lunedì 29 aprile 2013

La cultura umanistica contro la violenza


Ho letto in molti giornali che sarebbero state le parole di dura critica al governo a provocare  l’orrenda violenza della quale sono rimasti vittima due carabinieri.
In effetti l’apparenza per giunta spesso violenta la verità.

So bene che sarebbe odiosa sapienza 
[1] se un modesto scarabocchiatore quale sono io  osasse contrapporsi a  fior di  giornalisti  e a fior fiore  di uomini politici, come Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, guide scelte, ductores delecti,  prima virorum [2].  
Tuttavia voglio ribadire la mia idea di fondo che non è stata la critica, seppure dura, ma  l’ignoranza e la follia a generare la violenza.
Chi ha sparato era un criminale pazzo e ignorante.
Contro la violenza propongo il recupero dell’umanesimo e della cultura umanistica.
Non si leggono più gli autori, nemmeno gli autori i massimi. Omero, Sofocle, Euripide, Virgilio, Seneca, Dante, Machiavelli, Shakespeare, Goethe, Leopardi, per fare solo qualche esempio, sono del tutto sconosciuti a gran parte degli studenti e non sono abbastanza conosciuti da una parte non piccola degli insegnanti; l’obbrobrio dell’ignoranza dei testi induce gli ignoranti al tedioso racconto di vuote ciance.
Questo oblio dei classici caratterizza le epoche di decadenza

Il personaggio Messalla del Dialogus de oratoribus di Tacito [3] lamenta che non  si dedichi più abbastanza  lavoro alla lettura degli autori (nec in auctoribus cognoscendis) né allo studio dell'antichità (nec in evolvenda antiquitate), né alla conoscenza della storia (nec in notitiam vel rerum vel hominum vel temporum satis operae insumitur, 30). Si cercano solo le chiacchierate dei retori.
Alla micrologica ciancia di moda contrappongo un sapere serio e umano. Quello che  il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono: "e[xoid  j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
"Fammi sapere - dice l’umano re di Atene a Edipo, esule, mendico, cieco e malfamato - infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi sottraessi; siccome anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so di essere uomo e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a te"(vv.560-568).
Queste parole potrebbero essere utili alla rieducazione dei razzisti nostrani.
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas  latina.  
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel  più famoso verso di Terenzio: "Homo sum: humani nihil a me alienum puto "[4], sono uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda.

All'opposto della folle chiusura nell'ego del pazzo che va a sparare, c'è l'Antigone di Sofocle che afferma il suo amore per l'umanità: "ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone  di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento"[5].
"Mi aspetto da un medico, nemmeno io so bene perché, un resto di quell’umanesimo per cui si richiede la conoscenza del latino e del greco oltre a una certa preparazione filosofica, e che nella maggior parte delle professioni, oggigiorno, non è più necessario. Io, che in genere amo così fervidamente tutto ciò che è nuovo e rivoluzionario, in questo sono senz'altro retrivo, e dai ceti colti pretendo un certo idealismo, una certa disposizione a discutere e a capire del tutto indipendentemente da ogni vantaggio materiale, insomma un resto di umanesimo, anche se so che quest'umanesimo, in realtà, ha cessato di esistere e che tra poco anche la sua apparenza esterna non si troverà più se non nei musei delle figure di cera"[6].
Bisogna comunque lottare perché la sostanza dell'umanesimo rimanga nella scuola italiana. E non solo nella scuola: "Si sa o si intuisce che quando il pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione dello spirito non è più valida, anche le navi e le automobili incominciano presto a non funzionare, anche il regolo calcolatore dell'ingegnere e la matematica delle banche e della borsa vacillano per mancanza di valore e di autorità, e si cade nel caos (…) Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei quali popoli e partiti, vecchi e giovani, rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine, di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che non fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero modificati a ogni piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di superamento del caos" [7].

La scuola può aiutare i giovani a trovare la strada di questo superamento. Deve farlo: “E’ in stato di rovina l’economia - quella delle nazioni e quella teorica. E’ in stato di rovina, infine, e di grave rovina, perfino la femminilità” [8].
“Che cos’era in fondo l’umanesimo? Nient’altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchinava e offendeva l’idea dell’uomo” [9].
“L’umanesimo non dovrebbe più essere portavoce dell’orgogliosa volontà di dominare l’Universo. Diviene essenzialmente quello della solidarietà fra umani, la quale implica una relazione ombelicale con la natura e con il cosmo” [10].
Marco Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e filosofo, scrive: noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire  uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin") [11].
Questa idea di humanitas è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli: in Devotions upon Emergent Occasion di  John Donne (1572-1631) per esempio  leggiamo: "Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio... La morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls[12] ); suona per te.
Leopardi aveva suggerito una relazione polemica con la natura, ma, nello stesso tempo, un rapporto di solidarietà e amore tra gli uomini: “Costei chiama inimica; e incontro a questa / congiunta esser pensando, / siccome è il vero, ed ordinata in pria / l’umana compagnia, / tutti fra se confederati estima / gli uomini, e tutti abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta ed aspettando aita / negli alterni perigli e nella angosce della guerra comune” [13].
P. P. Pasolini denunciava un vuoto di Carità [14] nell'Italia degli anni Settanta, un vuoto identificato con la mancanza di cultura.


