NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 26 aprile 2013

Altri aspetti di Ulisse


Ovidio Metamorfosi  XIII. La contesa per le armi di Achille tra Ulisse e Aiace .
Il poeta Peligno presenta un duello oratorio tra Aiace e Ulisse. Ricorda il dibattito giudiziario tra Elena ed Ecuba nelle Troiane di Euripide .
Aiace si presenta come legittimo erede delle armi di Achille il quale, tanto per cominciare, era suo cugino. Peleo e Telamone, i loro padri infatti erano fratelli e per giunta nipoti di Giove in quanto figli di Eaco nato da Giove, appunto, e da Egina.
Ulisse invece è, di fatto, figlio di Sisifo furtisque et fraude simillimus illi (v. 32) del tutto simile a lui per frode e per furti.
Quindi il Telamonio ricorda una delle frodi di Ulisse: prese le armi per ultimo: cercò di rifiutare la milizia furore…ficto (vv. 36-37), fingendosi pazzo.

Qui si possono ricordare gli ossimori viventi, come Bruto, Amleto e altri .
“Il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello stolto [1]. Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio lo descriveva così:"Ulisse, fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[2].
 Ma Palamede, che aveva inventato 11 lettere dell’alfabeto, scoprì l’astuzia e mal gliene incolse.
“ Egli prese il figlio di Ulisse, Telemaco, dalla culla e lo pose davanti all’aratro, dicendo: “Lascia questa commedia e unisciti agli alleati”[3].
Ulisse si vendicò nascondendo dell’oro sotto la tenda di Palamede e facendo trovare ad Agamennone una lettera nella quale lui stesso aveva scritto che Priamo aveva promesso al figlio di Nauplio tanto oro quanto era stato celato sotto terra.
Palamede in seguito a questa falsa accusa venne lapidato e Nauplio per vendetta fece naufragare le navi dei Greci sulle scogliere di Cafareo, un promontorio dell’Eubea con segnali di fuoco ingannevoli.

Ma torniamo al discorso di Aiace nelle Metamorfosi di Ovidio.
Magari fosse stato pazzo davvero, continua il Telamonio, o almeno creduto tale, e non fosse venuto a Troia questo hortator scelerum (v. 45)
Non avrebbe condannato Filottete alla solitudine e allo strazio [4].
Ora l’erede delle armi di Ercole velatur aliturque avibus (v. 53), si veste e si ciba di uccelli ed è consumato dal morbo e dalla fame.
Ma almeno vive poiché non ha seguito l’Itacese.
Mallet et infelix Palamedes esse relictus (v. 56), vorrebbe essere stato abbandonato anche l’infelice Palamede; viveret, sarebbe vivo o sarebbe morto senza infamia.
Così, con la morte o l’esilio, Ulisse inficiò le forze dei Greci.
Aiace ricorda pure che una volta egli stesso salvò la vita a Ulisse coprendolo con lo scudo (75-76). Come fu salvato, il vigliacco fuggì.
Aiace fu il più coraggioso nell’opporsi alla furia di Ettore
Gran  vanto dell’Itacese è la spedizione notturna con l’uccisione dell’imbelle Dolone e di Reso mentre dormiva [5].
Ma l’Itacese non fece mai niente di grande durante la luce del giorno, né senza Diomede. Ulisse è un uomo subdolo e vile che opera sempre di nascosto, senza armi,  ingannando l’incauto nemico con frodi (qui clam, qui sempre inermis-rem gerit et furtis incautum decipit hostem, vv. 103-104). La sua vera arma è la lingua con la quale intreccia sofismi fallaci.
Le armi di Achille non sono adatte a un uomo tanto debole: l’elmo gli farà cadere la testa, l’asta il braccio, e lo scudo dove è raffigurata la terra [6] non è fatto timidae nataeque ad furta sinistrae (v. 111), a una sinistra codarda e nata per rubare.
  
Sentiamo la replica astuta di Ulisse
Parlò con grazia e facondia ( Metamorfosi XIII, v. 127)
L’Itacese inizia il suo discorso simulando dolore per la morte di Achille con le parole e facendo il gesto di tergersi lacrime (manuque simul veluti lacrimantia tersit-lumina, vv. 131-132) [7]) quindi ricorda che il legittimo erede e successore del Pelide è lui stesso che lo ha portato a combattere nel campo dei Greci.
Ulisse  si riferisce al fatto che Tetide aveva mandato il figliolo travestito da ragazza nell’isola di Sciro, ospite del re Licomede. Qui Achille ebbe una relazione furtiva con Deidamia da cui nascerà Pirro, poi venne scoperto, invogliato a combattere e portato a Troia da Ulisse e Diomede

