Proseguo con il racconto
della gita semiciclistica in Grecia con Ifigenia.
Una storia di tanti decenni
fa.
Ma l’aedo anche da vecchio fa
risuonare la memoria e non smette mai di unire le Grazie alle Muse.
Sul ritorno a Patrasso
andammo a informarci in un ufficio dove ci diedero l’orario sine ira, anzi con gentilezza.
Quindi prendemmo l’autobus per piazza Omonoia [1] che è
il centro della città.
Durante il tragitto, mentre
su Atene scendeva la sera, ripensavo alla spiacevole scenata: il comportamento
bestiale di quei due barbari mi fece venire in mente le parole di dolore e
biasimo indirizzate da Andromaca ai Greci quando le viene detto che i vincitori
e distruttori di Troia hanno deciso di ammazzarle il figlio, il bambino
Astianatte, per paura che, crescendo, diventi forte e coraggioso come suo padre
Ettore.
Ebbene, la madre dolorosa
denuncia il crimine orrendo dei massacratori Elleni con queste parole: “o Greci inventori della barbarie, perché uccidete
questo bambino che non è colpevole di niente? [2]
Un filelleno quale sono io
non dovrebbe citare questi parole, ma sono state scritte da un greco allattato
dalle Muse, poi quella sera ce l’avevo
anche con me stesso.
Mi chiedevo: “bella e
appetitosa com’è quella donna, fa bene a girare così seminuda in mezzo a tante
belve fameliche?”
Non era una domanda retorica:
non sapevo proprio come rispondere, siccome anche io, seppure meno giovane e
bello, giravo succinto e discinto, e dopotutto capivo che non era quello il
nucleo dei nostri problemi; nel contempo però avvertivo che il nebbioso,
confuso risentimento del pomeriggio, proprio in seguito al brutto episodio
della stazione, si stava consolidando e indirizzando con precisione sul capo
incolpevole di Ifigenia e sul mio che rimuginava ghirigori e vortici di pensieri caotici: alla prima occasione la
nuvola nera e tempestosa avrebbe fatto cadere su entrambi il tonante diluvio di
un grave litigio.
L’occasione in realtà me la
fornì “l’innocente” prima di cena: quando fummo entrati nella camera
dell’albergo trovato dopo lunga e faticosa ricerca sul far della notte, non
lontano dalla piazza centrale, adeguato alle mie possibilità finanziarie,
eppure decente, poiché ero un professore, dunque un povero, ma avvezzo alla
pulizia [3], feci
notare alla compagna di viaggio, più taciturna e passiva del solito, che
avevamo finito le dracme e dovevamo cambiare le lire [4] prima della chiusura imminente di tutti gli
uffici, altrimenti fino al giorno dopo non si mangiava e forse non si poteva
nemmeno dormire poiché eravamo digiuni da ventiquattro ore. Bisognava
sbrigarsi: erano già quasi le otto.
Mentre dicevo queste parole,
forse, lo ammetto, con nervosismo eccessivo dovuto anche alla fame, quella si
pettinava davanti a uno specchio ammirando la propria immagine bella con
un’espressione tenera e compiaciuta. Si struggeva di amore di sé [5].
Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo.
Avrei voluto una sua
partecipazione ai problemi comuni e un aiuto almeno morale nell’urgente ricerca
di denaro greco e di cibo. Già cercare l’alloggio senza la collaborazione di
lei, che anzi aveva elevato qualche protesta sulla categoria non abbastanza
elevata dell’albergo, mi aveva dato fastidio. Mi venne in mente quando, pochi
giorni prima, avevo fatto una prima volta da solo la salita da Itea a Delfi, una decina di chilometri con 750 metri di dislivello e 38
gradi di temperatura, per portare fino all’ombelico del mondo il suo zaino
sovrapposto al mio, trovare la camera dove passare la notte amorosa, depositarvi
l’opprimente fardello, poi tornare giù a prenderla al porto dove mi aspettava.
