Ho scritto questo pezzo nel
giorno di Pasqua: la resurrezione di Gesù Cristo sembra significata dalla
rinascita del Sole invitto qui a Bologna.
E’ dunque con ritrovata e rinnovata gioia che auguro
buona primavera ai miei 18514 lettori e mi accingo a commentare il bel libro
che mi ha dato conforto durante le ore buie della pioggia quasi diluviante di
ieri, quando pareva che la giusta ira di Dio volesse sommergere sotto le onde [1]
questa terra resa malata da troppi anni
di malgoverno.
Credo che la santa collera di Dio si sia rinfocolata
in seguito alla ripugnante manifestazione di solidarietà per i tre vili
assassini del diciottenne Federico Aldrovandi, seguita dall’atto di
sciacallaggio del parlamentare del Pdl Giovanardi il quale ha osato dire che il
rosso visibile nella fotografia del ragazzo ammazzato di botte, non è sangue.
Sarà qualche
cosa di simile al mantello di porpora del
Cristo fatto flagellare, incoronato di spine, e mostrato ai sommi
sacerdoti da Pilato che pure lo sapeva innocente: "Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum
vestimentum. Et dicit eis-Ecce homo!-" ( Giovanni, 19, 5).
Persone come Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi mi
ricordano l’Ecce homo.
Patrizia, la mamma di Fedrico, ha definito Giovanardi: “ uno sciacallo che mente,
sapendo di mentire”.
In effetti tali azioni efferate e tali parole abominevoli sono macchie sull’onore del
corpo della polizia, sul parlamento e sull’intera nazione italiana.
Il libro dunque, edito nel
2011 da Arduino Sacco, si intitola I luoghi della memoria. L’autrice è
una fine classicista, docente emerita di lettere classiche al Liceo Giannone di
Benevento. Da amantissimo della classicità e della vita quale sono io pure,
voglio presentare alcuni dei 13 racconti nei quali si articola questo volume
snello (108 pagine) segnalandone le
pagine che sono più pregne di vita e colpiscono la sfera emotiva dei lettori.
Voglio indicare pure quelle che
lasciano scorgere in filigrana la cultura classica dell’autrice, una
paideia che diventa educazione per quanti la leggono.
Parto dal titolo. I luoghi della memoria sono
i paesaggi dell’anima, pieni di mito e poesia. La vita ecologica infatti è
anche vita storica e vita psicologica. La Memoria è figlia del Cielo e della Terra [2] ed è
pure la strada percorsa durante la vita terrena, breve ma prolungabile con la
grazia di Mnhmosuvnh.
Chi non ha la memoria che
mantiene i ricordi è come il cane rabbioso, legato e invecchiato male alla
catena dell’istante.
Brutti ceffi pieni di
risentimento, di frustrazioni, di sensi
di inferiorità. Come quelli dei carnefici e di chi li approva.
Il primo racconto Sapore
d’infanzia (pp. 11-13) paragona
la vita “ad una mensa imbandita” con alcuni “piatti prelibati” e altri “amari, aspri, nauseabondi,
indigesti”. Tra i sapori e i profumi che, proustianamente [3]
suscitano ricordi, pensieri, emozioni “il sapore e il profumo robusto e sicuro
del pane” è legato all’infanzia, agli affetti, fondati, in quella stagione
mitica [4], su
basi che hanno costituito il piedistallo dei successivi stati d’animo nel volgere
rapidissimo degli anni che portano via tutto, quasi tutto.
La panificazione viene presentata come un rito antico
che rimanda alla civiltà mediterranea e, anzi, alla civiltà umana. I Ciclopi
ingiusti e violenti non coltivano piante, non arano [5],
poiché sono antropofagi, come i Lestrigoni giganti che catturano gli uomini stranieri e "se li
portano a casa per farne dei "festini privi di gioia" (ajterpeva dai'ta [6]).
Giganti e Ciclopi si trovano tra“gli eterni nemici della
cultura" [7]. Così come gli assassini ti tutte le risme. E chi
li approva.
Il secondo racconto, Teresina (pp. 17-20)
parla di una donna poverissima, emarginata, sola , una di quelle persone che,
incontrate per strada ci mettono addosso paura o imbarazzo. Eppure i bambini la
invitavano a giocare con loro “ Forse per la verità dei sentimenti che solo la
fanciullezza possiede in comune con i semplici, i bambini le volevano bene” (p.
