sabato 15 luglio 2017

Teocrito. Parte VIII

Gabriele d'Annunzio

Delfi ha reso Simeta invece che donna per bene (ajnti; gunaikov~) una kaka;n kai; ajpavrqenon, donna perduta e non più vergine. Dunque l’uomo deve struggersi d’amore. E deve aggirarsi intorno alla sua porta come gira questa ruota magica di bronzo. Che giaccia con un uomo o con una donna, ne abbia tanta dimenticanza (e[coi lavqa~, 45) quanto Teseo per Arianna dalle belle trecce. Vuole pestare una salamandra e preparare una bevanda malvagia. Poi anche erbe magiche. Impastando le erbe magiche la serva deve dire impasto le ossa di Delfi.

In verità è difficile leggere il resoconto di questi preparativi o di quelli della Medea di Seneca (670-739) senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth
Si tratta della prima scena del quarto atto. Le streghe mettono vari ingredienti in una caldaia bollente. Vediamone alcuni: filetto di una biscia di pantano (Fillet of a fenny snake), pelo di pipistrello e lingua di cane (wool of bat, and tongue of dog), zampa di lucertola e ala d’allocco (lizard’s leg, and howlet’s wing), fegato di giudeo bestemmiatore (liver of blaspheming jew), dita di un bambino strangolato al suo nascere, appena messo al mondo in una fossa da una sgualdrina (finger of birth-strangled babe-ditch-delivered by a drab), viscere di una tigre (a tiger’s chaudron), tutto da raffreddare con il sangue di un babbuino (with a baboon’s blood).

Poi Simeta ricorda l’incontro con Delfi. Era con un altro atleta. Avevano appena lasciato la bella fatica (kalo;n povnon) della palestra e i loro petti erano splendenti (sthvqea stivlbonta) più della luna. Come lo vidi, impazzii (ejmavnhn) e l’animo fu lacerato.
C’è l’aemulatio nei confronti di Saffo.
Andai a casa e un ardente morbo mi devastava. Il corpo diventava simile al tapso, da cui si ricava il color giallo, cadevano i capelli, dimagriva. Quindi mandò la serva a chiamarlo. Arrivò con il suo corpo splendente e il piede leggero. Allora tutta gelai più della neve, colava un sudore freddo e non proferivo parola. Mi irrigidii nel corpo come fossi un pupazzo di cera (dagu'di i[sa). Lui non amava, teneva gli occhi a terra e disse che sarebbe andato da lei spontaneamente se non lo avesse preceduto. Avrebbe portato pomi di Dioniso. Se non lo avesse accolto, avrebbe forzato la porta. Bruciavo d’amore, mente. Allora si stesero sul letto ejpravcqh ta; mevgista (143), facemmo il massimo. Ora però ha saputo che lui è innamorato e non si fa vedere da 12 giorni. Simeta vuole recuperarlo con i filtri.

Ironia. La vediamo nel Tirsi (I) che canta Dafni, pastore di Sicilia già cantato da Stesicoro. Priapo sgrida Dafni che muore d'amore dicendogli: eri detto bovaro, ma più somigliavi al capraio cui, se vede le capre montate, bruciano gli occhi d'invidia per non essere caprone.
Tirsi è un bovaro che canta la morte di Dafni, altro bovaro.
Un capraio lo incoraggia a cantare le pene di Dafni.
Il capraio non vuole suonare la zampogna perché teme Pan che è violento (pikrov~): nel suo naso c’è sempre drimei'a colav, bile (attico colhv) aspra.

Orazio (III, 18) prega Fauno, Nympharum fugentium amator: lenis incēdas, procedi clemente e astieniti benigno dai piccoli del gregge (abeasque parvis aequus alumnis.).
Plutarco nel De defectu oraculorum: racconta che durante la navigazione verso l’Italia, dall’isola di Paxo (tra Corcira e Leucade, davanti all’Epiro) si sentì una voce che chiamava Tamo, il pilota egizio. E disse quando giungi nei pressi di Palode, annuncia che il grande Pan è morto! Pa;n oJ mevga~ tevqnhke (16 c).
Tamo lo fece. Non c’era vento né onde e Tamo gridò da poppa con lo sguardo rivolto alla riva. Allora si levò un immenso gemito, non di uno ma di tanti, insieme a grida di stupore. Tiberio Cesare chiamò Tamo, poi fece fare delle ricerche e i tanti filologi della corte dissero che Pan era figlio di Ermes e di Penelope.

D’Annunzio, L’annunzio di Maia, Laus vitae: “Mentì, mentì la voce dinanzi alle dentate –Echinadi tonante nella calma dell’estate-verso la nave…Mentì la-voce-che gridò: “Pan è morto!”. La bellezza del mondo sopita si ridesta.-Il mio canto vi chiama a una divina-festa.
Pan era figlio di Zeus e di Ybris e insegnò la mantica ad Apollo (Apollodoro, Biblioteca, I, 22).
Segue un’e[kfravsi~, la descrizione di una profonda coppa (baqu; kissuvbion) fatta dal capraio. Due uomini litigano per una donna. Un vecchio pescatore getta le reti con un vigore degno della giovinezza to; de; sqevno~ a[xion a{ba~, anche se è consunto dal mare. Poi c’è un ragazzetto che sorveglia una vigna seduto su un muretto di pietre a secco ejf j aiJmasiai'si fulavssei h{meno~ (vv. 47-48). Due volpi cercano di rubare: una l’uva, l’altra la colazione del ragazzo che non se ne cura ma intreccia una gabbia per grilli con steli d’asfodelo congiunti con giunco.
Il capraio regalerà la coppa a Tirsi se canterà la seducente canzone.
Tirsi canta, Tirsi dell’Etna. Le Ninfe non erano nella Sicilia orientale ma in Tessaglia (vallate del Peneo o quelle del Pindo) quando Dafni si struggeva. E’ nominato il fiume Anapo, vicino a Siracusa, l’Etna e l’acqua dell’Aci.
Sciacalli e lupi ululavano e il leone ne pianse la morte. Mucche tori giovenche e vitelli piangevano. E’ il dionisiaco.

Nella X ecloga Virgilio dafnizza Cornelio Gallo che caduto in disgrazia, si uccise nel 26 a. C.
Quae nemora aut qui vos saltus habuere, puellae-
Naides, indigno cum Gallus amore peribat?” (X, 9-10)
Gallo scrisse elegie nelle quali cantava l’amore per Licoride.
Venne Ermes e disse a Dafni: chi ti tormenta? Di chi sei tanto innamorato? ( Teocrito, Idillio I, 78)
Con ricordo di Saffo: “chi ti fa torto? O Saffo?”
Venne Priapo e gli chiese: perché ti struggi? (I, 82)

Il Priapo di Tibullo
Priapo è Bacchi rustica proles,- armatus curva falce (Tibullo, I, 4, 8-9).

Priapo consiglia a Tibullo di non perdere tempo: “formae non ullam fata dedere moram”, i fati non concessero indugio alla bellezza. Cedi all’amasio, dagli tutto quanto chiede! Iam tener adsuevit munera velle puer! (v. 58). Sia maledetto anche da morto chi gli ha insegnato a vendere l’amore! I fanciulli dovrebbero amare le Pieridi doctos et amate poetas, non i doni. Chi vende l’amore secet vilia membra, si mutili il vile membro ad phrygios modos, al suono di musiche frigie.


CONTINUA

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