In discesa fui pure inseguito da un paio di grossi cani che latravano e digrignavano i denti vampireschi, avidi di
azzannarmi le carni. Quando arrivai, Ifigenia dormiva su una panchina. La
svegliai e ripetei la salita con
lei, senza bagaglio. Ricordo che durante
la seconda ascesa pensai: “ non verrò più sull’ombelico della terra a pregare,
se quanto faccio per questa donna non troverà gratitudine alcuna” [6]. Invece a Delfi sono tornato diverse altre
volte con diverse donne, con donne diverse. Gli dèi, grazie a loro, hanno
ricompensato la mia devozione e le mie fatiche, umanamente spese.
Poiché non essere tenacemente
empi, pazzi e cattivi è la salvezza dell’anima e pure del corpo.
Adesso voglio ricostruire il
tempestoso dialogo, ricordando, se la memoria mi aiuta, fin le parole violente
nelle quali scaricammo tutto il disagio e il risentimento repressi durante
quella brutta giornata di nostra vita mortale.
Scriverò dunque le alterne battute precedute solo dal nome di chi le pronuncia e da qualche
didascalia.
Gianni (è seduto sul letto. Guarda la ragazza con ostilità. Le parla con nervosismo)
Stammi a sentire, bellezza.
Ti ho già detto che abbiamo finito le dracme e che dobbiamo sbrigarci a
cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei
ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio).
Sono quasi le otto. A
quest’ora le banche sono chiuse. Usciamo subito per vedere se troviamo un
ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare.
Possiamo chiedere di sotto, al portiere.
Ifigenia
Si pettina e si contempla nello specchio con grande compiacimento. Non
manifesta alcun interesse per quanto Gianni le dice. Dopo qualche secondo fa:
Ah sì?
Gianni
(con nervosismo accentuato, non riuscendo a dissimulare l’ira
accumulata)
Sì, puoi darmi una mano
Ifigenia, oppure devo andare da solo a cercare le dracme per il cibo, mentre tu
ti fai bella?
Ifigenia
(sempre ammirando la propria immagine e senza degnare lui di uno sguardo)
Che cosa dovrei fare adesso,
secondo te ?
Gianni
(con fatica evidente riesce a cambiare tono: ne assume uno forzatamente
calmo. Vuole apparire del tutto razionale)
Se sei stanca di questo
viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora c’è una corriera
per Patrasso e i nostri biglietti sono di andata e ritorno
Ifigenia
(si volge di scatto e lo guarda con aria aggressiva)
Sì, è meglio se torniamo a
casa, ciascuno alla sua. Si può sapere cos’altro vuoi tu da me?
Gianni
(con irruenza e amarezza. Pensa che le sue fatiche “umanamente spese siano andate tutte perdute” [7] )
Voglio che tu la smetta di
fare la parassita. Non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e
farti guardare: tu devi collaborare, aiutarmi. Lo vuoi capire o no che alla tua
età non puoi comportarti più come una
bambina ?
Ifigenia
(guardandolo con odio e disprezzo)
Tu non sei mica normale
Gianni
(sforzandosi di parlare con calma)
Che cosa vuoi dire?
Ifigenia
(alzando il tono della voce)
E tu che cosa vuoi da me? Io
mi sto rimettendo in ordine dopo tre ore di bicicletta, tre di giri a piedi e
tre di corriera. Vuoi lasciarmi respirare un momento? La fretta dannata che ti
perseguita, tiella per te e non tormentare anche me
Gianni
(guardando l’orologio con ostentazione)
Tu non hai capito o non hai
sentito. Te lo ripeto per la terza o la quarta volta: sono già le otto, fra
poco sarà buio e non troveremo aperto neanche lo sportello dell’ usuraio più
tardivo. D’altra parte abbiamo una gran fame di cui tu presto certamente ti
lamenterai con me, e io non ho una dracma per pagare un boccone. Tu neanche hai
le dracme. Ebbene, senza dracme non si mangia e non si beve. E affamati nemmeno
si dorme. E non dormire non fa bene alla tua bellezza né al mio equilibrio
mentale. Allora, se finalmente hai capito, dobbiamo cambiare le lire, e subito.