18).
Viene di
nuovo in mente il Cristo: “sinite parvulos ad me venire”[8]. I
bambini vanno da Gesù e da Teresina per la legge della gravitazione spirituale
che avvicina i simili ai simili. I parvuli,
che non disdegnano gli ultimi, assomigliano a Teresina e a Cristo: “In verità
vi dico: ‘ogni volta che avete fatto del bene a uno di questi miei fratelli
minimi, l’avete fatto a me”[9].
E ora Dostoevskij, uno dei grandi classici russi.
Il principe Lev Nikolajevič Myškin, “l’idiota”, studiava
e leggeva “con l’unico scopo di poter intrattenere i bambini”.
Eppure pensava di imparare più lui dai piccoli che
loro da lui e non capiva come facesse a provare invidia e a calunniarlo il
maestro ufficiale del paesetto svizzero “che pure viveva in mezzo ai bambini. Essi ci
curano l’anima”[10].
Poi c’è il racconto La chioccia (pp. 21-24),
ossia Mariantonia che da ragazza era
fallita nell’amore, quando “il suo giovane amato era rimasto eroe chissà dove”
e la vita “dapprima dischiusa a
ventaglio si era ripiegata su se stessa, racchiusa tra le pieghe dell’anima”
(P. 22). Poi aveva ottenuto una
rivincita di Pirro sul terreno economico con una disciplina spietata cui aveva
sottoposto se stessa e tutta la famiglia.
Ma alla fine la matriarca subisce la sconfitta
definitiva, quella negli affetti: i figli, fatti laureare con sacrifici enormi
e fatti sposare con chi voleva lei, la lasciano sola “in pasto a una disperata
solitudine” p. 24) e quando la vecchia de-solata morì, “non parteciparono al suo
funerale, Inviarono ricchi fasci di rose” (p. 24)). Mi ricorda, mutatis
mutandis, la morte di mastro don Gesualdo.
L’uomo del
tutto economico è un grande scialacquatore poiché sperpera gli affetti che sono
il bene più prezioso [11].
Il racconto Esami di ammissione (pp. 33-38)
tratta di scuola, un’esperienza che io e l’autrice abbiamo fatto in pratica per
tutta la vita. La Pedicini non so, credo di sì, io la rifarei mille e mille
volte se tornassi su questa terra.
Eppure la scuola dove mi hanno fatto studiare
escludeva quasi del tutto lo spirito critico, ossia la possibilità di dare
giudizi (krivnein), sia perché tale capacità di krivsi~ non ci veniva insegnata, sia perché, qualora
l’avessimo avuta congenita, ci veniva proibita. Questa è stata la mia
esperienza in gran parte delle medie, del liceo e dell’università.
Non diversa deve essere stata quella dell’autrice:
“Poi lo studio. L’apprendimento mnemonico doveva essere fede tra le fedi in
quei tempi o per i docenti di quel tempo e gli allievi vi si adattavano come
pecore mansuete” (p. 35). Importava solo che gli allievi “recitassero a memoria
le pagine scritte onde dimostrare il rispetto sacro nei confronti del sapere
trasmesso e non modificabile, negando una possibilità importantissima:
vivificare attraverso il personale giudizio critico, la propria sensibilità, la
propria cultura, la propria personalità” (p. 35). Ma non è facile togliere la prospettiva del
pensiero ai giovani, se sono ricchi di spirito. Il gusto della vita e
dell’imparare per la vita è troppo forte: è incoercibile nei ragazzi dotati di
anima.
E anche quei
sistemi educativi obsoleti sono stati utili a chi era predisposto a imparare. A
me l’apprendimento mnemonico delle elementari, delle medie, del ginnasio, del
liceo, serve ancora quando tengo una conferenza o scrivo un articolo. La
citazione infatti è il modo più diretto per mettere chi legge o ascolta in contatto con “la carne viva”
dell’autore. Dopo, bisogna commentarlo, ma prima è necessario presentarlo qual
è. E leggendo il meno possibile.
Anche la Pedicini non rinnega del tutto quella scuola
antica.
