Ovidio Metamorfosi XIII. La contesa per le armi di Achille tra
Ulisse e Aiace .
Il poeta Peligno presenta un
duello oratorio tra Aiace e Ulisse. Ricorda il dibattito giudiziario tra Elena
ed Ecuba nelle Troiane di Euripide .
Aiace si presenta come legittimo
erede delle armi di Achille il quale, tanto per cominciare, era suo cugino.
Peleo e Telamone, i loro padri infatti erano fratelli e per giunta nipoti di
Giove in quanto figli di Eaco nato da Giove, appunto, e da Egina.
Ulisse invece è, di fatto, figlio
di Sisifo furtisque et fraude simillimus
illi (v. 32) del tutto simile a lui per frode e per furti.
Quindi il Telamonio ricorda una
delle frodi di Ulisse: prese le armi per ultimo: cercò di rifiutare la milizia furore…ficto (vv. 36-37), fingendosi
pazzo.
Qui si possono ricordare gli
ossimori viventi, come Bruto, Amleto e altri .
“Il falso stolto deve anche
farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e
Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e se ne va in giro con in
capo il berretto (pileus) dello stolto [1]. Peccato che non possiamo più vedere un celebre
dipinto di Eufranore che stava a Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio
lo descriveva così:"Ulisse, fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un
cavallo: vi sono anche uomini pensosi vestiti col pallio, e un comandante che
rinfodera la spada"[2].
Ma Palamede, che aveva inventato 11 lettere
dell’alfabeto, scoprì l’astuzia e mal gliene incolse.
“ Egli prese il figlio di Ulisse,
Telemaco, dalla culla e lo pose davanti all’aratro, dicendo: “Lascia questa
commedia e unisciti agli alleati”[3].
Ulisse si vendicò nascondendo
dell’oro sotto la tenda di Palamede e facendo trovare ad Agamennone una lettera
nella quale lui stesso aveva scritto che Priamo aveva promesso al figlio di
Nauplio tanto oro quanto era stato celato sotto terra.
Palamede in seguito a questa
falsa accusa venne lapidato e Nauplio per vendetta fece naufragare le navi dei
Greci sulle scogliere di Cafareo, un promontorio dell’Eubea con segnali di
fuoco ingannevoli.
Ma torniamo al discorso di Aiace
nelle Metamorfosi di Ovidio.
Magari fosse stato pazzo davvero,
continua il Telamonio, o almeno creduto tale, e non fosse venuto a Troia questo
hortator scelerum (v. 45)
Ora l’erede delle armi di Ercole velatur aliturque avibus (v. 53), si
veste e si ciba di uccelli ed è consumato dal morbo e dalla fame.
Ma almeno vive poiché non ha
seguito l’Itacese.
Mallet et infelix Palamedes esse relictus (v. 56), vorrebbe essere stato abbandonato anche
l’infelice Palamede; viveret, sarebbe
vivo o sarebbe morto senza infamia.
Così, con la morte o l’esilio,
Ulisse inficiò le forze dei Greci.
Aiace ricorda pure che una volta
egli stesso salvò la vita a Ulisse coprendolo con lo scudo (75-76). Come fu
salvato, il vigliacco fuggì.
Aiace fu il più coraggioso
nell’opporsi alla furia di Ettore
Gran vanto dell’Itacese è la spedizione notturna
con l’uccisione dell’imbelle Dolone e di Reso mentre dormiva [5].
Ma l’Itacese non fece mai niente
di grande durante la luce del giorno, né senza Diomede. Ulisse è un uomo
subdolo e vile che opera sempre di nascosto, senza armi, ingannando l’incauto nemico con frodi (qui clam, qui sempre inermis-rem gerit et furtis
incautum decipit hostem, vv. 103-104). La sua vera arma è la lingua con la
quale intreccia sofismi fallaci.
Le armi di Achille non sono
adatte a un uomo tanto debole: l’elmo gli farà cadere la testa, l’asta il
braccio, e lo scudo dove è raffigurata la terra [6] non è fatto timidae
nataeque ad furta sinistrae (v. 111), a una sinistra codarda e nata per
rubare.
Sentiamo la replica astuta di
Ulisse
Parlò con grazia e facondia ( Metamorfosi XIII, v. 127)
L’Itacese inizia il suo discorso
simulando dolore per la morte di Achille con le parole e facendo il gesto di
tergersi lacrime (manuque simul veluti
lacrimantia tersit-lumina, vv. 131-132) [7]) quindi
ricorda che il legittimo erede e successore del Pelide è lui stesso che lo ha
portato a combattere nel campo dei Greci.
Ulisse si riferisce al fatto che Tetide aveva
mandato il figliolo travestito da ragazza nell’isola di Sciro, ospite del re
Licomede. Qui Achille ebbe una relazione furtiva con Deidamia da cui nascerà
Pirro, poi venne scoperto, invogliato a combattere e portato a Troia da Ulisse
e Diomede
Ulisse nella Tebaide
di Stazio
.