Quindi bisogna sbrigarsi. Io sarò senz’altro un ansioso e un nevrotico oltre
che un mendicante della tua bellezza, ma
questa mia fretta di adesso è razionale, è un pathos che discende da un calcolo
elementare che anche tu dovresti saper fare.
Ti fai bella dopo, no? Poi,
se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei molto bella.
Altrimenti, figurati se ti sopporterei.
Ifigenia
(oramai il tono di entrambi è quello del litigio)
Capirai quale piacere mi
fanno i tuoi complimenti! Tu in realtà ce l’hai con me per altri motivi:
qualcosa che ti ha dato fastidio ma che non vuoi dire, forse nemmeno a te
stesso. Probabilmente la scenata della corriera ti ha fatto pensare che io non
dovrei girare in calzoncini. E’ vero?
Oppure che se fossimo venuti
qua in bici quel brutto episodio non sarebbe successo. Se volevi girartela
tutta con la tua amata bicicletta la tua amata Grecia, dovevi venirci da solo.
Così potevi accarezzare i tuoi fantasmi con mano diurna e pure notturna.
Guarda che io sono stanca
delle tue esplosioni di irrazionalità!
Gianni
Ah sì, l’irrazionale sarei
io?
Ifigenia
Sì, proprio tu, molto più di
me, anche se ti sforzi di apparire razionale da quando apri gli occhi la
mattina a quando li chiudi la notte.
Poi magari dai di matto nel
sonno, ma non te ne accorgi.
Tu hai degli abissi paurosi
di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia per non caderci a
capofitto. Al tuo interno hai delle caverne piene di mostri che ti graffiano il
petto e devi tenerli a bada perché non te lo squarcino. Quando perdi il
controllo, io sento ululare, ringhiare, latrare branchi di cagne furiose dentro
di te; tu non le vedi ma io le vedo [8]; vedo
i loro ceffi maligni nel tuo sguardo che quando ti conobbi era bello,
intelligente e buono. La tua continua esaltazione del logos è un tentativo di
modificare il tuo carattere innato.
Quando la tua vera natura si
libera dalle catene della logica con cui cerchi di tenerla imprigionata e
nascosta, allora abbaia, infuria, morde e distrugge i malcapitati che le sono
vicini.
Ebbene, stai certo che io non
ci sto a lasciarmi devastare da quelle tue
cagne rabbiose.
Gianni
(con tristezza e calma acquisita ascoltando le parole di Ifigenia e
riflettendoci sopra)
C’è qualcosa di vero in quello che hai
detto. La parte squilibrata del mio carattere, come tu hai detto, fa parte
della mia natura, ma non mi piace e ho il diritto di incepparla, di rifiutarla,
anzi di redimerla: di trasformare le maledizioni in benedizioni, le Erinni in
Eumenidi, come avviene nell’Orestea di
Eschilo. Credo di averne la forza. Come ho avuto la forza di migliorare il mio
aspetto che quando avevo la tua età era piuttosto modesto. Allora non avrei
avuto il coraggio nemmeno di rivolgere un’occhiata a una donna bella come te.
Poi con la volontà, l’esercizio, una continua ascesi mentale e pure somatica,
l’ho reso accettabile, anzi piacente, fino a piacere a una giovane
bella come sei tu.
Nello stesso modo, con una
disciplina costante, con un continuo esercizio di logica e di morale, spero di
migliorare il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente, prima di tutti
a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. E ci riuscirò Ifigenia, ti
assicuro che ci riuscirò, perché la sensibilità, l’intelligenza e soprattutto
la volontà non mi mancano, non mi sono mancate mai. Il mio caos interno io non
mi accontento di reprimerlo o celarlo: voglio superarlo moralmente. E se è vero
che non ho ancora conseguito una vittoria definitiva sulla mia irrazionalità, è
pure vero che riesco a tenerla sotto controllo.
Tu invece dalla tua ti lasci
travolgere, o quanto meno indurre a commettere errori enormi che possono
compromettere la tua felicità. (continua)
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
P. S.
Ricordo il programma del mio
seminario
Dott.ssa Leila Falà – Università degli Studi di Bologna
Dipartimento di Filologia classica e Italianistica -Ficlit
Via Zamboni 32, 40100 Bologna
Tel . : 051 20 98528
Vi invio il
programma del seminario
“Come il
testo antico parli ai lettori di oggi"
che il Prof.
