sabato 6 aprile 2013

Ancora su Federico Aldrovandi


Leggo sul quotidiano “la Repubblica” di venerdì 5 aprile (p. 21)  che due dei quattro carnefici di Federico Aldrovandi cercano di minimizzare il loro crimine efferato [1] dichiarando: “nessuno di noi voleva ucciderlo”.
Secondo me questa non è per niente una circostanza attenuante, bensì un’ aggravante. Uccidere senza volere significa che  la ragione non è in grado di controllare la parte emotiva la quale nella fattispecie si è scatenata in maniera furibonda e bestiale, efferata appunto. Chi ha ucciso senza volere una volta, può farlo, sempre senza volere, mille altre volte.
Trascrivo altre parole virgolettate, cui farò seguire un breve commento mio, poi una riflessione attribuita a Socrate da Platone.
Sentiamo dunque le parole ingannevoli di uno dei carcerati: “io vengo dipinto come un violento, ma tutte le volte che penso a quel ragazzo, penso con dolore che non siamo riusciti a evitare la sua morte”. Non è vero che non siano riusciti a evitarla:  l’hanno provocata. Se l’hanno fatto apposta è molto male, se involontariamente, a parer mio, è ancora peggio.
Ora impiego un dialogo di Platone, l’ Ippia minore, per convalidare e autorizzare con uno scrittore appunto autorevole un’idea che ho sempre avuto, anche riguardo ai tradimenti erotici o agli automobilsti che fanno stragi di pedoni e ciclisti correndo all’impazzata: è più grave e da condannare il male fatto senza volere, di quello inflitto avendo deciso di perpetrarlo, poiché, in questo secondo caso,  chi ha voluto fare del male, può decidere di non ripetere il misfatto.
Insomma, “ti ho tradito perché non ti amavo più” è meno grave che ”io ti amavo tanto tanto tanto, ma sono stata ingannata da quel farabutto di seduttore. Ti giuro che non volevo farlo”.
“Allora vattene in un convento”, ribatterei a tale donna, “perché tu non abbia a generare altri peccatori cretini[2]
Se sbaglio senza volere, posso sempre sbagliarmi di nuovo.
In conclusione dei poliziotti che ammazzano senza volere, e non riescono a trattenersi dal massacrare, in quattro, un ragazzo diciottenne solo, non devono rimanere nella polizia, altrimenti nessun cittadino potrà avere più fiducia negli “uomini dello Stato” che dovrebbero proteggerli.
 E ora passiamo a Platone
 Nell'Ippia minore,  il sofista eponimo del dialogo sostiene che  Achille è veritiero, Odisseo  invece è  bugiardo.
Sono i luoghi comuni della letteratura successiva a Omero, la quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo Odisseo

Nel dialogo in questione, il sofista riceve una confutazione da Socrate.
 Ippia ricava la distinzione tra i due capi dell’esercito greco dal IX libro dell'Iliade  dove Fenice Aiace e Odisseo vanno in ambasceria da Achille che, irato, non combatteva ma faceva l'aedo, ossia cantava glorie di eroi accompagnandosi con la cetra armoniosa  ( "fovrmiggi ligeivh/...a[eide kleva ajndrw'n", vv.186 e189). Dopo l'accoglienza cordiale, il cibo e la bevanda, Odisseo parla scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne[3], mari, monti e rocche micenee da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le porte dell'Ade chi una cosa tiene nascosta e un'altra ne dice [4].

Ippia sostiene che non a caso Omero fa indirizzare queste parole a Odisseo: “Achille è veritiero (ajlhqhv~) e semplice (kai; aJplou`~,), Odisseo scaltro e pure menzognero (poluvtropo~[ 5] te kai; yeudhv~, Ippia minore, 365a)
Socrate risponde opponendosi a  questa opinione comune  e afferma che il Pelide mente non meno di Odisseo, poiché ha detto all’Itacese che sarebbe partito[6], e invece ad Aiace che non si sarebbe mosso fino all’arrivo di Ettore davanti alla sua tenda [7].
 Ippia allora replica che Achille non mente di proposito.
  Socrate invece afferma che Achille ha mentito deliberatamente a Odisseo, per superarlo anche nell’arte del raggiro, e aggiunge che coloro i quali danneggiano, gli altri, e commettono ingiustizia e mentono e ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~) sono migliori di quelli che lo fanno involontariamente (a[konte~)[ 8].
 Infatti chi fa del male volontariamente, quando, e se vuole, fa del bene, chi lo fa involontariamente, non può mai decidere di non danneggiare, in quanto non è padrone di sé [9].
 E’ miglior corridore chi è lento perché in quel momento vuole esserlo, di chi va piano per necessità.
“Preferiresti avere piedi che zoppicano volontariamente o involontariamente?” domanda Socrate .
E Ippia non può che rispondere: “volontariamente” (eJkousivw~, Ippia minore, 374c).
Tornando al nostro argomento e concludendo:  gli omicidi di tutte le risme non vengano a dirci che hanno ammazzato senza volere, poiché in questo caso saremo sicuri che vanno messi in condizione di non farlo di nuovo: in carcere o in manicomio. Oppure, volendo essere proprio miti, in convento.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it


[1] Da effero-as, rendo feroce come fera, bestia.
[2] Cfr.  Shakespeare Amleto, III, 1.
[3] Subito, sette donne di Lesbo capaci di lavori perfetti (Iliade IX, v. 270), poi, in seguito alla presa di Troia, venti donne troiane, le più belle dopo Elena argiva (vv. 281-282), quindi, tornati in Grecia, Achille potrà sposare una delle tre figlie di Agamennone: Crisotemi, Laodice, Ifianassa, quella che preferisce.
[4] o{" c j e{teron me;n keuvqh/ ejni; fresivn, a[llo de; ei[ph/", Iliade IX, v. 313.
[5] Da poluv~ e trevpw, è uno che si volge da ogni parte, versatile, qui in senso cattivo. Nel primo verso dell’Odissea invece è elogiativo.
[6] Iliade IX, 682-683
[7] Iliade, IX, 650-655.
[8] Ippia  minore, 372 d
[9] Compos sui in latino

1 commento:

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