Stazio racconta questa storia nell’Achilleide. Qui Ulisse è il providus heros (II, 24) l’eroe che
prevede e provvede.
Inviato da Calcante, a sua volta
ispirato da Febo, l’Itacese entra nella reggia e cerca le tracce di una
fanciulla di aspetto robusto (vestigia
magnae- virginis, 69-70).
Ulisse scaltro sa cogliere il
momento opportuno (sollers [8] arrepto tempore Ulixes, II, 110) e celebra con un discorso al re Licomede
circondato da fanciulle, tra le quali c’è il figlio di Tetide travestito, la
bellezza e grandezza della spedizione contro Troia. Intanto osserva Achille che
è attentissimo.
C’è poi una danza bacchica delle
ragazze con tanto di cembali, timpani e tirsi. Achille si distingue poiché
sdegna la molli movenze e l’abbigliamento femminile, come già Penteo nella
prima parte delle Baccanti di
Euripide.
I Greci inviati per portare
Achille a Troia, Ulisse e Diomede, espongono i doni perché il Pelide si scopra.
Il re Licomede non fiuta l’inganno: “Heu
simplex nimiumque rudis, qui callida dona- Graiorumque dolos variumque ignoret
Ulixen” (172-173), ahi ingenuo e troppo inesperto, quello che ignora i doni
scaltri e gli inganni dei Greci e il molteplice Ulisse.
Ulisse dunque è varius,
variopinto e cangiante, come l’arcobaleno (cfr. poluvtropo~ dell’Odissea (I, 1) e versutus
dell’Odusīa di Livio Andronico).
Per i callida dona cfr Virgilio, Eneide
II, quando Laocoonte cerca di
opporsi all’introduzione i Troia del cavallo: “ aut ulla putatis –dona carere dolis Danaum? Sic notus Ulixes?”, o
pensate che ci siano doni dei Danai senza inganni? Così poco conoscete Ulisse?
Qundi: “equo
ne credite, Teucri.-Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis” (vv.
48-49), non date credito al cavallo, Teucri. Qualunque cosa esso sia, temo i
Danai anche quando recano doni.
Rimaniamo ancora un poco su Stazio. Achille al vedere tra i doni una lancia e uno
scudo, non si trattenne: ebbe un fremito, roteò gli occhi et fronte relicta- surrexere comae …totoque in pectore-Troia est ( 181-183) e, lasciata la fronte, si
rizzarono le chiome…e in tutto il suo animoi c’è Troia.
Tunc acer Ulixes
(v. 192)), l’acuto Ulisse, gli dice “quid
haeres? (193), perché sei bloccato?, “Scimus-ait-tu
semiferi Chironis alumnus” (v.194), sappiamo che sei l’allievo di Chirone
bimembre
Quindi Heia,
abrumpe moras! (198), avanti, rompi
gli indugi!
E tua madre, l’ ingannevole
Tetide si vergogni di avere temuto tanto per te!
Pudeatque dolosam-sic pro te
timuisse Thetin
(199-200).
A questo punto Achille si scopre
e va a Troia . Promette a Deidamia in cinta di ritornare ma inrita ventosae rapiebant verba procellae
(286), ma le parole vane le portavano via le tempeste ventose .
Ora però torniamo a Ovidio.
Dunque Ulisse ricorda come rivelò
Achille agli altri e a se stesso
Quindi: fortem ad fortia misi (Metamorfosi,
XIII, 170), mandai il forte a cose forti.
L’Itacese procede con una serie
di sofismi.
Ergo opera illius mea sunt (v. 171), perciò sono mie le sue gesta (quelle di
Achille, poiché lui lo ha portato a combattere)
e per me iacet inclitus Hector (178), il famoso Ettore è morto per
opera mia.
Inoltre con le mie parole ho
convertito l’affetto paterno di Agamennone al bene comune: “ego mite parentis-ingenium verbis ad publica
commoda verti ” (187-188). In altre parole, ha convinto Agamennone ad
ammazzare la propria figliola.
E’ stata l’utilitas populi (195) a
indurci a questo delitto.
Andai io da Clitennestra che doveva essere ingannata
dall’astuzia (astu- decipienda fuit,
192-193. Cfr. Ifigenia in Aulide di
Euripide)
Se andava Aiace, saremmo ancora
bloccati dai venti in Aulide.
Sono andato anche a fare
l’ambasciatore a Troia (cfr. Ecuba di
Euripide). Operai consilio manuque
(205) con il senno e la mano [9].
Dopo le prime battaglie, poco si
combatté. Solo nel decimo anno si riprese. Per nove anni dunque Aiace non fece
nulla.
