NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 31 luglio 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. II parte

Stoa
riproduzione, Atene

Epicuro aveva trasferito la sua scuola da Lampsaco ad Atene e Zenone si pose in antitesi con lui. Pensava che Epicuro degradasse l’uomo al livello della bestia disconoscendo l’eminenza del logos che aveva dato forma al cosmo. Atene gli mise a disposizione il portico variopinto (hJ stoa; hJ poikivlh) presso l’agorà e qui, verso il 300, Zenone iniziò le sue lezioni. Non aveva il fascino, la cavri" ellenica di Epicuro. Le donne presenti nel sodalizio di Epicuro, non avevano accesso in quello di Zenone.
Lo seguirono invece prìncipi come Antigono, erede del trono di Macedonia[1].
Zenone era famoso per la sua temperanza. Morì nel 262 per una caduta con la rottura di un piede. Fu sepolto a pubbliche spese per l’educazione che aveva dato ai giovani. Il decreto fu sollecitato da Antigono il quale si rammaricò di avere perso l’unico uomo di cui, recitando sulla scena del mondo, apprezzasse l’applauso. Atene aveva perso la guerra cremonidea e obbedì[2].
Le opere di Zenone, tranne pochi frammenti, sono andate perdute.
Zenone quando fu invitato alla corte di Antigono, vi mandò i discepoli più cari, Perseo e Filonide . Era il 276, quando Antigono Gonata sposò Fila.
Perseo scrisse Sulla monarchia la quale conteneva l’idea professata da Antigono del regnare come e[ndoxo" douleiva (Eliano[3], Var. hist. II 20), un onorevole servizio.
Il potere è razionale e morale solo se esercitato al servizio dei sudditi: nelle Epistole a Lucilio il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale ricorda che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere non esercitare un potere assoluto:" Officium erat imperare, non regnum" (90, 5).
Luogo simile in I Promessi sposi :"Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità, e cercava di scansarle" (cap. XXII).
Concetto analogo si trova in Psicanalisi della società contemporanea di E. Fromm:"Il capo non è soltanto la persona tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo che è un esempio, che educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire a un cosidetto capo senza queste qualità sarebbe una viltà" (p. 299).-
Perseo scrisse anche una Lakwnikh; politeiva sull’esempio di Senofonte e sulla scia pure di Socrate che preferiva il cosmos spartano.

 Il giovane re spartano Cleomene trovò un sostegno in Sfero di Boristene, un altro dei maestri della Stoà, allievo di Zenone e di Cleante.
 Nel 235 Cleomene divenne re e diede l’incarico a Sfero di organizzare l’educazione dei giovani. Voleva restaurare lo spirito della Sparta di Licurgo avvalendosi della filosofia stoica. Però nel 222 subì a Sellasia una disfatta completa[4].
A Zenone succedette Cleante nato verso il 330. Era molto povero e scriveva su ossi o cocci. Zenone lo paragonava a tavolettte dure che quanto più difficilmente ricevono la scrittura, tanto meglio la conservano. Fu caposcuola dal 262 al 231. Ci è arrivato il suo Inno a Zeus, signore del cosmo e della cosmopoli. Zenone aveva insegnato che la virtù è l’unico bene ma anche la salute e la prosperità conformi a natura hanno un valore
Con questo creò delle contraddizioni: Aristone, un suo discepolo, replicò teorizzando l’ajdiaforiva, l’indifferenza delle cose esteriori. Questo si imponeva grazie alla sua scintillante oratoria. Per via della sua eloquenza era soprannominato "la Sirena”

Terzo scolarca fu Crisippo di Soli (in Cilicia) vissuto tra 281 e 204. La sua lingua madre era l’aramaico. Sosteneva il dogmatismo stoico contro il probabilismo accademico. Aveva però sentimenti democratici e rifiutò unà invito ad Alessandria. Scrisse molto. Salvò la Stoà dalle eresie. Con Crisippo la Stoà raggiunse la sua fuvsi". Zenone e Crisippo erano semiti e la Stoà non riconosce la differenza Elleni-barbari.
Lo stoicismo vuole essere un’arte del vivere: l’arte di organizzare la vita in modo che il logos sia saldo di fronte a tutte le lusinghe. Gli stoici sono orientati verso l’impegno e verso l’agire. La filosofia viene tripartita in etica, logica e fisica. Socrate aveva ripudiato la filosofia della natura. Aristone cercò di tornare a quel punto ripudiando la filosofia e le ragnatele della dialettica che paragonava a un piatto di gamberi dove si impazzisce con le croste e non ci si sazia. Ma Crisippo restaurò la logica.



