venerdì 14 ottobre 2016

"La verità sta in cielo" di Roberto Faenza

Ho visto il nuovo film di Roberto Faenza La verità sta in cielo. E’un’indagine sulla misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi, un’adolescente cittadina della Città del Vaticano sparita nel nulla a 15 anni, il 22 giugno del 1983.
 Della vicenda scrissero molto i giornali all’epoca e si occupò pure la televisione, ma questo film rinnova l’attenzione anche dei già informati mostrando gli intrecci del male che avvolgono Roma come una rete.
 Due giornaliste si muovono nella città come in un baratro infernale i cui gironi principali sono i quartieri di Roma, Magliana e Testaccio, poi il Parlamento e il Vaticano. I demoni sono i banditi “Testaccini” e quelli della Magliana appunto, poi prelati, parlamentari, banchieri, malfattori tutti aggrovigliati tra loro, con vari complici occasionali. Il labirinto del crimine sembra non avere via d’uscita: la ragazzina scomparsa è solo una delle tante creature dolorose di questo pozzo nero dove il successo in termini di arricchimento e di spreco coonesta i delitti: "honesta quaedam scelera successus facit " (Fedra , 598) come suggerisce la Fedra di Seneca a se stessa.
Vero è che i successi sono parvenze momentanee: il protagonista De Pedis, interpretato bene da Scamarcio, verrà ammazzato dagli assassini-giustizieri della banda rivale. I gradini della scala del potere e della ricchezza sono omicidi. Giunto su quello che crede il culmine della scalata, il delinquente precipita là dove ha fatto cadere gli altri. Con questo film Faenza fa venire in mente il grande meccanismo delle tragedie di Seneca e di Shakespeare sul potere.
Una delle ultime battute del caporedattore della giornalista inviata dall’Inghilterra fa: “Capisco perché Shakespeare ambientava molti drammi in Italia”. Frase azzeccata benissimo.

Le donne sono vittime di questo ingranaggio: tali la Orlandi ovviamente, e un’altra quindicenne scomparsa della quale però si è parlato poco, poi più ambiguamente complice e vittima l’amante del protagonista, Sabrina Minardi (interpretata da Greta Scarano), che si riduce a un rottame umano anche per gli scrupoli sentiti e le umiliazioni subite via via.
Le due giornaliste (interpretate da Maya Sansa, molto espressiva e Valentina Lodovini, splendida ragazza di Sansepolcro, brave entrambe) tentano in ogni modo di dipanare il groviglio del male e di giungere a capo della matassa infetta, ma non fanno che esumare vermi e sollevare tarme.

Vediamo qualche battuta della sceneggiatura non banale “La verità non è mai semplice” dice un personaggio. E’ vero, è complessa, ma, se tale complessità venisse risolta, diverrebbe semplice e chiara. 
Nella conclusione del film si vede che sono le gerarchie del Vaticano, o almeno parte di esse a voler conservare e custodire il segreto negli archivi del loro Palazzo. 
Probabilmente “ad maiora mala vitanda” come disse Pio XII nel Vicario (1963) di Hocchuth , per tutt’altra vicenda beninteso, ma rende comunque l’idea di un metodo. E’ l’expedit dell’eterna pretaglia farisaica: quell’ipocrisia, talora feroce, che ripete il detto di Caifas, il pontifex anni illius: “Expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo”. 
Ci sono “prelati più vicini all’inferno che al paradiso” è un’altra battuta del film. Arcidiabolico è in effetti monsignor Marcinkus, preposto allo Ior, la banca del Vaticano, con tutti i suoi affari più o meno loschi, compresa la guerra al comunismo i cui oppositori venivano finanziati con i soldi prestati  dalle bande criminali.
I prelati non sono tutti uguali e concordi: Casaroli, il segretario di Stato, non avrebbe voluto Marcinkus ma chi stava più in alto lo ha lasciato spadroneggiare e delinquere fino alla pensione. Altro figuro che si aggira nel labirinto del male  è quel bancarottiere Calvi che nel giugno del 1982 fu trovato impiccato a Londra sotto il ponte del “Frati neri”.
Alla fine dunque De Pedis e altri muoiono ammazzati ma i burattinai  del crimine rimangono coperti. 
Qualche barlume di ottimismo traspare nelle ultime battute, quando un prelato intelligente riconosce che “nella Chiesa convivono la voce di Cristo e l'anima del diavolo", e conclude: ”la nostra indegnità è la prova che esiste la giustizia”.
Sì, quando l’indegnità viene scoperta e denunciata come ha fatto Faenza.


giovanni ghiselli            

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1.   N. T. Giovanni (11, 50), a voi conviene  che un uomo solo muoia per il popolo. Era l’anno dell’assassinio di Cristo. In questo caso più recente si trattava di una puella, anzi di due.


2 commenti:

  1. Bella recensione, fa venire voglia di vedere il film.
    Alessandro

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  2. Peccato che questi film spariscano così velocemente dalle sale...Giovanna TOCCO

    RispondiElimina

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