“Ma, come spesso accade, anche dagli esempi più
discutibili si può trarre un insegnamento , e sicuramente essi diventano nel
tempo modelli di confronto da emulare o evitare, migliorare o rivalutare
addirittura se è il caso” (p. 38).
Rispetto alla scuola del didattichese che si occupa di
metodi senza curarsi dei contenuti ossia dei testi d’autore cui applicarli, io
rivaluto la scuola della Memoria che è pur sempre madre delle Muse le quali
furono generate nella Pieria, bellissima
base dell’Olimpo[12]. “perché fossero oblio
dei mali e sollievo degli affanni”[13]. La
memoria è lo scrigno dell’intelligenza e va esercitata, potenziata sempre, con
disciplina grande.
In più di un racconto fa la sua luttuosa apparizione
la guerra che “è sempre un delitto, per i vinti e per i vincitori. Morti,
stragi, violenze da ambedue le parti” (Sulle orme del padre, p. 41).
Parole sante, mai ripetute abbastanza.
Parole che non entrano nelle teste pervertite
dall’orgia diabolica del potere.
Eppure già nell'Iliade,
il poema pieno di battaglie sempre
sonanti[14],
Zeus dice ad Ares:"tu per me sei il
più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo”[15] .
Le esecrazioni della guerra sono innumerevoli in
letteratura. Ciò- non- ostante c’è ancora chi santifica gli scempi e gli sconci
dovuti ai conflitti che da Omero in poi sono stati sempre più deleteri.
Nel primo Stasimo dell’Agamennone, Eschilo attraverso il canto del coro ricorda
che dalla guerra "invece di uomini/urne e cenere giungono/alla casa
di ciascuno"(434-436) e Ares viene definito il cambiavalute dei corpi[16], nel
senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori.
Papa Francesco nel giorno di Pasqua ha invocato la
pace: “Pace a tutto il mondo, ancora così diviso dall’avidità di chi cerca
facili guadagni!”
Nell’Ecuba di Euripide, la vecchia regina di Troia supplica Odisseo di non ammazzare la figlia
Polissena con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della
vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" "
(v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti. Sono i morti
Troiani e i morti Greci nella guerra esecrata anche dal dio Poseidone nelle Troiane di Euripide: “E’ stolto tra i mortali chi devasta le
città,/consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri /dei morti: egli
stesso dopo è già morto (vv. 94-96).
Papa Francesco
ha concluso: “Basta con le guerre, basta sangue!”.
La guerra
è una macchia sull’onore dell’umanità.
La nomade
(pp. 65-77) identifica il pindarico “diventa quello che sei”[17] con
la simpatia nei confronti di uno dei fratres minimi raccomandati da Gesù e
ora da papa Francesco. Sparisce “lo
scemo” di una comunità di zingari giostrai, “Pellegrino, grosso ragazzone di
quarant’anni, testa pelata, sempre la stessa. giacca ormai troppo lisa,
pantaloni larghi e corti in maniera sbilenca sulle caviglie. Era quasi sempre
solo; già lo era di se stesso, senza alcuna voce che dall’animo gli tenesse
compagnia e lo facesse piangere di dolore o di gioia (p, 67). Giocava tutto il
giorno con le biglie. Gliene regala una “di vetro colorato” (p. 69) Josephine,
una ragazzina che non era “zingara di nascita” (p. 72) ma si era aggregata ai
giostrai per fuggire da un ambiente che le toglieva la voglia di vivere. Un
giorno Pellegrino misteriosamente
sparisce in cerca della biglia smarrita “Continuava a ripetermi
sorridendo…dolcemente: la biglia…la grande biglia è scomparsa nel sole…ma un
giorno la troverò, sì, proprio nel sole…e mai più la perderò” (p 76).
La ragazza, che sola ha intuito l’enigma della natura
ossimorica[18] di Pellegrino, andrà a
cercarlo per trovare se stessa: “ ‘Andrò a cercarlo, e insieme cercherò anche
io la grande boglia-sospirò Josephine-per conoscere le risposte che da tempo
aspetto. Incomincerò a percorrere la mia strada, a guardare verso il sole…Se
non troverò Pellegrino, troverò me stessa perché è lì che sta scritto con
inchiostro indelebile la storia del mio cammino’. E in preda a una sorte di estraniamento si avviò verso
il suo domani, credendo di avere trovato il suo angelo custode” (p. 77)
Pellegrino è dunque l’angelo custode, la vocazione che
chiama Josephine verso la sua via e il suo daivmwn, il suo
destino. La ragazza ha l’anima sensibile e capace di coglierne del demone, ignorati
dai più.