CONTINUA



[1] Antigono II Gonata (ντίγονος Γονατς, Gonnoi, 319 a.C. – 239 a.C.) figlio di Demetrio I Poliorcete, regnò sulla Macedonia dal 276 a.C. alla morte, con una breve interruzione nel 274-273 a.C. Secondo Porfirio, Antigono Gonata nacque a Gonnoi in Tessaglia, donde il soprannome "Gonata"; quest'ultimo tuttavia derivava verosimilmente da una piastra di ferro utilizzata a protezione del ginocchio (γόνυ- γόνατος to;). Antigono discendeva da alcuni fra i più potenti diadochi: suo padre Demetrio Poliorcete era infatti figlio di Antigono I Monoftalmo, il quale aveva retto gran parte dell'Asia; sua madre Fila era figlia di Antipatro, il diadoco che resse la Macedonia e la Grecia e fu riconosciuto come reggente dell'Impero macedone dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.).
[2] La guerra cremonidea (Χρεμωνίδειος πόλεμο") fu un conflitto combattuto tra il 267 a.C. ed il 261 a.C. da una coalizione di stati greci, sostenuta dall'Egitto, contro il Regno di Macedonia. Terminò con la caduta per assedio di Atene, rimasta priva di aiuti, L'attributo "cremonidea" fu dato già nell'antichità dallo storico Egesandro, vissuto un secolo dopo i fatti, il quale evidentemente intese sottolineare il ruolo svolto, nella genesi della guerra, da Cremonide, un ateniese capo del partito democratico.
[3] Claudio Eliano (Preneste, 165/170 circa – 235) è stato un filosofo e scrittore romano in lingua greca. Ποικίλη iJστορία (Varia historia): in quattordici libri, di cui sono giunti interi i primi due e in forma di compendio parti dei rimanenti, come evidente dalle difformità di stile e lunghezza dei capitoli. Essa è costituita da una serie di aneddoti, aforismi e notizie su personaggi famosi della storia e della cultura antica. Le notizie che egli riporta sono tutt'altro che attendibili, e quasi mai ne è citata la fonte. Ciò nonostante l'opera è importante per ricostruire il formarsi dei nuclei narrativi e leggendari che si sarebbero tramandati nel medioevo riguardo ad Alessandro Magno, Pericle, Alcibiade, Semiramide e altri. Tra le decine di favole che i mirabilia raccolti da Eliano trasmisero alla diffusione orale dei secoli successivi, abbiamo una delle prime versioni del "tema di Cenerentola", ambientata in contesto egiziano (si veda a proposito la storia di Rodopi).
[4] Cleomene, per ottenere il suo scopo, innanzitutto aumentò il suo prestigio militare scatenando la guerra contro la lega achea. Sconfitti i nemici al monte Liceo, a Ladocea (227 a.C.) e a Dime (226 a.C.) ed eliminati con un attentato gli efori, i supremi magistrati spartani, ottenne in questo modo i poteri assoluti per applicare la riforma agraria. Per rendere meno assoluto il suo potere, associò al trono il fratello Euclida, in spregio alla diarchia spartana che prevedeva due re di famiglie differenti ad esercitare contemporaneamente la sovranità. Nel frattempo Arato, lo stratego della lega achea, si alleò col re di Macedonia Antigono III Dosone e col suo aiuto riuscì a sconfiggere definitivamente Cleomene a Sellasia. Antigono conquistò Sparta, ne abolì la millenaria diarchia ed instaurò al suo posto una repubblica fedele al regno di Macedonia. Cleomene riuscì invece a fuggire ad Alessandria, presso la corte del re d'Egitto Tolomeo III (222 a.C.). Qui Cleomene soggiornò per alcuni anni in una condizione di prigionia dorata finché, fallito un estremo tentativo di ribellione e di fuga, si suicidò assieme ai compagni che gli erano rimasti fedeli (219 a.C.). Il suo storiografo fu Filarco. Possiamo dedurre che la data del floruit di Filarco fu all'incirca il 215 a.C. Interessante per chi, come noi, si occupa del dramma antico, è l'affermazione polibiana della necessaria distinzione tra storia e tragedia. Tale teoria prende le mosse dalla polemica contro lo storiografo Filarco nato a Naucrati ma vissuto ad Atene, nel III secolo, autore di Storie in 28 libri che andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il re di Sparta ben visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale dichiara di seguire le Memorie di Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione della guerra cleomenica che oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni. Sfero passò alla corte di Tolomeo IV Filopatore. La stoà dunque non scansava l’attività politica, come faceva la scuola di Epicuro.

sabato 29 luglio 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. I parte



Lettura commentata di 
Max Pohlenz
La Stoa (Die Stoa, 1959)
La Nuova Italia, 1967 


In epoca ellenistica lo Stato offriva ancora lo spazio in cui vivere, ma non più il contenuto della vita. Le nuove generazioni affrontavano i problemi senza voli idealistici e senza illusioni. L’arte plastica con il ritratto realistico non volle più rappresentare il bello ma il vero e gli aspetti quotidiani della vita. C’è anche il ritorno alla natura. Diogene cinico (410-323) rifiutava la civilizzazione che accresce i bisogni senza soddisfarli e cercò di attuare il ritorno alla natura quasi sino alla ferinità.
Cfr. l’episodio di Alessandro che va ad omaggiarlo nella Vita di Alessandro di Plutarco.
Quando i Greci, nel 336, si furono radunati sull'Istmo, e Alessandro fu proclamato capo supremo per fare la guerra ai Persiani, molti politici e intellettuali andarono a congratularsi con lui, ma non si vedeva Diogene alla cui visita il re di Macedonia avrebbe tenuto. Molto. Sicché fu Alessandro a recarsi da lui. Il filosofo se ne stava tranquillo a prendere il sole in un sobborgo di Corinto, e quando il Macedone, avvicinatosi con il suo seguito, gli chiese se potesse fare qualche cosa per lui, rispose:"scostati un poco dal sole" (mikro;ne\ipen -ajpo; tou' hJlivou metavsthqi). Alessandro ammirò la magnanimità di quell'uomo, al punto che disse:"Se non fossi Alessandro, sarei Diogene (eij mh; jAlevxandro" h[mhn, Diogevnh" a]n h[mhn” (14, 5)

