Oggi dirò in poche parole chi
non vorrei.
Farò seguire parte di uno studio su Nerone che presenterò qui
a Bologna, sabato 20 aprile, all’Università Primo Levi.
Il nesso tra e Nerone, o
Agrippina nel caso di un presidente donna, e la scelta del prossimo capo di
Stato, è il rifiuto di persone di potere
che non siano filantropi.
Aggiungo alla richiesta
platonica della filosofia nei re, quella della filantropia nel Presidente della
nostra Repubblica.
Non è una esigenza utopica:
ne sta dando un esempio il capo di Stato Papa Bergoglio.
Dalla guerra contro Saddam
Hussein in poi, sono stati effettuati migliaia
di bombardamenti su abitazioni civili. Un crimine contro l’umanità.. Chi era al
governo, o anche solo in parlamento, e non li ha condannati, a parer mio, ne è
complice e non vorrei che venisse eletto, o eletta, Presidente della
Repubblica.
Costui o costei, non sarà
comunque il mio presidente.
In chi fa strage di uomini, donne e bambini, mi sembra
torni a vivere Nerone, o Agrippina la quale era così assatanata dal demonio del potere che quando
i Caldei le profetizzarono che suo figlio sarebbe diventato imperatore e avrebbe
ucciso la madre (fore ut imperaret
matremque occideret), rispose “occīdat, dum impĕret ” [1]
ammazzi, purché regni.
Frase che riportata a
ciascuno dei tanti politici che non rispettano la vita umana, suona: “occidant, dum imperem”, ammazzino,
purché io comandi.
Certa gente non deve
comandare, poiché il governo o la presidenza di un popolo deve essere un
onorevole servizio.
Così
in effetti aveva insegnato un discepolo di Zenone ad Antigono Gonata re di
Macedonia [2] cui "il regnare apparve un
"onorevole servire", e[ndoxo" douleiva (Eliano,
Var. hist. II 20)" [3]
Seneca nell'ultimo capitolo del De clementia dedicato al suo discepolo imperiale chiarisce che la tanto celebrata felicità del
principe consiste nel dare salvezza a molti e nel richiamare la vita dalla
morte stessa : “Felicitas illa multis
salutem dare et vitam ab ipsa morte revocare ”.
Ecco le ultime parole
del trattato, una specie di manifesto politico composto nel 55, un anno dopo la
salita al trono di Nerone : “ Haec divina potentia est gregatim ac
publice servare; multos quidem occidere et indiscretos incendi ac ruinae
potentia est”, potenza divina è questa: salvare le folle e i popoli interi;
invece è certo che è la potenza degli incendi e dei crolli ad
ammazzare indistintamente molte persone.
All’epoca, gli aerei
che bombardavano non esistevano.
Nerone succedette a
Claudio, grazie agli intrighi della madre Agrippina in una corte dove c’erano
pugnali perfino nei sorrisi.
“Due
mogli dominarono Claudio…: Messalina [4]
tutta amorazzi e dentifrici, poi, uccisa Messalina, l’ambiziosa nipote
Agrippina, sorella di Caligola…Nerone era un ragazzo: aveva sedici anni. E’
l’età in cui si crede ciecamente ai maestri, specialmente se questi maestri si
chiamano Seneca….Seneca…nel 56 fu console; Seneca sognava, in realtà, una
specie di diarchia tra gli organi imperiali e il senato: teneret antiqua munia
senatus [5]
fu l’essenza del discorso programmatico di Nerone…Claudio fu dichiarato divus…ma in compenso Seneca scrisse una
caricatura del dio Claudio. Agrippina perdette presto il suo influsso a corte;
ai primi del 55 Britannico fu avvelenato; Nerone si fece un’amante grata a
Seneca (la liberta Acte), dimenticando Ottavia…Seneca sognava libertas senatoria e pieno ritorno alla
costituzionalità; anche per questo detestava Claudio, il monarca della
burocrazia libertina” [6].
Divenuto imperatore, il ragazzo diede retta al filosofo, per qualche anno [7].
Poi, nel 59, uccise la
madre Agrippina e nel 65 si sbarazzò anche del vecchio maestro. Nel 68, dichiarato nemico pubblico dal Senato e
abbandonato da tutti, si ammazzò,
convinto che con la sua vita finisse l’esistenza di un grande artista. Infatti
poco prima di uccidersi cacciandosi un ferro in gola, disse: “qualis artifex pereo!”[8] ,
quale artista muore con me!
L’imperatore matricida,
uxoricida [9],
fratricida [10], e, nei confronti di
Seneca, pure parricida, morì presto e non ebbe modo di ravvedersi.