"L'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azioni umane deriva dunque in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica" [15].

Nella tragedia attica i personaggi “puramente pragmatici” costituiscono modelli negativi per il pubblico.
Nel Filottete[16] di Sofocle, Odisseo, la consumata volpe,  suggerisce allo schietto figlio di Achille di agire con la frode (
dovlw/, v. 101) e di parlare mentendo, se la menzogna porta salvezza e profitto:"o{tan ti dra'/" ej" kevrdo", oujk ojknei'n prevpei" (v. 111), quando fai qualche cosa per un guadagno non è conveniente esitare. L’Itacese[17] in conclusione raccomanda a Neottolemo  di ricavare un utile dalle parole che dirà e da quelle che ascolterà via via:"devcou ta; sumfevronta tw'n ajei; lovgwn" (v. 131).
Tale è anche Giasone nella Medea di Euripide. Il suo pragmatismo spietato si manifesta chiaramente dichiara alla compagna abbandonata di avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia (o le famiglie) e senza restrizioni [18], sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono, anche se amico. Egli insomma "
dra'/ ta; sumforwvtata"[19] (v. 876) fa quello che è più utile, come riconosce con ironia la donna abbandonata, quando finge di sottomettersi e di approvarlo, beffeggiandolo.

In questa categoria dell'utile non onesto può essere  inserita anche la Poppea Sabina di Tacito la quale: "unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat " (Annales, XIII, 45), volgeva la libidine là dove si mostrava l'utile.
Si pensi alla maggior parte degli individui, femmine e maschi, che appaiono nelle trasmissioni televisive.
“E la ragione facendo naturalmente amici dell’utile proprio, e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie assolutamente la società, e inferocisce le persone” (Leopardi, Zibaldone, 23).

In maniera pragmatica e priva di carità si comporta Carlo Grandet quando scrive a sua cugina Eugenia che lo aveva atteso per sette anni, amandolo, dopo che si erano giurati amore eterno: "L'amore, nel matrimonio, è una chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che bisogna obbedire a tutte le leggi sociali e salvaguardare col matrimonio tutte le convenienze volute dal mondo…Oggi io posseggo ottantamila lire di rendita. Questo denaro mi consente di unirmi alla famiglia d'Aubrion, la cui ereditiera, una giovane di diciannove anni, mi porta col matrimonio il suo nome, un titolo, la carica di gentiluomo onorario di camera di sua Maestà, e una posizione fra le più brillanti. Vi confesserò, mia cara cugina, ch'io non amo affatto la signorina d'Aubrion; ma, unendomi a lei, assicuro ai miei figli una situazione sociale i cui vantaggi saranno in avvenire incalcolabili"[20].
Viceversa Kierkegaard afferma: "Sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale (...) L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"
[21].
Analoga riflessione (sempre a proposito del matrimonio) si trova in Svevo: "Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"
[22].
Eugenia Grandet  non accetta le convenzioni dell'eterna borghesia e risponde al cugino arrampicatore sociale:"Sì, cugino, avete giudicato bene il mio spirito e i miei modi: non sono fatta per la società, non ne conosco né i calcoli né i costumi, e non saprei darvi i piaceri che voi volete trovarvi. Siate felice, secondo le convenzioni sociali alle quali avete sacrificato il nostro primo amore"[23].
Tony Buddenbrook, la vestale della religione della famiglia borghese, invece accetta la logica del matrimonio-contratto e rinuncia all'amore senza del resto trarre alcun vantaggio da diverse nozze mal calcolate. Nell’ultima pagina del romanzo, diventata una cinquantenne benportante, dice queste parole di commento alla vita: “Dio mi perdoni, si comincia a dubitare della giustizia, della bontà… Di tutto. La vita, voi sapete, frantuma tante cose nel nostro cuore, delude tante volte la nostra fede… Rivedersi?... Fosse vero!...”[24].