Tolomeo Filadelfo (regnò sull’Egitto dal 282 al 246) diceva di invidiare i fellah, i contadini poveri ( cfr. Ateneo 536e, Δειπνοσοφισταί I dotti a banchetto 200 d. C.).
Una forma di populismo dell’epoca.
Anche la letteratura (p. e. l’Ecale di Callimaco, gli Idilli di Teocrito e pure le Argonautiche di Apollonio Rodio) manifesta nostalgia per la natura e osserva con amorevolezza le piccole cose della vita quotidiana. La poesia del resto si rivolgeva alla classe colta, a cerchie ristrette, e conteneva spesso elogi sperticati del sovrano.
 La filosofia rimase ad Atene siccome non poteva prosperare nell’atmosfera cortigianesca delle monarchie. Non tutti i caposcuola però erano ateniesi. La ricerca diventava sempre più specialistica e politicamente neutra.

Eratostene non voleva essere chiamato filovsofo" ma filovlogo".
Eratostene di Cirene (Έρατοσθένης, Cirene, 276 a.C. circa – Alessandria d'Egitto, 194 a.C. circa) è stato un matematico, astronomo, geografo e poeta.
Fu uno degli intellettuali più versatili della sua epoca. Terzo prefetto della Biblioteca di Alessandria e precettore di Tolomeo IV Filopatore, è oggi ricordato soprattutto per aver misurato per primo con ottima approssimazione le dimensioni della Terra. È anche conosciuto come Eratostene beta, ovvero Eratostene secondo, nomignolo assegnatogli, non senza malizia, già dagli antichi per sottolineare come egli si applicasse in moltissime discipline diverse, senza però primeggiare in nessuna, risultando così sempre alle spalle di qualcun altro.
Le vicende tumultuose dei diadochi crearono un senso di instabilità e precarietà. Le divinità della polis, Atena e Poseidone, avevano fallito: rimaneva la Tuvch imprevedibile e capricciosa Ogni bene esterno era un trastullo del caso e solo la frovnhsi", la retta disposizione interiore era un bene sicuro.
L’antica filosofia ionica cercava l’origine e l’essenza della natura ed era apolitica. Platone voleva invece che l’uomo operasse nella comunità cittadina. I personaggi delle commedie di Menandro (342-291) sono del tutto apolitici: per loro lo Stato non significa più nulla. Sono giovani innamorati o cercatori di piacere, vecchi intrattabili o pieni di umanità, cortigiane dal cuore buono, uomini comprensivi e così via. Manca la vita della polis.
Nel 341nacquero Epicuro e Menandro. Erano due Ateniesi. Epicuro non vede più nell’uomo un politiko;n zw'on, ma un individuo animato da tendenze egoistiche. Questo caposcuola si sentì redento dalla filosofia di Democrito, Δημόκριτος, Abdera, 460 a.C.370 a.C. circa) che era stato allievo di Leucippo. Fu cofondatore dell'atomismo. È praticamente impossibile distinguere le idee attribuibili a Democrito da quelle del suo maestro. Tra gli allievi di Democrito vi fu Nausifane, maestro di Epicuro.
Democrito non partiva dal tutto ma dall’a[tomon, dall’indivisibile, dall’individuum. Il mondo non era un cosmo organizzato dalla provvidenza ma una creazione del caso. Epicuro suggeriva ai discepoli di non occuparsi di politica: lavqe biwvsa", vivi nascosto, si poneva in antitesi con l’antico sentimento della polis.
La Stoà suscitò un nuovo sentimento comunitario (p. 21)