Ulisse nella Tebaide di Stazio
.
Stazio racconta questa storia nell’Achilleide. Qui Ulisse è il providus heros (II, 24) l’eroe che prevede e provvede.
Inviato da Calcante, a sua volta ispirato da Febo, l’Itacese entra nella reggia e cerca le tracce di una fanciulla di aspetto robusto (vestigia magnae- virginis, 69-70).
Ulisse scaltro sa cogliere il momento opportuno (sollers [8] arrepto tempore Ulixes, II, 110) e celebra con un discorso al re Licomede circondato da fanciulle, tra le quali c’è il figlio di Tetide travestito, la bellezza e grandezza della spedizione contro Troia. Intanto osserva Achille che è attentissimo.
C’è poi una danza bacchica delle ragazze con tanto di cembali, timpani e tirsi. Achille si distingue poiché sdegna la molli movenze e l’abbigliamento femminile, come già Penteo nella prima parte delle Baccanti di Euripide.
I Greci inviati per portare Achille a Troia, Ulisse e Diomede, espongono i doni perché il Pelide si scopra. Il re Licomede non fiuta l’inganno: “Heu simplex nimiumque rudis, qui callida dona- Graiorumque dolos variumque ignoret Ulixen” (172-173), ahi ingenuo e troppo inesperto, quello che ignora i doni scaltri e gli inganni dei Greci e il molteplice Ulisse.
  Ulisse dunque è varius, variopinto e cangiante, come l’arcobaleno (cfr. poluvtropo~ dell’Odissea (I, 1) e versutus dell’Odusīa di Livio Andronico).

Per i callida dona cfr Virgilio, Eneide II,   quando Laocoonte cerca di opporsi all’introduzione i Troia del cavallo: “ aut ulla putatis –dona carere dolis Danaum? Sic notus Ulixes?”, o pensate che ci siano doni dei Danai senza inganni? Così poco conoscete Ulisse?
 Qundi: “equo ne credite, Teucri.-Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis” (vv. 48-49), non date credito al cavallo, Teucri. Qualunque cosa esso sia, temo i Danai anche quando recano doni.

Rimaniamo ancora un poco su Stazio. Achille al vedere tra i doni una lancia e uno scudo, non si trattenne: ebbe un fremito, roteò gli occhi et fronte relicta- surrexere comae totoque in pectore-Troia est ( 181-183) e, lasciata la fronte, si rizzarono le chiome…e in tutto il suo animoi c’è Troia.
Tunc acer Ulixes (v. 192)), l’acuto Ulisse, gli dice “quid haeres? (193), perché sei bloccato?, “Scimus-ait-tu semiferi Chironis alumnus” (v.194), sappiamo che sei l’allievo di Chirone bimembre
Quindi  Heia, abrumpe moras! (198), avanti, rompi gli indugi!
E tua madre, l’ ingannevole Tetide si vergogni di avere temuto tanto per te!
Pudeatque dolosam-sic pro te timuisse Thetin (199-200).
A questo punto Achille si scopre e va a Troia . Promette a Deidamia in cinta di ritornare ma inrita ventosae rapiebant verba procellae (286), ma le parole vane le portavano via le tempeste ventose .

Ora però torniamo a Ovidio.
Dunque Ulisse ricorda come rivelò Achille agli altri e a se stesso
Quindi: fortem ad fortia misi (Metamorfosi, XIII, 170), mandai il forte a cose forti.
L’Itacese procede con una serie di sofismi.
Ergo opera illius mea sunt (v. 171), perciò sono mie le sue gesta (quelle di Achille, poiché lui lo ha portato a combattere)
e per me iacet inclitus Hector (178), il famoso Ettore è morto per opera mia.
Inoltre con le mie parole ho convertito l’affetto paterno di Agamennone al bene comune: “ego mite parentis-ingenium verbis ad publica commoda verti ” (187-188). In altre parole, ha convinto Agamennone ad ammazzare la propria figliola.
E’ stata l’utilitas populi  (195) a indurci a questo delitto.
Andai io da  Clitennestra che doveva essere ingannata dall’astuzia (astu- decipienda fuit, 192-193. Cfr. Ifigenia in Aulide di Euripide)
Se andava Aiace, saremmo ancora bloccati dai venti in Aulide.
Sono andato anche a fare l’ambasciatore a Troia (cfr. Ecuba di Euripide). Operai consilio manuque (205) con il senno e la mano [9].
Dopo le prime battaglie, poco si combatté. Solo nel decimo anno si riprese. Per nove anni dunque Aiace non fece nulla.
Io, dice Ulisse, insidiavo i nemici e confortavo gli amici con la mia capacità di parlare.
Nell’XI canto dell’Odissea,  Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368).