Nelle scuole si dovrebbe insegnare qualche cosa anche sul rapporto tra uomo e donna.
“In fondo, è una cosa importante quanto la geografia del nostro paese, o le regole fondamentali della conversazione. Influisce sulla serenità di una persona tanto quanto l’educazione o una sicura padronanza dell’ortografia. E non ha nulla di frivolo… Voglio dire, al momento giusto, persone intelligenti e preparate - poeti, medici - dovrebbero parlare ai giovani delle gioie della convivenza… Non di “vita sessuale”, ma di gioia, pazienza, modestia, appagamento”[25].

Ma torniamo alla “carità” di cui Pasolini soffriva la mancanza.
La caritas secondo l'apostolo Paolo è il valore massimo:"Si linguis hominum loquar et angelorum, caritatem autem non habeam, factus sum velut aes sonans aut cymbalum tinniens" [26], se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, però non avessi la carità, diverrei un rame risonante o un cembalo che squilla. "Nunc autem manet fides, spes, caritas, tria haec; maior autem ex his est caritas"[27] ora dopo tutto restano fede, speranza e carità, questi tre pilastri, ma la più grande è la carità. In un altro scritto Pasolini associa l’assenza di cultura alla droga: “Perché ci si droga? Non lo capisco, ma in qualche modo lo spiego. Ci si droga per mancanza di cultura… E’ chiaro che chi si droga lo fa per riempire un vuoto, un’assenza di qualcosa, che dà smarrimento, angoscia. E’ un sostituto della magia. I primitivi sono sempre di fronte a questo vuoto terribile, nel loro interno”[28]
L’incolto, come il primitivo, è terrorizzato dall’idea della perdita della propria identità. In non pochi casi questa viene cercata nella violenza.

Concludo con un consiglio semiserio a Enrico Letta: si guardi dalle male lingue dei suoi nemici. Potrebbero imitare Marco Antonio il quale diceva del suo nemico Ottaviano, il futuro Augusto: “adoptionem avunculi stupro meritum[29]  che si era guadagnata l’adozione del prozio, Giulio Cesare, col prostituirglisi.
Io non credo, proprio non credo che questa  storia, se pure è vera, si sia ripetuta, in una specie di eterno ritorno, tra lo zio e il nipote Letta. Lo escludo.
Tuttavia invito il Presidente del consiglio dei ministri e suo zio Gianni a mettere in conto le  accuse di nepotismo, forse non tutte ludiche.

Giovanni Ghiselli


[1] Pindaro nell’ Olimpica IX afferma che diffamare gli dei è odiosa sapienza (tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38).
[2] Lucrezio, De rerum natura, I, 86
[3] 55 ca.-120 ca d. C.
[4] Heautontimorumenos, 77.
[5] E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi, p. 63.
[6] H. Hesse, La Cura , (del 1925), p. 27.
[7] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 33 e p. 368.
[8] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 29.
[9] T. Mann, La montagna incantata, I, p. 177.
[10] E. Morin, La testa ben fatta, p. 101.
[11] Ricordi , II, 1
[12] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di  Hemingway, 1940
[13] La ginestra (del 1836, vv. 126-135).
[14] Marzo 1974. Vuoto di Carità, vuoto di Cultura: un linguaggio senza origini. (Scritti corsari, p. 44).
[15] Scritti corsari , p. 49.
[16] Del 409 a. C.
[17] Personaggio nel quale, secondo Luciano Canfora, gli spettatori potevano riconoscere l’abile e spregiudicato Teramene, soprannominato “coturno”, il calzare che si adatta ad entrambi i piedi, per la sua ambiguità politica. Filottete viene invece identificato con Alcibiade e Neottolemo con il più giovane stratego Trasillo.
[18] "ajll j wJ", to; men; mevgiston, oijkoi''men kalw'"-kai; mh; spanizoivmeqa" (vv. 559-560).
[19] Si può notare che il
suvmforon, l'utile, il vantaggioso, è etimologicamente connesso a fwvr (lat. fur), ladro. Chi guarda esclusivamente all'utile insomma non può essere onesto.
[20] H. d. Balzac, Eugenia Grandet (del 1833),  pp. 158-159.
[21]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981,  p. 163 del Tomo Quarto.
[22] Una vita , p. 208.
[23] H. d. Balzac, Eugenia Grandet, p. 165.
[24] T. Mann, I Buddenbrook, p. 484.
[25] Sàndor Màrai, La donna giusta, p. 136.
[26] Ep. Ad Conrinthios, I, 13, 1.
[27] Ad Corinthios, I, 13, 13.
[28] Saggi sulla politica e sulla società, I Meridiani, Mondatori, Milano 1999, p. 1168.
[29] Svetonio, Augusti Vita, 68.


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