I filosofi stoici
Zenone nacque a Cizio di Cipro nel 332. Patrono della città era Eracle Melkart, tra i magistrati c’erano i suffeti e la lingua del paese era il fenicio. Le epigrafi funerarie sono bilingui. Zenone era smilzo e di carnagione scura; il suo maestro Cratete lo chiamava Foinikivdion, il piccolo fenicio.
La sua lingua materna era il fenicio. A 22 anni, nel 311, Zenone giunse ad Atene spinto dall’amore per la cultura greca. Cratete era seguace di Diogene e fu maestro di Zenone.
Cratete (Κράτης, 365 a.C. circa – 285 a.C. circa) è stato un filosofo greco antico della scuola cinica. Originario di Tebe, fu allievo di Diogene di Sinope e maestro di Zenone di Cizio.
Si dice che perse la sua fortuna durante l'invasione macedone, ma secondo una versione più probabile vi rinunciò, in accordo con i suoi princìpi, ordinando all'amministratore a cui l'aveva affidata di darla ai suoi figli se si fossero dimostrati degli stolti, ai poveri se i suoi figli si fossero dimostrati filosofi.
Dedicò la vita al raggiungimento della virtù e alla divulgazione dell'autocontrollo ascetico. La sua abitudine di entrare nelle case senza invito, per dispensare i suoi insegnamenti, gli fece attribuire il soprannome di "Apriporta". Il suo matrimonio con Ipparchia, figlia di una ricca famiglia Tracia, fu curiosamente in contrasto con il suo tipo di vita. Attratta dalla nobiltà del suo carattere, sprezzante della sua bruttezza e della sua povertà, ella volle diventare sua moglie nonostante gli ordini del padre.
I suoi scritti non furono molti. Secondo Diogene Laerzio, fu l'autore di lettere di materia filosofica, tuttavia quelle giunte fino a noi firmate da Cratete non sono originali ma un lavoro di retori più tardi. Diogene Laerzio gli attribuisce anche una breve poesia e numerose tragedie filosofiche. La vita di Cratete scritta da Plutarco è perduta. La grande importanza del lavoro di Cratete sta nel fatto che funge da collegamento tra il Cinismo e lo Stoicismo.
Zenone imparò da Cratete che la contentezza e la felicità dipendono solo dall’anima dell’uomo.
A Megara insegnava Stilpone
Stilpone di Megara (Megara, 360 a.C. circa – 280 a.C. circa) apparteneva alla scuola socratica minore di Megara che con lui raggiunse il suo culmine per poi dissolversi rapidamente con l'avanzare delle nuove filosofia ellenistiche
Seneca racconta che Stilpone di Megara uscì sorridente dal fuoco che divampava ovunque nella sua città conquistata da Demetrio. Il Poliorcete lo vide e gli domandò num quid perdidisset. E il filosofo che pure aveva perduto persino la moglie e i figli: “Nihil-inquit- perdidi. Omnia mea mecum sunt: iustitia, virtus, prudentia, hoc ipsum, nihil bonum putare quod eripi posset” (Seneca, Ep. 9, 18-19)

Zenone studiò anche le opere di Platone e seguì le lezioni dell’accademico Polemone e gli insegnamenti dei Peripatetici.


CONTINUA

venerdì 28 luglio 2017

Ifigenia. La domenica mattina al caffè Palma di Debrecen

Novi Sad
La domenica mattina al caffè Palma di Debrecen

Domenica 29 luglio 1979 non c’erano lezioni né altre attività organizzate per noi ospiti antichi e recenti dell’Università Kossuth Lajos di Debrecen.
La mattina del giorno di festa è simpatica per chi, al pari di me, è senza famiglia: lo lascia dormire a volontà, bere il caffè dove e come gli pare, osservare senza fretta le novità della giornata, riflettere come gli garba. Isomma, quelli della mia razza di solitari introversi, la domenica al risveglio provano un senso di libertà e disponibilità a chissà quali avventure. Ma dopo un secondo o anche terzo caffè, se non si presenta la prospettiva di un incontro emozionante con una donna bella e fine, se non dobbiamo portare avanti un lavoro o svolgere un’attività da cui dipende il nostro equilibrio, se non abbiamo il progetto di creare un’opera d’arte che redima il caos doloroso con la bellezza, se non c’è niente di questo, il dì del riposo dopo il terzo caffè diventa il più squallido e crudele dei giorni per noi solitari.

Quella mattina mi alzai alle nove, poi, senza fretta, mi incamminai attraverso il grande bosco per fare colazione e prendere il sole sulla terrazza del Palma. Speravo di farvi qualche incontro non insignificante.
Vidi seduta a un tavolo, da sola, Giulia, la bionda di Novi Sad corteggiata da Alfredo in piscina. La salutai, mi invitò e sedetti con lei. Era giovane e bella assai, ma non quanto la donna che mi aspettava in Italia. Ifigenia allora nella mia mente era la splendidissima fra tutte le femmine umane più luminose del mondo. Ai miei occhi incarnava un’idea che effondeva luce dalle sue membra, come lo spirito divino si fa vedere attraverso la sfera del sole. Eppure, quella radiosa bellezza prima dei venticinque anni si era già opacizzata, forse perché la ragazza aveva smarrito la coscienza di sé e dei suoi scopi possibili, attribuendosi un’identità posticcia e fini non suoi. La ingannavano istrioni più o meno famosi, scrittori indecenti, imbonitori televisivi e altra gentaglia priva di anima.

Tornato da Debrecen mi accorsi con dolore che dentro la ragazza geniale e gioiosa di un tempo non c’era più quella scintilla del fuoco divino che procede metodicamente alla creazione, del sole insomma che porta significazione del Creatore ed è nel visibile quello che è Dio nel pensabile.
Un egoismo feroce aveva spento quella luce santa. Quando tornai, la sua povera carne mi parve materia inerte.
Con Giulia non avevo nulla da dire: era vuota e la sua vicinanza mi dava angoscia.
Allontanandomi dal caffè Palma pensai che se Ifigenia per nove mesi mi aveva interessato come un’opera d’arte, dentro le membra luminose doveva avere un’anima radiosa e potente al pari del corpo.
Andai in camera e le scrissi che mi mancava, ma il desiderio di lei non mi rendeva debole o neghittoso, pingue e fiacco al pari di un eunuco, bensì mi faceva agire continuamente per onorarla e venerarla come si fa con una dèa, la prima fra tutte le dèe. Dovevo rendermi degno almeno di essere il suo paredro, non abissalmente lontano dalla sua sublime olimpicità: ogni giorno, una volta dopo le lezioni, un’altra prima di cena, correvo i 5000 metri nello stadio sempre più rapidamente, leggevo, studiavo, imparavo, pensavo. Pensavo a lei. Notavo e respiravo la bellezza del mondo, atto di cui ero diventato desideroso e capace solo dopo avere ricevuto nell’anima e sul corpo l’impronta della sue incensurabili forme corporee e mentali
Questo scrivevo, senza ironia.



