La mattina seguente quando mi alzai vidi l’annuncio di una giornata orribile di fine novembre: il cielo buio e nebbioso aggravò la mia depressione. Avevo gli occhi gonfi, la testa intronata, la lingua inceppata. Mentre cercavo di deprecare ritualmente il male che vedevo fuori e sentivo dentro di me, telefonò Ifigenia e mi domandò come stessi. “Non bene”, risposi e le chiesi del tempo per potermi chiarire con lucidità che cosa pensassi della nostra situazione. Durante le quattro ore di scuola lavorai in qualche maniera continuando a rodermi il cuore e il cervello. Niente nella mia vita funzionava come avrei voluto in quanto ero io a non funzionare bene. Ogni giorno mi chiedo: “Come funziono oggi?” Intendo nel lavoro, nello sport, negli affetti. In questo momento, per esempio, mi dico che non c’è male. Quella mattina remota invece il sonno mi pesava al pari di un maiale sulla sulla lingua e sulla memoria. A scuola leggo il meno possibile e se non mi assiste Mnhmosuvnh, la madre delle Muse e dell’Oratoria, lo scrigno dell’intelligenza, faccio pena a me stesso e a quanti mi ascoltano. Pena e disgusto provo di fronte ai docenti e agli oratori che leggono tutto quello che dicono: niente estraggono dal loro cervello intontito né dal cuore arido. Mentre parlavo con stento, sentivo che la testa mi pulsava come una ferita dove sembrava bussare il cuore stesso sradicato e travolto dal sangue che l’aveva trascinato dentro il cranio crivellato dai colpi di un destino avverso. .
Quando fui uscito dal tetro liceo nell’aria ancora più cupa della città abbandonata dalla luce del sole, capivo che il problema tra noi non era tanto quello del ballerino quanto il fatto desolante che tra Ifigenia e me non c’era più niente in comune poiché la ragazza aveva perduto ogni interesse per lo studio: ella voleva entrare nel mondo dello spettacolo attraverso qualsiasi porta, buco grande o breve pertugio che fosse stata capace di aprire in qualunque maniera. Doveva avere pensato che Gennaro le aveva socchiuso un uscio stretto o uno spiraglio ancora troppo angusto. Lei lo avrebbe allargato ficcandoci dentro tutta sè stessa.
A me non restava che raccontare la nostra storia nel tanto tempo libero che l’insegnamento ginnasiale mi lasciava. Ifigenia avrebbe avuto un araldo della sua bellezza condannata a sfiorire presto dalla voracità di quel cormorano che è il tempo e della sua stessa vanità che stava sostituendo la persona conosciuta e amata due anni prima. La giovane donna fiorente sarebbe rimasta tale per sempre nelle mie pagine, come le tre finlandesi[1] di cui avrei raccontato la storia quale preludio a questo ultimo amore. Quelle erano donne studiose: due di loro- Kaisa e Päivi avevano fatto una buona carriera. Elena era uno qaumasto;n crh`ma : bella, buona e fine. Come mai non avevo funzionato per più di quattro settimane nemmeno con loro? Forse perché io non avevo fatto altrettanta carriera, né ero una meraviglia come Elena Augusta. Dal cielo scendeva pioggia mista a neve. Mi consolai pensando che non era lontano il Dies natalis Solis invicti. Quanto alla carriera potevo ancora rifarmi. Ma ci voleva altro tempo. Intanto quello felice delle tre finlandesi era già passato da diversi anni. Però avrei raccontato e resuscitato anche i tre mesi degli amori più belli.
Bologna 13 gennaio 2025 ore 9, 43 giovanni ghiselli. p. s. 22 minuti di sole in più nel pomeriggio. Altrettante borse di studio che mi rendono felice. Una volta tali premi al mio impegno sulle sudate carte erano le amanti peregrine o italiane, oggi sono i raggi del sole potenziato che mi fanno beato di giri in bicicletta, di salute e di un bel colorito. Cerco sempre di rimanere in lizza. L’aedo anche vecchio continua a onorare le Muse e le Grazie, benefiche dee autrici di vita. Statistiche del blog Sempre1661507 Oggi89 Ieri405 Questo mese4539 Il mese scorso10218
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[1] Queste storie di amori felici per un mese si trovano nel volume Tre amori a Debrecen in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna
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