Quindi Ulisse ricorda il sogno ingannatore di Agamennone e la volontà di ritorno dell’esercito. Scappavano tutti, anche Aiace, quando intervenni e trattenni le truppe in fuga (Metamorfosi, XIII, 223-224)

C’è il ricordo del secondo canto dell’Iliade, dove Zeus per onorare Achille, manda ad Agamennone ou\lon   [Oneiron, un Sogno funesto (6)  che, preso l’aspetto di Nestore, lo invita a radunare l’esercito per attaccare Troia. Agamennone si sveglia e raduna la boulh; gerovntwn megaquvmwn, il consiglio degli anziani magnanimi (v. 53).
Il capo dell’esercito racconta il sogno e dice che armerà le truppe, ma prima le metterà alla prova: “ per prima cosa io li tenterò con parole, è giustizia ("prw'ta d& ejgw;n e[pesin peirhvsomai, h{ qevmi" ejstiv", v. 73).
Segue l'episodio della "Prova dell'esercito" che precede il Catalogo delle navi. I soldati, sentita la proposta di Agamennone di tornare in patria, con grida di gioia balzarono verso le navi (“toi; d ‘ ajlalhtw`/ -nh`a~ e[p j ejsseuvonto”, II, 149-150).
Allora contro il destino (uJpevrmora, v.155) sarebbe avvenuto il ritorno, ma Atena, spinta da Era, andò a parlare con Odisseo,  simile a Zeus per intelligenza ("Dii; mh'tin ajtavlanton", v. 169) e gli diede il compito di trattenere la fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole ("ajganoi'" ejpevessin", v. 180). La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un altro epiteto formulare ("polumhvcan j ",  v. 173, ricco di risorse) il quale, al pari di quello citato sopra e  diversi altri, lo caratterizza come uomo intelligente e capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa abilità nel ristabilire una situazione compromessa: Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga alternando le blande parole con ingiurie e colpi di scettro. Tutti si fermarono presto, tranne Tersite, l’ ai[scisto" ajnhvr, per il quale ci volle una grossa dose di insulti e bastonate.

L’Ulisse di Ovidio dunque ricorda questa sua prodezza di oratoria militare e politica suscitata dal dolore: dolor ipse disertum- fecerat  ( Metamorfosi, XIII, 228-229). Dice che richiamò anche Aiace mentre colui dava le spalle. Poi ricorda l’impresa notturna con Diomede e l’uccisione di Dolone e quella di Reso. Quindi fa un elenco dei tanti  nemici uccisi
Poi compie un topos gestuale: mostra le sue cicatrici come segni di coraggio e abnegazione, quasi degli ornamenti (vulnera…pulchra vv. 262-263), le belle ferite.

Le piaghe non sono “povere bocche mute”, ma parlano [10].

Quindi Ulisse vestemque manu deduxit ( Metamorfosi XIII, v. 264), con la mano si tirò giù la veste.
Aiace non è che non abbia fatto niente, ma nemmeno ha fatto tutto lui.
Anzi, ha duellato con Ettore (Iliade, VII) ma non lo ha nemmeno ferito: “Hector abit violatus vulnere nullo” (v. 279).
Nell’Iliade è rappresentato un duello cavalleresco. Si conclude con uno scambio di doni. Ettore donò la spada a borchie d’argento ( VII, 303) e Aiace contraccambiò con  una fascia splendente di porpora.
Con quella spada Aiace si ucciderà dopo la sconfitta nel giudizio delle armi e la conseguente follia [11], come Didone si ucciderà con quella donatale da Enea.