I racconti sono tutti belli, ma per ragioni di spazio,
devo concludere. Lo faccio tornando alla scuola, un argomento che per ragioni
biografiche, e per il daivmwn che mi è stato assegnato, o mi sono scelto[19], mi sta
molto a cuore.
Il racconto si intitola Banchi di legno (pp.
79-93).
E’ la storia del primo anno di insegnamento di una
giovanissima professoressa, Nives, in un paese di gente povera, refrattaria
alla scuola. I ragazzi non ci andavano per infingardaggine o non ci venivano
mandati perché dovevano andare a lavorare. Il dirigente era un gaglioffo che
non se ne curava. La ragazza avvicinando gli alunni renitenti nei bar, per la
strada, un poco alla volta ne convince diversi della necessità dell’istruzione e della cultura: “è
la cultura che può rendevi liberi”
I giovani di buona natura sentono le loro
energie incoraggiate dallo studio :"unum
studium vere liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime,
forte, magnanimum: cetera pusilla et puerilia sunt "[20] un solo studio è davvero liberale, quello che
rende libero, cioè lo studio della sapienza, sublime, forte, magnanimo. Gli
altri sono piccini e puerili.
La sapienza è l’unica libertà: “Sapientia
quae sola libertas est”[21].
La professoressa intelligente e di
buona volontà, suscita inquietudine e scandalo: “Ovviamente il turbamento che
pervase le famiglie e lo scandalo al quale gridava l’intero paese con a capo il
prete, furono grandi come il senso di trionfo che falsamente si era impadronito
di lei” (p. 85)
Possiamo tornare all’Idiota di Dostoevskij: “ Dicevo loro
tutto senza mai nascondere nulla. I genitori e i familiari loro si stizzivano,
perché, infine, i ragazzi non potevano più fare a meno di me, e il maestro di
scuola diventò mio acerrimo nemico”[22]
Anche Nives si fa parecchi nemici, ma
non desiste dal suo impegno. L’educazione dei giovani per alcuni insegnanti,
nemmeno pochi, è una fede.
Ho notato durante i decenni passati nei
licei, quanti di noi erano senza coniuge e senza figli! Io personalmente, e
credo tanti altri docenti zitelli e zitelle, abbiamo vissuto la funzione
genitoriale educando i giovani della
comunità. Fare figli miei, perfino sposarmi o convivere con una donna, mi è
sempre sembrato un atto di egoismo: un sottrarre tempo allo studio necessario per
educare e istruire i figli degli altri. Del resto non mi sono fatto mancare
niente in campo affettivo e in campo sessuale, eterosessuale.
Ines ama tanto i suoi ragazzi, che
arriva ad avere una relazione sentimentale con uno di loro, particolarmente
sensibile, poco più giovane di lei.
La decisione di intraprendere questa
difficile relazione che avrebbe suscitato ulteriore scandalo, la professoressa
ragazza la prende anche per dichiarare la sua guerra all’ipocrisia, all’ “inganno di quei
disonesti che tarpano le ali a chiunque cerchi di volare per proprio conto” (p.
90).
“Ecco-a un tratto pensò-ho sempre
sostenuto che la cosa principale sia abbattere i pregiudizi, non curarsi come
gli altri possano giudicarti. Perché allora dovrei rinunciare alla mia idea di
essere libera, libera come dico io?” (p. 90). Il sentimento reciproco dei due,
poi, nel corso dei mesi di scuola si trasforma da innamoramento “in un tenero sentimento di
amicizia” (p. 92), e, alla fine dell’anno scolastico, Ines lascia il paese
rinunciando a “l’aspetto egoistico del suo amore e della sua dedizione: alla
fine aveva capito tuttavia che le stava più a cuore l’immagine di un paesino
calmo e tranquillo , dove i giovani avevano acquistato un diverso significato
del vivere quotidiano, e non volle guastarlo tentando di sradicare
dall’ambiente naturale una sola di quelle piante” (p. 93). Il risultato
positivo dell’esperienza è l’accettazione della “inevitabile realtà” (p. 93) sulla
quale la sua intelligenza, umanamente impiegata ha comunque lasciato un segno.
