Nel
secondo libro della sua Storia,
Tucidide racconta l'inizio delle
ostilità, le operazioni del primo anno[1] della guerra del Peloponneso, quindi ricostruisce
il famoso lovgo" ejpitavfio", il secondo discorso
di Pericle (II, 35-46), quello sui caduti. Lo statista ateniese presenta la sua
città come il luogo politico esemplare e la costituzione della sua polis come
paradigmatica.
Sentiamo
come Tucidide ricorda le sue parole:
In
effetti ci avvaliamo di una costituzione (crwvmevqa
ga;r politeiva/) che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo
noi di esempio (paravdeigma) a
qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di essere
amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia,
però secondo le leggi, riguardo alle controversie private, c’è una condizione
di uguaglianza per tutti (pa`si to; i[son),
mentre secondo la reputazione, per come ciascuno ciascuno viene stimato in qualche
campo, non per il partito di provenienza più che per il suo valore, viene
preferito alle cariche pubbliche, né, d’altra parte secondo il criterio della
povertà, se uno può fare qualche cosa di buono per la città, ne è mai stato
impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (II, 37, 1).
Politevia è la parola chiave di questa orazione e non
solo.
La
Costituzione influisce sulla vita dello
Stato e dei suoi cittadini.
Isocrate
scriverà che la costituzione è l’anima dello Stato: “infatti la costituzione
non è altro che l’anima della città (yuch;
povlewς), in quanto ha un potere tanto grande quanto la mente sul corpo.
Essa infatti è decisiva su tutto e conserva i beni mentre evita i mali.
(Areopagitico[2], 14).
Il
principio di uguaglianza (pa`si to; i[son),
o almeno di partenza alla pari per tutti, viene attribuito, in termini più
chiari, al personaggio di Aspasia da Platone il quale, attraverso Socrate,
sostiene che il discorso di Pericle sarebbe stato in realtà ispirato o
addirittura composto dalla sua amante. Leggiamone alcune parole: “Nessuno è
stato escluso per debolezza né per povertà né per l’oscurità dei padri, né per
condizioni opposte è stato ritenuto degno di onore, come nelle altre città, ma
c’è un solo limite, chi ha la reputazione di essere saggio e onesto ottiene
potere e cariche. Causa di questa forma di governo è il nascere uguali (hJ ejx i[sou gevnesi~) (Menesseno,
238d-e).
Dove
voglio arrivare con questo articolo breve?
Alla
Costituzione nostra, quella di noi Italiani.
Art. 1: “L’Italia è una Repubblica
democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Art.
3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla
legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese”.
In
conclusione io spero che chiunque vincerà le elezioni, rimuova davvero gli
ostacoli al pieno sviluppo della persona umana e attui queste sante parole
della Legge fondamentale del nostro Stato, parole che i padri costituenti hanno
scritto sicuramente conoscendo il lovgo~
ejpitavfio~ di Tucidide.
Una
volta infatti gli uomini politici leggevano, studiavano, conoscevano la storia,
la letteratura, la filosofia, parlavano esprimendo idee. Adesso vige la
chiacchiera insignificante che versa
suoni vuoti nel nulla.
Spero
che tali cialtroni e imbonitori da baraccone vengano smascherati, confutati e
respinti per sempre.
Giovanni
Ghiselli g.ghiselli@tin.it
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[1]
431 a. C.
[2]
Il principale scritto di politica interna di Isocrate, del 356 a. C. Propone di restituire
all’Areopago i poteri di tutela sulla vita politica che aveva prima della
riforma di Efialte (461 a. C.). Ne abbiamo una traduzione di Leopardi
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