Poi l’Ulisse di Ovidio passa alle offese: Tetide ha brigato per avere l’armatura di Achille non certo perché la indossasse un rudis et sine pectore miles  (v. 290), un rozzo soldato senza intelletto. Non può capire i caelamina (v. 291) le cesellature dello scudo [12], l’Oceano, gli astri, e la volta sublime del cielo. Postulat ut capiat quae non intellegit arma (v. 295), Aiace chiede di prendere armi che non capisce.
Quanto al proprio indugiare prima della partenza, continua l’Itacese, lo ha fatto anche Achille: “Me pia detinuit coniunx, pia mater Achillem”  ( v. 301). Sono state le pie donne Penelope e Tetide a trattenerli. A loro abbiamo dato quei prima tempora, cetera vobis (v. 302). E Achille fu scoperto dall’ingegno di Ulisse, Ulisse non certo dalla povera testa di Aiace.
Quanto a Palamede, era colpevole; Filottete era malato e io l’ho lasciato a Lemno perché riposasse. Ora che i profeti lo vogliono a Troia, provate a mandare Aiace, perché lo riconduca con il suo eloquio!
Il mio senno farà i vostri interessi finché il Simoenta scorrerà verso il mare e l’Ida avrà degli alberi. Sarebbe ajduvnaton[13] che non fosse così.
Come è impossibile che giovi ai Danai Aiacis stolidi sollertia (327)  l’ingegnosità di Aiace balordo.
Andrò io a prendere Filottete, anche se mi odia. Riporterò lui con l’arco e le saette fatali. Io ho già risolto situazioni difficile, mentre le grosse parole di quel “grande” uomo non combinano niente.
Altri eroi potrebbero aspirare a quelle armi: Diomede, Idomeneo, Aiace di Oileo, Euripilo (capo tessalo) ma consiliis cessere meis (361), si sono ritirati davanti al mio senno
Quindi Ulisse si rivolge direttamente ad Aiace: “Tu vires sine mente geris, mihi cura futuri (363),  hai le forze ma non la testa, al futuro devo pensarci io . Tu combatti ma il tempus opportuno per la pugna, il kairov~,  lo scegliamo io e l’Atride: tu tantum corpore prodes,- nos animo (vv. 365-366), tu sei utile solo con il corpo, noi con lo spirito
Ti supero di quanto il timoniere è superiore a chi rema, di quanto lo è il condottiero al soldato.
Quindi l’Itacese chiese le armi e concluse: “aut si mihi non datis arma, huic date”, et ostendit signum fatale Minervae (380-81), indicò la statua fatale di Minerva.
L’assemblea ne fu commossa “ et quid facundia posset,-re patuit , fortisque viri tulit arma disertus” (vv. 382-383), si vide di fatto che potenza abbia la capacità di parlare, e l’eloquente riportò le armi del forte.
Ovidio nell’Ars amatoria  fa notare che la potenza della parola è vincente anche nel campo erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus [14] Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas[15]
Anche secondo don Milani l’arte della parola prevale su tutte le arti: "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola" [16].

Ma concludiamo con il racconto delle Metamorfosi con il suicidio di Aiace, l’uomo incapace di parlare.
 Invictum virum vicit dolor (386), il dolore vinse l’invitto guerriero
E si uccise dicendo “ne quisquam Aiacem possit superare nisi Aiax!” ( Metamorfosi, XIII v. 390), nessuno potrebbe vincere Aiace, se non Aiace!

Giovanni Ghiselli


[1] Igino, Fabulae, 95.
[2] Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[3] Igino, Fabulae, 95.
[4] Cfr. la tragedia Filottete di Sofocle.
[5] Raccontata nel X libro dell’Iliade.
[6] Cfr. Iliade  XVIII, 478 ss.
[7] cfr. Giovenale a proposito di tutti i Greci-graeculi : natio comoeda est Satire, III, 100.
[8] Sollers è formato da sollus, intero, e ars.
[9] Cfr. Tasso, Gerusalemme liberata, I, 1, 3: “molto egli oprò co  jl  senno e con la mano”.
[10] Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb mouths " ( Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2), bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita"[10].
Quando Didone muore  la ferita  stride profonda nel petto:"infixum stridit sub pectore volnus " ( Eneide, IV, v. 689).
Alessandro,  prima della battagli di Gaugamela dice ai soldati che avrebbe combattuto davanti alle prime file: se ante prima signa dimicaturum (Curzio Rufo. Historiae Alexandri Magni,  4, 14, 6.
Ho le cicatrici come garanzia delle mie parole e decorazioni del mio corpo: “spondēre pro se tot cicatrices, totĭdem corporis decŏra”,  e sono l’unico a non prendere parte del bottino.
Cfr il console Mario il quale nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti degli antenati ma trofèi di guerra “praeterea cicatrices advorso corpore” (84) e inoltre cicatrici nel petto.
[11] Cfr. l’Aiace di Sofocle.
[12] Cfr. Iliade XVIII
[13] Si dice di cosa impossibile.
[14]  Un limite alla facundia, come del resto alla pietas, lo suggerisce Orazio:" Cum semel occideris et de te splendida Minos/ fecerit arbitria,/ non Torquate, genus, non te facundia, non te/restituet pietas" (Carm. IV, 7, vv. 21-24), una volta che sarai morto e Minosse avrà dato sul tuo conto chiare sentenze , non la stirpe, Torquato, non la facondia, non la devozione ti restaurerà. Questo limite dunque è la morte, solo la morte.
[15] Ovidio,  Ars Amatoria , II, 123-124. Bello non era ma era bravo a parlare Ulisse e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore .
[16] Lettera a una professoressa  , p. 95.

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