giovanni ghiselli . Bologna 27 luglio 2017 

lunedì 24 luglio 2017

Diego Fusaro, "Pensare altrimenti". English review. Recensione


Diego Fusaro
Pensare altrimenti
Einaudi, Torino, 2017

Lettura e commento. La prima parte in inglese la seconda in italiano
First part of review in english, second part in italian

To think in a different way from the present way imposed by medias to all the people means, in my opinion, to get backs the roots of every nation and to save the identity of each person. The greek literature with her daughters, latin, italian, english and so on, give a great help against the vulgar topicality, they help their careful readers to be “outdated”, out of every vulgar fashion.
Fusaro reminds some characters of literatur as Prometo who dissented with the order of Zeus, then Socrates, Spartaco, Tiberio Gracco, Catilina with effrenata audacia[1], the unbridled daring of his plot.
Fusaro quotes several authors who looked for the truth unmasking the lies: From Plato with the myth of the cave in his Politeiva, to the apostle John: et veritas liberabit vos (8, 31) and truth will set free us. In Greek: “hJ ajlhvqeia ejleuqervsei uJma'"".” jjjAlhvqeia means not latency (aj-depriver and lanqavnw, I remain hidden). The intellectual and the writer free must have the courage of truth and to wake up his fellow countrymen from the dogmatic sleep. As Socrate who in Apologia by Platone (30e-31 a) compares himself to a horsefly that stings an horse great but lazy because of his size (i. e. the inhabitants of Athen) and in Menone (80a-d) is compared to an electric ray that bewitches.
Fusaro defines Odissey as the epos of dissentig. Odusseuv" always asserts his critical independence against Polifemo, Circe, Calipso. The indipendence of his wise mind (mh'ti") and of his heart.
Today the priests of the “politically correct” impose a total orthodoxy. These impositions are given by the clergy journalistic, that academic, and by the mediatic circus and by the intellectual rank.
Orwell in 1984 writes that “orthodoxy means not thinking-not needing to think. Orthodoxy is unconscioussness"[2].
The 1989 has been the year of the greatest political tragedy of the second half of the century. The fall of the wall of Berlino did’nt free the slaves of communist despotism but has signed the triumph of tecnocapitalism absolutus, absolute i.e. without ties with the ill paid slavery, with the crazy myth of the growth without measure and one dimension thought. In the Phenomenology of the spirit (Fenomenologia dello spirito) by Hegel Slave and Lord faced each other in the field.
Today we are passed from proletariate to temporary employment, and the workers have lost their statute of rights and their dignity: they are precarious and without conscience. So the working class cannot dissent with the total falsity that surrounds everybody. Heidegger in Being and Time (Essere e tempo, Sein und Zeit, paragraph 27) criticizes the non authentic existence.
The order of the World till the wall of Berlin was divided into two parts, after 1989 placed himself in joint shape. Now the rule of the capitalism is no more opposed by his historical enemy. The class-struggle has become class massacre.
Spinoza (1632-1677) writes that the power tries so that the slaves fight for their slavery as if they fought for their salvation ut pro servitio, tamquam pro salute pugnent (Trattato teologico-politico, Theological political treatise, p. 639).
As in the cave of Platone (see film Matrix, 1999) the slaves fight against their possible liberators. The terrorism is functional to the dominant order and to a new strategy of the tension globalized (p. 58). The monotheism of the Market wants to impose the sole “legitimate” religion of the Market and so aims at depriving of authority all the religions.
When the self-styled good State wants to legitimize the “ethical” air raids and the interventionism so-called humanitarian must make a propaganda of hate and slanders: fama enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit (Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 8, 15)”, the wars in fact are composed of propaganda and often what was considered false took truth’s place, as said Alexander the Great that made think to be son of Zeus. So sometimes the control of the world charges the rogue country with the possession of destructive arms, sometimes uses the reductio ad Hitlerum of the leader who must be pulled down, so that is possible to put in action the model Hiroshima, i. e, the bombardment justified as necessary ill (p. 64). The real world is substituted with his warper icons with the contribution of the private property (or govermental property) of mass media. Now the hegelian vertical dialectic Servant-Lord is substituted with that horizontal of the servants in conflict between themselves (p. 69). The only deity is the Economy and the predominant culture is that of narcissism.
In the opinion of Greeks the hospitality to the foreign (xevno", “guest” and “foreign”), did’nt mean the renunciation of one’s own cultural greek identity. It was rather an opportunity to do a prolific comparison between different cultures. Now there is only one culture with reductio ad unum of the man without identity nor critical thickness.

The food
Feuerbach writes “der Mensch ist, was er isst”, the man is what he eats In the diet is kept the plurality of cultures (cf. Claude Lévi Strauss. Il crudo e il cotto, The raw and the cooked, 1964). But now is in fors the monoculture of the market and of the consumers, the consumer culture. And the imperialism is also gastronomical and the monotheism is that of Market. In this Weltnacht - see Hegel - (night of the world) prevails the darknness where every difference disappears in the dark of the planetary uniformity.