Io, dice Ulisse, insidiavo i
nemici e confortavo gli amici con la mia capacità di parlare.
Nell’XI canto dell’Odissea,
Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh;
ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi
pensieri e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv.
367-368).
Quindi Ulisse ricorda il sogno ingannatore di Agamennone e
la volontà di ritorno dell’esercito. Scappavano tutti, anche Aiace, quando
intervenni e trattenni le truppe in fuga (Metamorfosi,
XIII, 223-224)
C’è il
ricordo del secondo canto dell’Iliade,
dove Zeus per onorare Achille, manda ad Agamennone ou\lon
[Oneiron, un Sogno funesto
(6) che, preso l’aspetto di Nestore, lo
invita a radunare l’esercito per attaccare Troia. Agamennone si sveglia e
raduna la boulh; gerovntwn megaquvmwn, il
consiglio degli anziani magnanimi (v. 53).
Il capo dell’esercito racconta il sogno e dice che armerà
le truppe, ma prima le metterà alla prova: “ per prima cosa io li tenterò con
parole, è giustizia ("prw'ta d& ejgw;n e[pesin peirhvsomai, h{
qevmi" ejstiv", v. 73).
Segue l'episodio della "Prova dell'esercito" che
precede il Catalogo delle navi. I soldati, sentita la proposta di Agamennone di
tornare in patria, con grida di gioia balzarono verso le navi (“toi; d
‘ ajlalhtw`/ -nh`a~ e[p j ejsseuvonto”, II, 149-150).
Allora contro il destino (uJpevrmora, v.155)
sarebbe avvenuto il ritorno, ma Atena, spinta da Era, andò a parlare con Odisseo, simile a Zeus per intelligenza ("Dii;
mh'tin ajtavlanton", v. 169) e gli diede il compito di trattenere la
fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole ("ajganoi'"
ejpevessin", v. 180). La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un
altro epiteto formulare ("polumhvcan j ", v. 173, ricco di risorse) il quale, al pari
di quello citato sopra e diversi altri,
lo caratterizza come uomo intelligente e
capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa abilità nel ristabilire
una situazione compromessa: Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga
alternando le blande parole con ingiurie e colpi di scettro. Tutti si fermarono
presto, tranne Tersite, l’ ai[scisto" ajnhvr, per il
quale ci volle una grossa dose di insulti e bastonate.
L’Ulisse di Ovidio dunque ricorda questa sua prodezza di
oratoria militare e politica suscitata dal dolore: dolor ipse disertum- fecerat ( Metamorfosi,
XIII, 228-229). Dice che richiamò anche Aiace mentre colui dava le spalle. Poi
ricorda l’impresa notturna con Diomede e l’uccisione di Dolone e quella di
Reso. Quindi fa un elenco dei tanti
nemici uccisi
Poi compie un topos gestuale: mostra le sue cicatrici come
segni di coraggio e abnegazione, quasi degli ornamenti (vulnera…pulchra vv. 262-263), le belle ferite.
Quindi
Ulisse vestemque manu deduxit ( Metamorfosi XIII, v. 264), con la mano
si tirò giù la veste.
Aiace
non è che non abbia fatto niente, ma nemmeno ha fatto tutto lui.
Anzi,
ha duellato con Ettore (Iliade, VII)
ma non lo ha nemmeno ferito: “Hector abit
violatus vulnere nullo” (v. 279).
Nell’Iliade è rappresentato un duello
cavalleresco. Si conclude con uno scambio di doni. Ettore donò la spada a
borchie d’argento ( VII, 303) e Aiace contraccambiò con una fascia splendente di porpora.
Con
quella spada Aiace si ucciderà dopo la sconfitta nel giudizio delle armi e la
conseguente follia [11], come Didone si ucciderà
con quella donatale da Enea.
Poi
l’Ulisse di Ovidio passa alle offese: Tetide ha brigato per avere l’armatura di
Achille non certo perché la indossasse un rudis
et sine pectore miles (v. 290), un
rozzo soldato senza intelletto. Non può capire i caelamina (v. 291) le cesellature dello scudo [12], l’Oceano, gli astri, e la
volta sublime del cielo. Postulat ut
capiat quae non intellegit arma (v. 295), Aiace chiede di prendere armi che
non capisce.
Quanto
al proprio indugiare prima della partenza, continua l’Itacese, lo ha fatto
anche Achille: “Me pia detinuit coniunx,
pia mater Achillem” ( v. 301). Sono
state le pie donne Penelope e Tetide a trattenerli. A loro abbiamo dato quei prima tempora, cetera vobis (v. 302). E
Achille fu scoperto dall’ingegno di Ulisse, Ulisse non certo dalla povera testa
di Aiace.