Il
tiranno crudele è già abbastanza conosciuto; con questo pezzo voglio
evidenziare l’artista, anzi l’artista mancato, che si suicidò nel giugno del 68
d. C. rivendicando il suo ruolo di artifex piuttosto che quello di
imperatore. Era nato nel dicembre del 37, quindi non aveva ancora compiuto 31
anni quando morì nel giugno del 68, e alcune sue stravaganze, anche terribili,
si possono considerare dovute alla giovane età che il ragazzo Nerone non arrivò
a superare. Per giunta ebbe una madre intrigante e atroce che voleva
condizionarlo e della quale si sbarazzò uccidendola. Ma dovette sembrargli un delitto di dignità mitologica e
teatrale, come quello di Oreste; infatti gli piaceva assai recitare, e tra le
parti tragiche sceglieva spesso quella del figlio di Clitennestra, il matricida
difeso da Apollo e assolto dal tribunale ateniese dell’Areopago presieduto da
Atena [11].
Nella
regia dello spettacolo, Nerone potè, forse, indicare un parallelo tra Agrippina
che morendo aveva detto al sicario “ventrem
feri” [12] , colpisci il ventre, e Clitennestra che si denuda il seno davanti a
Oreste chiedendogli di fermarsi [13].
Nerone recitò più di una volta anche la parte di un altro
uccisore della madre: Alcmeone che aveva ammazzato Erifile, la quale, per avere
la collana di Armonia, aveva mandato a morire il marito Anfiarao.
L’imperatore interpretava
spesso anche il ruolo di Edipo:
mendicante, cieco, parricida, incestuoso.
Svetonio suggerisce un probabile
rapporto erotico con Agrippina: si diceva che quando andava in lettiga con la madre, il ragazzo si desse al piacere
incestuoso, testimoniato dalle macchie
sulla veste [14]
Dicevano pure che tra le sue concubine c’era
una meretrice somigliantissima ad Agrippina.
Recitando, l’imperatore indossava
maschere simili alle facce dei personaggi, oppure alla propria. Infatti voleva
assomigliare ai suoi eroi.
Interpretava anche Eracle furioso che aveva
ucciso i propri figli in quanto reso pazzo da Giunone. Il figlio di Zeus non era
responsabile del misfatto: altrettanto Nerone che aveva ucciso Poppea incinta
in un accesso di follia.
Insomma: Nerone mitologizzava i propri delitti per
prendere le distanze dai delinquenti comuni e assumere la veste del grande
personaggio tragico. Recitava anche in ruoli femminili : una volta stava
interpretando Canace partoriente che
ebbe un figlio dal fratello Macareo, e quando chiesero di lui, un soldato
rispose: “partorisce”.
Nel 66 e nel 67 l’imperatore calcò teatri e stadi greci.
Roma, il teatro di Pompeo e
il grande circo dell’Urbe infatti non gli bastavano più.
Nella culla della civiltà, le
folle e i soldati lo acclamarono vincitore di tutti i grandi giochi: Olimpici,
Pitici, Nemei, Istmici [15] Una specie di grande slam dell’epoca.
Nerone aveva una predilezione
per i Greci dai quali si sentiva capito più che dai Romani, ed era talmente
grato degli allori raccolti nella gare panelleniche che, partendo, soppresse la
provincia Acaia e donò la libertà a tutta quella nazione di esteti, quindi la esentò dai tributi.
Lo attesta l’iscrizione di
Acrefia, in Beozia, rinvenuta
dall’epigrafista Maurice Holleaux: “Greci, vi faccio un dono tanto grande che
voi stessi siete incapaci di chiederlo, ammesso che ci sia qualcosa che da un
uomo magnanimo come me non si possa aspettare. A tutti voi, uomini dell’Acaia e
del Peloponneso, accordo la libertà e l’esenzione dalle tasse”.
Gli Elleni lo
contraccambiarono: lo salutarono come Zeus liberatore e dopo la sua morte
aspettavano il ritorno di Nerone, come Messia e vendicatore contro
l'oppressione di Roma.