Gli antichi regimi sono crollati poiché non riuscivano a escludere la pensabilità di modelli alternativi. Del resto la democrazia reale è irrealizzata.
La distruzione programmata della cultura e della educazione viene chiamata buona scuola. Il sistema dei consumi vuole individui senza identità.
Populista è l’accusa rivolta dal clero giornalistico a chi non accetta i loro dogmi e complottista è chi demistifica la versione ufficiale dei fatti, omofobo è chi pensa che la nostra stirpe si perpetui grazie all’amore tra uomini e donne.
L’accusa di omofobia, di populismo e di complottismo fanno parte della categoria dell’intolleranza che non tollera appunto deviazioni dal pensiero unico. Gli omosessuali non sono una classe sociale e la vera lotta degna di essere combattuta è quella in favore dei lavoratori e degli oppressi, omosessuali o eterosessuali che siano. L’ideologia gender vuole creare un nuovo modello umano unisex, privo di identità. L’ideologia corrente è quella dell’uomo senza identità. Specialista senza intelligenza, edonisti senza cuore.
Rousseau in dialogo con J. Boswell scrive: “agli uomini non piacciono i gatti perché il gatto è libero e non si adatterà mai a essere schiavo. Non fa nulla su nostro ordine come fanno altri animali. La gallina non ubbidisce perché non capisce. Il gatto capisce e non ubbidisce”.
Gramsci in Quaderni dal carcere scrive: uno degli idoli più comuni è quello di credere che tutto quanto esiste è naturale che esista. La poesia, la letteratura ci mostrano la possibilità di abitare poeticamente dichterisch wohnen il mondo. Si può, in molti casi si deve dire “no”, o I would prefer not to, preferirei di no.
Heidegger in Essere e tempo scrive: “Il singolo Esserci è disperso nel Sì, e deve, prima di tutto trovare se stesso”. Cfr. “diventa quello che sei” di Pindaro.
Le crociate come quella contro l’omofobia occultano la contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori e impediscono il dissenso contro il fanatismo economico e l’alienazione obbligatoria. Il nemico è sempre indicato in qualche particolare mai nel sistema economico dominante. Il disoccupato italiano deve pensare che il suo nemico sia il sottooccupato arabo, non il magnate della finanza che pratica la delocalizzazione del lavoro. Il controllo del potere arriva al culmine quando lo schiavo giunge a pensare che il nemico sia lo schiavo che sta in un gradino più basso, il sotto schiavo. Si creano false categorie oppositive che generano le lotte tra gli ultimi, mentre il Padrone si prende tutto: dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur (Tito Livio, XXI, 7, 1). Il grande dissenso è disperso in opposizioni secondarie. E si impedisce il costituirsi di un fronte unitario degli oppressi del pianeta contro l’oligarchia finanziaria.
Il femminismo individualista, il pacifismo rituale, l’ecologismo ipocrita, l’elogio dei migranti accompagnato dall’indifferenza verso la loro reale condizione che poi è l’altra faccia dell’idiotismo xenofobo, tutti dissensi parziali scissi dal grande dissenso O l’antifascismo liturgico in assenza di fascismo. Si combatte un nemico sepolto per non opporsi al fanatismo economico, all’ingiustizia sociale, alla disoccupazione, alla miseria, alle privatizzazioni selvagge, alla deregolamentazione del lavoro. L’antifascismo archeologico dà l’illusione che il vero dissenso sia quello che non sfiora i reali rapporti di forza. Svolge una funzione apotropaica rispetto al grande dissenso. Il consenso viene anzi confermato da tali dissensi. I cortei da commedia: sindacalisti con il fischietto, femministe bercianti, individui travestiti da pagliacci, pacifisti salmodianti, facinorosi che incendiano i cassonetti.
Dall’Internazionale comunista siamo caduti nell’internazionale liberal-finanziaria.
Dissento, dunque siamo.
Su tutto si può dissentire ma non contro la violenza economica e non è dato pensare a una società diversamente strutturata. I diritti civili servono ad occultare il trionfo delle politiche neoliberiste e lo smantellamento dei diritti sociali. La redenzione sociale marxiana è abbandonata in nome della salvezza individuale, il grande comandamento dell’etica protestante.
Il fanatismo economico fa dono dei diritti civili per distrarre dalla rimozione di quelli sociali. Lo spettacolo promuove forme superficiali di dissenso e previene quelle reali. L’ortodossia del pensiero unico sta colonizzando le coscienze.
La lotta ora è orizzontale ossia tra i membri della classe del Servo, e deve riverticalizzarsi, disponendosi secondo la polarità alto e basso, tra Signore e Servo.
Come ricorda Hegel nell’Estetica, l’eroe è colui il quale, quand’anche sia stato privato di tutto, non ha perso se stesso. Certo, non sempre i ribelli del dissenso riescono a cambiare il mondo. Però mai il mondo potrà cambiare i ribelli.
Non dobbiamo lasciarci tramutare in merce o peggio dallo sguardo di Medusa del capitale.



[1] Cf Cicero, Catilinaria I, 1, 1.
[2] G. Orwell, 1984 (del 1948), p. 56.

sabato 22 luglio 2017

Twitter, CCLXXXIII sunto

Goya, Il fantoccio
21 luglio 2017
I fantocci e le pupazzate televisive

La vita politica non dipende dal nostro voto ma dai nomenclatori, ossia da coloro che compilano la lista dei fantocci governativi i quali eseguono gli ordini dei signori del Mercato.  