Quanto
a Palamede, era colpevole; Filottete era malato e io l’ho lasciato a Lemno
perché riposasse. Ora che i profeti lo vogliono a Troia, provate a mandare
Aiace, perché lo riconduca con il suo eloquio!
Il
mio senno farà i vostri interessi finché il Simoenta scorrerà verso il mare e
l’Ida avrà degli alberi. Sarebbe ajduvnaton[13] che non fosse così.
Come
è impossibile che giovi ai Danai Aiacis
stolidi sollertia (327)
l’ingegnosità di Aiace balordo.
Andrò
io a prendere Filottete, anche se mi odia. Riporterò lui con l’arco e le saette
fatali. Io ho già risolto situazioni difficile, mentre le grosse parole di quel
“grande” uomo non combinano niente.
Altri
eroi potrebbero aspirare a quelle armi: Diomede, Idomeneo, Aiace di Oileo,
Euripilo (capo tessalo) ma consiliis
cessere meis (361), si sono ritirati davanti al mio senno
Quindi
Ulisse si rivolge direttamente ad Aiace: “Tu
vires sine mente geris, mihi cura futuri (363), hai le forze ma non la testa, al futuro devo
pensarci io . Tu combatti ma il tempus
opportuno per la pugna, il kairov~, lo
scegliamo io e l’Atride: tu tantum
corpore prodes,- nos animo (vv. 365-366), tu sei utile solo con il corpo,
noi con lo spirito
Ti
supero di quanto il timoniere è superiore a chi rema, di quanto lo è il
condottiero al soldato.
Quindi
l’Itacese chiese le armi e concluse: “aut
si mihi non datis arma, huic date”, et ostendit signum fatale Minervae (380-81),
indicò la statua fatale di Minerva.
L’assemblea
ne fu commossa “ et quid facundia
posset,-re patuit , fortisque viri tulit arma disertus” (vv. 382-383), si
vide di fatto che potenza abbia la capacità di parlare, e l’eloquente riportò
le armi del forte.
Ovidio nell’Ars amatoria
fa notare che la potenza della parola è vincente anche nel campo
erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus [14]
Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas " [15].
Anche secondo don Milani l’arte della
parola prevale su tutte le arti: "bisogna sfiorare tutte le materie un po'
alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti
nell'arte della parola" [16].
Ma
concludiamo con il racconto delle Metamorfosi
con il suicidio di Aiace, l’uomo incapace di parlare.
Invictum
virum vicit dolor (386), il dolore vinse l’invitto guerriero
E
si uccise dicendo “ne quisquam Aiacem
possit superare nisi Aiax!” ( Metamorfosi,
XIII v. 390), nessuno potrebbe vincere Aiace, se non Aiace!
Giovanni
Ghiselli
[1] Igino, Fabulae, 95.
[2] Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[3] Igino, Fabulae, 95.
[4] Cfr. la tragedia Filottete
di Sofocle.
[5] Raccontata nel X libro dell’Iliade.
[6] Cfr. Iliade XVIII, 478 ss.
[8] Sollers è formato da sollus, intero, e ars.
[10] Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb
mouths " ( Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2), bocche mute,
come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è anche una bocca. Una
qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla!
Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di
messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita"[10].
Quando Didone
muore la ferita stride profonda nel petto:"infixum stridit sub pectore volnus
" ( Eneide, IV, v. 689).
Alessandro, prima della battagli di Gaugamela dice ai
soldati che avrebbe combattuto davanti alle prime file: se ante prima signa dimicaturum (Curzio Rufo. Historiae Alexandri Magni,
4, 14, 6.
Ho le cicatrici come
garanzia delle mie parole e decorazioni del mio corpo: “spondēre pro se tot cicatrices, totĭdem corporis decŏra”, e sono l’unico a non prendere parte del
bottino.
Cfr il console Mario
il quale nel Bellum Iugurthinum dice
che non può ostentare i ritratti degli antenati ma trofèi di guerra “praeterea cicatrices advorso corpore”
(84) e inoltre cicatrici nel petto.
[11]
Cfr. l’Aiace di Sofocle.
[12]
Cfr. Iliade XVIII
[13]
Si dice di cosa impossibile.
[14] Un limite alla facundia, come del resto alla pietas,
lo suggerisce Orazio:" Cum semel
occideris et de te splendida Minos/ fecerit arbitria,/ non Torquate, genus, non
te facundia, non te/restituet pietas" (Carm. IV, 7, vv. 21-24), una volta
che sarai morto e Minosse avrà dato sul tuo conto chiare sentenze , non la
stirpe, Torquato, non la facondia, non la devozione ti restaurerà. Questo
limite dunque è la morte, solo la morte.
[15]
Ovidio, Ars Amatoria , II, 123-124. Bello non era ma era bravo a parlare Ulisse
e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati
da Kierkegaard nel Diario del seduttore
.
Sei una miniera! complimenti
RispondiEliminaalessandro