E il greco, sacerdote delfico, Plutarco,
immagina che l'anima di Nerone, già condannata a vivere nel corpo di una
vipera, passi alla vita di un cigno, poiché aveva fatto qualche cosa di buono
liberando i Greci, la stirpe più insigne e cara agli dèi [16]
Questa
passione di recitare suonando la cetra non era la sola: amava altresì guidare
la quadriga nel circo. Tacito considera ignobili queste attitudini, ma anche
dietro il gusto delle corse con i cocchi c’era un’idea: l’ imperatore ricordava
che gareggiare
con i cavalli era stata attività di re, celebrata da grandi poeti [17],
e praticata in onore degli dèi.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, Nerone seguiva
i dettami di Petronio, il probabile autore del Satyricon, , l’elegantiae
arbiter della corte, il quale gli insegnava lo stile della neglegentia , la sprezzatura, la
noncuranza, esibita del resto. Nerone ostentava un vistoso non-conformismo, che rompeva con le
tradizioni di dignità dei grandi personaggi della vita pubblica romana. Così,
per esempio, compariva spesso in pubblico indossando una veste da camera e un
fazzoletto annodato intorno al collo, senza cintura e a piedi scalzi: una
negligenza che era solo apparente e dissimulava una raffinatezza estrema.
Poco tempo
dopo il suo ritorno dalla Grecia fu dichiarato nemico pubblico dai senatori che
erano stati umiliati e pure danneggiati nel patrimonio dalla svalutazione delle
monete d’oro, da loro accumulate,
rispetto ai denari d’argento che erano la moneta della piccola borghesia
dell’epoca.
Come vide
che lo abbandonavano persino le guardie del corpo, Nerone fuggì a cavallo nel podere di Faonte accompagnato da costui
che probabilmente lo aveva denunciato, e da altri due liberti: Epafrodito,
fellone anche lui, e Sporo, un giovane già fatto castrare dall’imperatore
il quale, dopo la morte di Poppea , lo aveva addirittura sposato con un grande
corteo nuziale in cui Tigellino fungeva da padre della sposa.
Nelle
ultime ore di vita gli venne in mente più volte un verso di una tragedia greca,
l’Edipo esule, nella quale il figlio di Giocasta si sente chiamato a morire dalla
madre-moglie e dal padre. Alla fine Nerone
recitava direttamente se stesso.
Quando sentì sopraggiungere
dei cavalieri, ordinò ai liberti di ucciderlo. Ma questi si rifiutarono e il
disgraziato gridò: “ io solo dunque non ho un amico né un nemico?” Quindi
aggiunse che la sua vita era diventata turpe, deforme, e come sentì avvicinarsi
il rumore delle cavalcature, citò un verso dell’Iliade [18]:
“ galoppo di cavalli dai piedi veloci mi percuote le orecchie”. Infine si
cacciò un ferro in gola aiutato da Epafrodito, l’addetto alle suppliche [19] che
gli diede il colpo di grazia.
Non c’è nemmeno bisogno di
chiarire che nessuno dei “presidentabili” è uguale a Nerone, se non altro per l’età, tuttavia
ribadisco che il mio presidente non può essere chi maltratta la vita o, in
vista del proprio tornaconto, omette di condannare chi la danneggia, bensì chi
si adopera per salvarla e proteggerla.
Insomma vorrei che il prossimo
Presidente della repubblica fosse un filantropo.
Allo stesso Gino Strada, che
gli assomiglia, non posso del resto non rimproverare
la battuta impietosa sul povero ex ministro Brunetta che certamente non ha
avuto una vita facile.
E’ stata una pessima caduta di stile, e, molto
peggio, di humanitas.
Ha fatto una brutta figura.
Dovrebbe chiedere scusa.
Giovanni Ghiselli
g.ghiselli@tin.it
[1] Tacito, Annales, XIV, 9
[2] Dal 276 al 239 a. C.
[4] La terza, uccisa nel 48. Ndr.
[5] Tacito, Annales, XIII, 4,
conservasse le sue antiche prerogative il senato. (ndr)
[6] S. Mazzarino, L’impero romano, 1, p. 218.
[7] Secondo Svetonio, nei primi tempi del suo principato
Nerone si comportò da filantropo, al punto che quando venne costretto dalle
leggi a firmare una condanna a morte esclamò: “quam vellem, inquit, nescire
litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei non saper scrivere!
Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava i cittadini
chiamandoli per nome, e al Senato, che gli porgeva ringraziamenti, rispose: “Cum
meruero”, quando li avrò meritati.
[8] Svetonio, Vita
di Nerone, 49.
[9] Uccise la moglie Ottavia nel 62 e la seconda moglie
Poppea nel 65
[10] Uccise il fratellastro Britannico nel 55.
[11] Cfr. l’Orestea
di Eschilo.
[12] Tacito, Annales,
XIV, 8.
[13] Eschilo, Coefore,
896
[17] Si pensi a Pindaro.
[18] X, 525,
[19] Iuvante
Epaphrodito a libellis, Svetonio, Vita, 49.
quiero tener amigos de Italia para intercambiar ideas y aprender a hablar nuestras respectivas lenguas y algo mas.
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