Nelle parole dei più tra i fantocci designati dai nomenclatori a imbonire e distrarre la massa, manca il logos: una voce significante prodotta dal pensiero. 

I fantocci delle pupazzate televisive qualificano come "incredibile" ciò che è sotto gli occhi, "mozzafiato" quello che è ordinario, "studioso" l'ignorante.
Non sanno nemmeno che cosa significhi "piuttosto che". Lo usano come "e anche", mentre vuol dire "invece di". Questa è la "casta", secondo me costituita dagli iloti più brutti.

Gente che fa chiacchiere oziose, piene di lusinghe fallaci e si lamenta se prende stipendi annuali che non superino di almeno 200 volte quelli di un lavoratore.
Gente capace di scrivere che fu Tiberio a mandare Varo contro Arminio, o che la lingua latina deriva da quella greca. E passano per intellettuali.

Pasolini che era colto, capace di pensare ed era lucidamente critico verso il potere, è stato ammazzato proprio perché denunciava le malefatte dei potenti e dei loro servi, ne svelava gli
arcana, palesava il vuoto culturale degli istrioni dalla massima visibilità e la trivialità dei volgari mimi che insultano il pudore e ammazzano la cultura.

giovanni ghiselli

mercoledì 19 luglio 2017

Teocrito. Parte X. Appendice


Il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue.

Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor. (Ovidio, Amores, 2, 20, 36)
Tale locus ha un'ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciascuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde: "kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica: "Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[1]. Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia al particolare"[2] (p. 141). La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post-filosofica o almeno post-illuministica sarebbe anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[3].
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che oltrepassa a volo ciò che è alla portata di tutti e cerca di prendere quello che fugge: "Meus est amor huic similis: nam/transvŏlat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36) "[4], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.

Sentiamo qualche altra testimonianza.
Catullo cerca di sfuggire obstinata mente (8, 11) a questa legge che nega la realtà dell'amore facendone un'utopia:"nec quae fugit sectare, nec miser vive " (8, 10), non dare la caccia a quella che fugge e non vivere da disgraziato.
Nell' Hercules Oetaeus attribuito a Seneca la nutrice di Deianira per consolare la sua alumna le dice che Iole ridotta oramai a schiava è una preda oramai troppo facile per Ercole e, quindi, non più ambita: "illicita amantur; excidit quidquid licet" (v. 357), sono amate le cose non consentite, tutto quello che è concesso decade.
Nella Gerusalemme liberata leggiamo: "Ma perché istinto è de l'umane genti/che ciò che più si vieta uom più desìa,/dispongon molti ad onta di fortuna/seguir la donna come il ciel s'imbruna" (V, 76).
"L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue". (William Shakespeare, Le allegre comari di Windsor, 1602)
Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo. "Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini: "Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[5].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto: "Qualsiasi essere amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[6].

L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso: "La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42-43).
Troviamo un’occorrenza di questo topos in El burlador de Sevilla (1630) di Tirso de Molina: “regola dell’amore/è amare chi ci odia, /sprezzare chi ci adora,/perché, se è pago, muore,/e vive se è ferito” (I, 10).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina: "Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[7].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[8].
Sentiamo infine C. Pavese: "Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[9].


FINE



[1] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 372.
[2] Aristotele, Poetica, 1451b.
[3]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 371.
[4]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore, p. 43.
[5] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[6] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[7] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[8] Cocotte, vv. 67-69.
[9] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.

lunedì 17 luglio 2017

Teocrito. Parte IX

Pan e Dafni
collezione farnese

Ma torniamo al Priapo di Teocrito.
Scherza sul dolore di Dafni: eri un bovaro, ma ora sembri un capraio che quando vede le capre montate si strugge poiché non è nato capro. Tu ti struggi perché non danzi con le ragazze.
Poi venne Cipride ridendo ma aveva l’animo contristato.
Dafni potrebbe essere un secondo Ippolito dedito alla castità e per questo punito da Afrodite (cfr. L’Ippolito di Euripide).
Cipride gli fa notare la sua soggezione all’amore, ma Dafni si ricusa ad Eros e cerca di ribaltare il rapporto: “Cipride gravosa, , Kuvpri barei'a, Cipride odiosa ai mortali Kuvri qnatoi'sin ajpecqhv~, anche nella casa di Ade Dafni sarà un dolore cattivo per Eros. Insomma vuole essere lui a infliggere sofferenze a Eros. Dafni insulta Afrodite, quindi saluta gli animali, i boschi, la fonte Aretusa.
Chiama se stesso con termini realistici: il bovaro che pascolava le mucche.
Nella V Bucolica di Virgilio Dafni si celebra, pieno di compiacimento di se stesso: “Daphnis ego in silvis, hinc usque ad sidera notus,-formosi pecoris custos, formosior ipse” vv. 43-44).

