
[8] Iliade II,
246.
[9] Iliade II,
264 ndr
[10] G. Murray, Le
origini dell’Epica greca, p. 269.
[11] di'o",
v. 244, splendido, molto generico invero: attribuito in XIV, 3 dell'Odissea anche al porcaro il quale del
resto ha un comportamento nobile,; poi ptolivporqo", v 278 distruttore di rocche, anche questo generico e
attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares Achille e Oileo
[13]Cantarella-Scarpat, Breve introduzione a Omero, p. 151.
[16]Scelta di frammenti
postumi 1887-1888 , p. 324.
[18] S. Kierkegaard, Diario
del seduttore , p. 75. La citazione è tratta da Ovidio, Ars Amatoria , II, 123-124. .
[19] meivwn me;n kefalh'/
jAgamevmnono" jAtreΐdao,/ eujruvtero" d& w[moisin
ijde; stevrnoisin ijdevsqai(vv. 193-194),
[21] Zibaldone,
1692.
[22]
Poluvain j (XII, 184). Nel Satyricon Circe offre amore a Encolpio dicendo:"nec sine causa Polyaenon Circe amat: semper inter haec nomina magna fax
surgit. sume ergo amplexum, si placet
" (127, 7), non senza motivo Circe ama Polieno: sempre tra questi nomi
guizza una grande fiamma. Prendimi dunque tra le braccia, se ti va.-
La donna vuole facilitare l'unione con l'espediente scaramantico del nomen omen. "Quando, infatti, Encolpio a Crotone prenderà il
nome di Polieno e s'imbatterà in una matrona di nome Circe, diverrà inevitabile
l'incontro fra lui e Circe sul terreno amoroso proprio perché così è accaduto
al polyvainos
Odisseo" (P. Fedeli, , Lo spazio letterario di Roma antica, vol I,
p. 356.). Ndr.
[23] P. Citati, La
mente colorata, p. 163.
[26]W. Jaeger, Paideia
1, p. 38.
[30] ejgw; d j, ejn ajndro;"
eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou"
aJplou'" e[cein"
(vv. 926-927)
[32]Padeia 1, p. 69.
[34] Iliade IX,
682-683
[35] Iliade, IX,
650-655.
[36]
Si pensi alla rivendicazione
di Prometeo nei confronti della propria tasgressione : “eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai
(Prometeo incatenato, 266) di mia
volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò.
Queste parole
del Titano ribelle forniscono una legittimazione all'ira di Zeus e argomenti a
Nietzsche in La nascita della tragedia per nobilitare "la concezione
ariana" del peccato attivo :" La cosa migliore e più alta di cui
l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve
poi accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con
cui i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza
di ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito
semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la
seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili
fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è
l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica"
F. Nietzsche. La nascita della tragedia,
p. 69.
[38]
Da calamistrum, “ferro per arricciare
i capelli” (ndr).
[39]
Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[40]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
[41]Nell'VIII dell'Odissea Demodoco canta tra l'altro:"nei'ko" jOdussh'o"
kai; Phleïvdew jAcilh'o"", la lite tra Odisseo e Achille Pelide.
[42]W. Jaeger, Paideia
1, p. 61 n. 16.
[44] Cfr. Odissea, XI, 556.
[45]
Foscolo, Dei
Sepolcri, vv. 221-225.
[46]
Secondo una
leggenda Anticlea, la madre di Odisseo,
prima delle nozze con Laerte, avrebbe avuto una tresca con Sisifo, famoso per i
suoi inganni, e da questa relazione
sarebbe nato Odisseo
[48]
“ Qui, come annota
Servio, si segue la leggenda secondo cui
Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe
giaciuto con Sisifo, figlio di Eolo, e “vasel d’ogni froda”, dal quale avrebbe
avuto Odisseo” (E Paratore (a cura di), Virgilio,
Eneide, vol. III, libri V-VI, p. 292)
[49] P. Boitani, L’ombra
di Ulisse, p. 54.
[51]
Inferno, XXVI, 19-22
[52]L'anello di Clarisse , p. 6.
[53]Poetica
, 1459b.
[54]Nietzsche,
Aurora , p. 40.
Proprio bella questa lezione: farò leggere e commenterò il tuo testo in classe.
RispondiEliminafa cagare
RispondiEliminaCaro amico sconosciuto, con questo tuo commento riesci non a far vedere il tuo disprezzo riguardo a questa lezione, ma soltanto la tua ignoranza e il tuo poco colto vocabolario. Ti consiglierei, invece che usare queste parole sprecate e di fare la figura del villano e dello stupido, di dare la tua opinione in modo costruttivo, o sennò non sprecare tempo a scrivere questo inutile commento, bacioni caro.<3
EliminaBoh
RispondiEliminawaluigi
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