Credo che anche questo bel libro lasci delle tracce nel pensiero e nei
sentimenti di chi lo legge
“Il fischio del treno che annunciava
l’arrivo alla stazione del suo paese la riportò alla realtà fatta di sogni e di
speranze, di ideali e di lotte ma certo di realtà, di inevitabile realtà, e
nell’aver capito che dopotutto bisogna accettarla prima ancora di migliorarla”.
La sua vera vittoria fu il fatto di avere capito la necessità di accettare la
realtà prima ancora di migliorarla.
E’ l’amore della vita, l’amore del fato[23],
l’amore di se stessi e degli altri che porta a queste conclusioni.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1] Cfr. Ovidio, Metamorfosi,
I, 260-261. “ poena placet diversa, genus
mortale sub undis-perdere et ex omni nimbos demittere caelo”. Giove vuole
annientare la stirpe dei mortali sotto le onde, e invece di colpirla con i
fulmini, scatena il diluvio universale pioggia dirotta versando da tutte le
parti del cielo. Si salvano solo Deucalione e Pirra, entrambi innocenti e
devoti (v. 327).
[2] Esiodo, Teogonia,
135.
[3] I classici non sono soltanto i Greci e i Latini, ma
tutti gli autori-auctores, gli
accrescitori dell’anima che non passano mai di moda.
[4] “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini
il nulla nel tutto” (Leopardi, Zibaldone,
527).
[5] Odissea IX,
108
[6] Odissea , X, 124.
[7] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del
cuore , p. 144.
[8] Vangelo
secondo Marco 10, 14, lasciate che i piccoli vengano da me.
[9] Matteo 25, 40.
I fratres minimi sono gli
affamati cui si deve dare il cibo; gli assetati che vanno dissetati; i senza
tetto che devono essere accolti; gli ignudi che vanno vestiti, gli infermi, i
carcerati da visitare e confortare.
[10] F. Dostoevskij, L’idiota,
capitolo VI.
[11] Leopardi
in Il pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte
della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance,
e di virtù nemica;/stolta, che l'util
chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv.
59-64).
[12] E dove c'è la Pieria /bellissima sede delle
Muse,/sacra pendice dell'Olimpo ( Euripide, Baccanti,
vv. 409-411)
La Pieria come sede delle Muse è segnalata da Esiodo (Teogonia, 52-54), da Virgilio e da
altri.
La Pieria è la regione boscosa che si stende sulle pendici
nord-est dell’Olimpo, dove aveva speciale vigore il culto delle Muse.
[13] Esiodo, Teogonia,
55.
[14] Cfr. Carducci, Sogno
d’estate, 1.
[16] oJ crusamoibo;" d' j
[Arh" swmavtwn (v.437),
[18] Ossimoro è formato da ojxuv~,
“acuto” e mw`ro~, “ottuso”. Talora il matto, lo scemo del villaggio,
appare tale ai più, mentre di fatto è geniale. A volte addirittura il pazzo si
finge tale per dissimulare la sua intelligenza, inquietante per i veri stupidi
e pericolosa per lui. Livio
racconta che Bruto aveva portato in dono
ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto
a questo scopo, recando un’ immagine enigmatica del suo carattere:"aureum
baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per
ambagem effigiem ingenii sui" (I, 56).
[19] Ognuno di noi, secondo il mito di Er, prima di
tornare sulla terra, si sceglie il proprio demone- destino. Che poi secondo Eraclito
coincide con il carattere: h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn (fr.
119 Diels-Kranz).
Platone, alla
fine della Repubblica (617 e) fa dire a Lachesi, la vergine figlia
di Ananche:"oujc
uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll& uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe", non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì
voi a scegliere il demone.
[20]Seneca (4 ca a. C.-65 d. C.), Ep. ,
88, 2
[21] Seneca, Ep.,
37, 4.
[22] L’idiota,
cap. VI.
[23] “ Il necessario
non mi ferisce; amor fati è la mia
intima natura, das ist meine innerste Natur ” F. Nietzsche, Ecce homo (del 1888), Il caso
Wagner, p. 92.
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