Il Dafni di Virgilio secondo alcuni commentatori rappresenterebbe Giulio Cesare. Servio sostiene che il v. 29 allude a Cesare che introdusse a Roma le cerimonie di Bacco. Mopso canta la morte di Dafni e Menalca ne fa l’apoteosi. Dafni dall’alto dei cieli manda la pace sulla terra. I monti selvosi lanciano alle stelle voci di gioia, e con loro rupi e alberi cantano: “Deus, deus ille Menalca!” (V, 649).
Il Dafni di Teocrito invoca Pan perché venga in Sicilia dall’Arcadia a prendere la sua zampogna (suvrigga) che è il suo lascito supremo. Io oramai da Eros ej~ {Aidan e{lkomai, vengo trascinato nell’Ade. Seguono degli a[duvnata: con la morte di Dafni la natura non sarà più la stessa: il pino porti le pere, il cervo insegua le cagne e i gufi cantino a gara con gli usignoli. Non è chiaro il motivo per cui Dafni muore.

Nell'epillio Ila (XIII, esametri e dialetto dorico, con omerismi) Eracle si innamora di un fanciullo bellissimo, con i capelli a boccoli. Fu lasciato a terra, ma a piedi raggiunse la Colchide e il Fasi inospite.
Anche qui l’amore è interpretato come dolore e sciagura: “scevtlioi oiJ filevonte~, v. 66.
Eracle soffrì per il rapimento di Ila. L’impresa di Giasone divenne l’ultimo dei suoi pensieri. Sparì e gli altri eroi lo schernivano come liponauvtan disertore della nave. Qui c’è il registro epico e anche il suo sapiente abbassamento attraverso l’ironia o l’attenzione a piccole cose.

Nel X idillio, i Mietitori, c’è Milone, l’agricola bonus e Buceo che, come Orfeo nella IV Georgica, è preso da dementia.
Milone è infaticabile, mentre Buceo, innamorato da dieci giorni, è svogliato. Milone avverte Buceo che la ragazza è brutta, una locusta, ed è dai facili costumi.
Ma dice Buceo: non solo Pluto è cieco (tuflov~, cfr. Pluto di Aristofane, 90-92) bensì anche Eros, oltre essere dissennato. Milone consiglia a Buceo di alzare un canto amoroso: lavorerai meglio.
Bombica la chiamano secca e bruciata dal sole (ijscna;n aJliovkauston), ma per Buceo ha l’incarnato di miele. Cfr. Lucrezio IV 1160 nigra melǐchrus est.
Anche la viola e il giacinto sono scuri. I tuoi piedi sono astragali (ossicini).
Poi canta Milone una canzone in lode dell’agricoltura e del lavoro che evita il sonno. Esorta i mietitori a cominciare quando si sveglia l’allodola e a continuare fino a quando va a dormire, senza smettere durante l’ora canicolare (to; kau'ma).
E’ cresciuta l’importanza del mondo naturale.
Socrate, all’inizio del Fedro dice di essere filomaqhv~, uno che ama imparare: “ ta; me;n ou\n cwriva kai; ta; devndra oujde;n m j ejqevlei didavskein, oiJ d j ejn tw`/ a[stei a[nqrwpoi” (230d), il luoghi di campagna dunque e gli alberi, non vogliono insegnarmi niente, gli uomini della città, invece sì. Infatti la sua sapienza è ajnqrwpivnh sofiva ( Platone, Apologia di Socrate, 20 D)

Hegel nell’Estetica scrive che l’idillio “nel senso moderno del termine” raffigura l’uomo nella sua innocenza. Ma “fa astrazione da ogni più profondo interesse universale della vita spirituale ed etica”
Ma vivere innocentemente significa pensare solo a mangiare e bere “e anche ciò solo con cibi e bevande molto semplici, ad esempio latte di capra o di pecora, solo eccezionalmente di mucca; inoltre erbe, radici, g6hiande, frutti, formaggi, mentre il pane, credo, non è già più da considerare molto idillico; la carne invece dovrebbe essere già permessa, perché i pastori e le pastorelle idillici non vorranno sacrificare certo tutto il gregge agli dèi”.
La loro occupazione consiste nel sorvegliare, insieme al fedele cane, per tutto il santo giorno l’amato gregge, essere pii e mansueti, suonare il flauto e la zampogna oppure canticchiare qualcosa ma soprattutto amarsi reciprocamente con la massima tenerezza e innocenza. “Con tutto il sentimentalismo possibile coltivare amorevolmente sentimenti tali che non disturbino questa condizione di quiete soddisfatta”.
“I Greci invece, nelle loro raffigurazioni plastiche, ebbero un mondo più gaio: il corteggio di Bacco, satiri, fauni, che, raggruppati anodinamente intorno a un dio, si sforzano di elevare la natura animale ad una letizia umana entro una vitalità e verità interamente diverse da quella pretenziosa innocenza pia e vuota. Lo stesso nucleo di una concezione viva…è ancora riconoscibile nei bucolici greci, per es., in Teocrito…Virgilio è già più freddo nelle sue Egloghe, ma il più noioso è Gessner[1], al punto che oggi non lo legge più nessuno” Ma ha avuto un certo successo, soprattutto tra i Francesi, per “il sentimentalismo che sfuggiva il tumulto e le complicazioni della vita…e l’assenza completa di ogni vero interesse, per cui furono evitati tutti gli altri rapporti con la nostra cultura che potevano arrecare turbamento”[2].



CONTINUA


[1] Zurigo q730- 1788. Scrisse in tedesco, Idilli, usando Teocroto come modello.
[2] Hegel, Estetica, pp. 1445-1446.