Giovanni Ghiselli terrà presso il Dipartimento di Filologia Classica e
Italianistica, dell’Università di Bologna, via Zamboni 32,
tutti i martedì
dal 5 febbraio al 5 marzo, ore 17- 19, aula Guglielmi.
Il seminario
è aperto anche ad un pubblico esterno.
Cordiali
saluti,
Leila Falà
I
Lezione martedì 5 febbraio. Istituto di italianistica e di filologia classica.
Via Zamboni, 32. Aula Guglielmi 17-19.
Metodologia.
Come leggere gli autori greci
e latini con la prospettiva della cultura europea.
Questa lezione metodologica
farà subito riferimento ad alcuni dei testi che verranno letti e commentati
nelle lezioni successive. In queste darò maggiore spazio ai testi e agli autori per i quali gli
ascoltatori avranno mostrato maggiore interesse e gradimento.
II lezione martedì 12 febbraio. Aula Guglielmi 17-19.
La poesia epica come
antecedente della storia. L’Odissea
di Omero e le varie riapparizioni di Ulisse. Lettura dei primi versi del poema
omerico.
Il poema di Apollonio Rodio.
Virgilio e Ovidio.
III Lezione martedì 19 febbraio. Aula Guglielmi 17-19.
La storiografia. Quintessenze
di Erodoto, Tucidide, Senofonte, Plutarco, Polibio, Sallustio, Tito Livio, Tacito.
Lettura del proemio di
Erodoto, di quello di Tucidide e di alcuni capitoli metodologici della storia
politica di questo autore che, in campo storiografico, “legiferò”.
IV Lezione martedì 26 febbraio. Aula Guglielmi 17-19
La tragedia. Eschilo,
Sofocle, Euripide, Seneca . Lettura di alcuni versi, dell’Edipo re di Sofocle, della Medea
di Euripide e, a richiesta, di altre
tragedie.
V Lezione martedì 5 marzo. Aula Guglielmi 17-19
La presenza dei poeti, degli
storiografi, dei filosofi greci e latini nell’opera di Nietzsche e in altri
autori moderni.
Ogni lezione può durare
un’ora abbondante ed essere seguita da domande di chiarimento e di sviluppo .
A chi ne farà richiesta,
verrà inviato, ovviamente gratis, il file con il materiale che per ragioni di
tempo non è stato possibile esporre a lezione.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
[2] w\ bavrbar j ejxeurovnte~
[Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion ; ( Euripide, Troiane,
764-765),
[3] Cfr. Manzoni, I promessi sposi, XIV.
[4] Siamo nella tarda estate del 1981. La morte della
stagione bella non era tranquilla.
[5] Cfr. Ovido, Metamorfosi, III, 464: “ uror amor mei ”, brucio di amore di me.
E’ Narciso.
[6] Avevo in mente i vv.897-902 del secondo stasimo dell’Edipo re di Sofocle:"Non andrò più
all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a
Olimpia, /se queste parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i
mortali".
[7] Cfr. Shakespeare,
The tempest IV; 1) : “my pains, humanely taken, all, all lost, quite lost. Parla Prospero che non è riuscito a raddrizzare
Calibano, un diavolo incarnate.
[8]
“uJmei'~ me;n oujc
oJra'te tavsd j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete
queste, ma io le vedo"( Eschilo, Coefore,
1061). Le Furie incalzano Oreste che ha
ucciso la madre: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono
sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi quale
epigrafe di Sweeny agonista
(1930), :" You don’t see
them, you don’t-but I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel
dramma La Riunione di famiglia (1939) Eliot mostra come tali visioni siano un
privilegio.
Secondo
l'autore di The waste land
bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non
cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva
infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana.
Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Tutto
questo lo dico a te lettore, a Ifigenia, nella concitazione non lo dissi. Magari
lo avrebbe capito.
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