venerdì 3 novembre 2023

Ifigenia LVIII. Viterbo. Un dialogo con Silvano e uno con Santo Francesco

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Questo arrivai a pensare mentre calava la notte: “E’ bene che vada così. Non mi sarà difficile sganciarmi da questo traino quando ne avrò trovato una più conveniente. Ora però non vedo niente di meglio e voglio fare ancora l’amore con Ifigenia insegnandole quello che so e imparando da lei quanto sa più e meglio di me. Intanto tengo gli occhi aperti in cerca di altre occasioni visto che lei lo sta già facendo. Così siamo pari e il nostro rapporto è pulito. Di sicuro non c’è l’amore né il rispetto che ho provato per Helena
  e per Päivi le sere della rinuncia a Josiane, ma quel tempo è lontano e quelle donne erano ben altrimenti rispettose a loro volta e dotate di stile”.
Trovato questo equilibrio ebbi una sensazione di conforto che si riempì di luce alle 16 e 30 quando giungemmo a Viterbo e uscito dall’automobile vidi la luce del sole illuminare i fastigi del Palazzo dei Papi che risposero con un sorriso  al saluto del dio.
La pietra grigia e nera più in basso, lassù in cima aveva assunto lo stesso colore di rosa che una sera di Primavera, la sera della Pasqua precedente avevo notato sulle cime del Rosengarten appunto che fiancheggia la valle di Fassa da Moena a Canazei, da sud a nord. In ognuna di quelle montagne quando le vidi la prima volta nell’agosto del 1948, a tre anni e 8 mesi, ravvisai una forma umana e negli anni seguenti, presa confidenza comincia un poco alla volta a parlare con ciascuna ed esse per loro umanità mi rispondevano.
Quella sera a Viterbo mi dissi: “presagio d’estate felice”.   
Quindi trovammo un albergo e occupammo le camere. Io ne avevo una tutta per me. Mi è sempre piaciuto dormire da solo.
Una delle mie amanti successive tra le più recenti del catalogo venne la sera del 2 gennaio da Parma in autonomobile. Facemmo l’amore tante volte e assai volentieri. Era una notte di nebbia e le dissi-obtorto collo-: “se vuoi, puoi dormire qui”.
Lei capì tutto e rispose che preferiva tornare a casa sua. Quando il rapporto si consolidò, le domandai perché  fosse andata via quella notte da lupi
Rispose: “perché avevo capito che sei più falso di Giuda e speravi che io mi togliessi dai piedi”. Così mi diede una lezione la ragazza di Parma. Io allora ne avevo più o meno sessanta ma ancora mi lasciavo educare.
Ritiratomi in camera mia dunque, fui lieto della mia solitudine, a Viternìbo come sarei stato a Bologna una trentina di anni più tardi.
Poco prima di cena facemmo due passi ed io insistevo nel mio monachesimo maniacale: camminavo sul lato opposto della strada rispetto agli altri. Volevo osservare e pensare senza parlare, senza ascoltare chicchessia, senza urtare nessuno.
A un certo punto però venne a interpellarmi l’amico Silvano.
Mi domandò: “Che cosa hai gianni, pensi ancora a Päivi e alla bambina non nata?”
“No-risposi-ora sono innamorato di un'altra: una collega sposata con un venditore ambulante”
“Non hai paura che lo venga a sapere e ti prenda a pugni?
“No.  Comunque, e tu me lo insegni, varrebbe la pena di prendere un poco di botte pur di fare l’amore con una donna così giovane e bella. E’ come il sole d’estate quello che vedevamo sorgere quando andavamo a cavalcare la mattina alle cinque nella puszta, a Hortobagyi.
Torniamo a Debrecen quest’ estate? Ci sarà la nostra amica Cornelia che ci ha ospitato a casa sua e ci ha fatto del bene.
 Ricordo un’altra mattina quando con Fulvio Ezio e altri si andava a lezione, e tu arrivasti in taxi dicendo:”io vado a letto. Aspettavo una donna  ma è arrivata una sartina ancora intentata che mi ha potato a casa sua. Non ho potuto resistere. Ora devo dormire”.
Mi piaceva riavvicinarmi all’amico birbo, alle nostre storie passate di amori, dolori, pianti, risate. Avevamo avuto entrambi un’educazione cattolica arcaica, io a casa e in parrocchia, lui addirittura per alcuni anni in un cupo seminario. Dai preti avevamo appreso il gusto della trasgressione, e il vizio del peccato sessuale. Ora Silvano è un’amicizia celeste. Sono certo che è in paradiso se non altro perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.
Dante era completamente pazzo diceva l’amico carissimo Fulvio.
Come sempre, aveva ragione.
Quella notte sognai Santo Francesco in quale mi disse: “da poverello a poverello, ti do questo suggerimento: porta a termine l’opera che ti sei proposta. Te lo ripeto in latino: “propositum perfice opus”.
Risposi: “non mancherò  di terminare l’opera, fratello Francesco, e tornerò a trovarti in bicicletta nel crudo sasso intra Tevero e Arno dove da Cristo hai preso l’ultimo sigillo”. Io sono sì poverello come te, ma altresì sono un peccatore e ti chiedo perdono”.
“Nessuno è senza peccato” disse il santo facendo un sorriso, quindi benedisse me e l’opera mia che non mancherò di completare. Anche per emendarmi.

Bologna 3 novembre 2023 
giovanni ghiselli ore 19, 13

p. s.
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