La storia dei dieci “saggi”, cosiddetti
saggi, detti anche “facilitatori”[1] che in dieci giorni dovrebbero formulare e
possibilmente imporre un’agenda[2] ai partiti, fa
venire in mente, nell’ambito dell’ajnakuvklwsi~[3] dei regimi, e dell’eterno ritorno di
Nietzsche, il golpe che, per poco tempo, sostituì la democrazia ateniese con un
regime oligarchico.
Nell'inverno 413-412, successivo alla
disfatta dell’armata spedita in Sicilia, tutti i Greci nemici di Atene,
racconta Tucidide, erano eccitati (ejphrmevnoi h\san, VIII, 2), per quella frenesia vendicativa
che si scatena davanti alla potenza che cade. Gli Ateniesi decisero che non si
doveva cedere, ma, se non si voleva perdere la guerra, bisognava reperire del
denaro con il quale ricostruire l’armata, e, per risparmiare (ej~ eujtevleian) si doveva nominare
una magistratura di uomini, affinché pre-deliberassero[5] sulla situazione
presente a seconda dell'opportunità ("oi{tine" peri; tw'n parovntwn wJ" a]n
kairo;" h\/ probouleuvsousin", VIII, 1, 3).
Si tratta dei i dieci probuli che dovevano
preparare un regime oligarchico: quello dei Quattrocento. Tra questi, dispiace
dirlo, c’era pure Sofocle, il quale del resto, per lo meno non usurpava la
qualifica di saggio come non pochi dei dieci[6].
Nella
Retorica di Aristotele leggiamo che
quando Pisandro gli domandò se era stato del parere, come gli altri probuli, di
istituire i Quattrocento, il drammaturgo rispose di sì: “ouj ga;r h\n a[lla beltivw” (1419a), poiché non
c’erano altre soluzioni migliori.
Carlo Diano sostiene che il poeta di Colono
si ritrasse presto da questo regime, come ne vide l’ingiustizia e la violenza.
Il professore dell’ateneo padovano interpreta alcuni versi del secondo stasimo dell’ Edipo re come una preghiera contro il
dispotismo che si veniva instaurando: “la nobile gara benefica per la città,/
chiedo a dio di non/ interromperla mai" (vv.879-881). Ebbene Sofocle, pur
facendo parte della commissione di dieci Probuli istituita nel 413 per
modificare la costituzione in senso oligarchico, nel 411 rivolse questo appello
in favore della democrazia troppo duramente minacciata dai maneggi dei nemici
del popolo. Diano conclude affermando che quella preghiera non avrebbe senso se
non si riportasse a un pericolo reale: il terrore scatenato dalle eterie
oligarchiche nell'anno della tirannide dei Quattrocento. Se
Sofocle"soggiacque al ricatto, non fece lega coi vili...Il secondo stasimo
fu scritto tra il gennaio e il febbraio del 411"[7].
All’inizio dell’estate del 411 comunque ad
Atene venne abbattuta la democrazia. Tucidide parla di giovani congiurati (xustavnte", VIII, 65, 2) che
uccisero il demagogo Androcle, accusatore di Alcibiade, e intimorirono
l'assemblea ammazzando altri oppositori.
Il popolo aveva paura, pensando che i
congiurati fossero molti di più. Pisandro, trierarco di Samo, giunse ad Atene a
compiere l'opera, ideata, forse, da Alcibiade[8] che poi la rinnegò[9].
L'assemblea fu convocata a Colono, in un
luogo chiuso e Pisandro propose che le magistrature non dovevano più essere
remunerate[10], che Quattrocento
personaggi scelti avrebbero governato convocando i Cinquemila, quando avessero
voluto.
.
"In sostanza le deliberazioni dell'assemblea di Colono prevedevano una più
larga oligarchia di cinquemila, ma provvisoriamente istituivano una dittatura
di Quattrocento"[11].
La
proposta fatta da Pisandro era stata
formulata da Antifonte, che viene elogiato da Tucidide come uomo secondo a
nessuno ("oujdeno;"
u{stero""VIII,
68, 1) tra gli Ateniesi di allora. Lo storico che probabilmente di Antifonte fu
allievo, continua l'encomio del maestro dicendo che alla caduta del regime si
difese con un'orazione splendida. Anche altri due ideatori del colpo di stato, Frinico
e Teramene, vengono presentati quali persone intelligenti e capaci: “infatti
era difficile togliere la libertà al
popolo di Atene circa cento anni dopo la
caduta dei tiranni. Gli Ateniesi non solo non erano stati soggetti in tutto
questo periodo, ma per metà di quegli anni si erano abituati a comandare su gli
altri (VIII 68, 4)
Questo dice qualcosa sulle simpatie politiche
di Tucidide e ridimensiona la credibilità del male detto di Cleone: del resto
se costui fosse stato quel becero violento che si dice, non avrebbe permesso ad
Aristofane di farne strame pubblicamente, con assoluta parresia, nei Cavalieri del 425, quando quel beniamino del popolo era
al colmo della sua potenza.
“Pisandro
e gli affilati delle eterie seminarono nuova confusione nello Stato. Poco dopo
le grandi Dionisie del 411, più o meno durante la prima metà di aprile,
Pisandro era ritornato ad Atene, per provocare la caduta della costituzione
insieme ai congiurati residenti nella città. Si incominciò con la nomina di
dieci dotati di poteri illimitati, incaricati di tracciare una nuova
costituzione. Costoro convocarono un’assemblea popolare a Colono, alla quale
fecero decretare che, d’allora in avanti, non solo sarebbe stato lecito
avanzare impunemente qualsiasi proposta di legge, ma che il proponente non
avrebbe potuto essere offeso, né citato in giudizio come attentatore della
costituzione, senza che il suo accusatore andasse incontro a una pena severa.
Così si toglieva di mezzo la legge della paranomia[12], la salvaguardia
più importante della costituzione; infatti si vide subito che la costituzione[13] sarebbe caduta
insieme a questa norma. Furono nominati cinque presidenti con l’incarico di nominare
altri cento uomini…Un collegio dei Quattrocento doveva subentrare al
tradizionale consiglio e governare a sua discrezione con poteri illimitati.
Inoltre aveva il compito di riunire a suo piacimento quei cinquemila cittadini
che si era preteso di eleggere a seconda del censo fra la massa del popolo, al
solo fine di costituirli in comunità popolare e di salvare un po’ le apparenze
”[14].
Poi
i Quattrocento sciolsero il Consiglio dei Cinquecento con la forza, e con
violenza governavano la città:"ta; te a[lla e[nemon kata; kravto" th;n povlin"( Tucidide, VIII
70, 1).
I marinai
della flotta ateniese stanziata a Samo e i loro capi però, erano contrari all’oligarchia.
Anche
in questa isola gli oligarchi nello
stesso 411 avevano tentato un golpe uccidendo tra gli altri Iperbolo, il
demagogo fatto ostracizzare dall’accordo Alcibiade-Nicia. Il golpe comunque
fallì.
Allora
i Quattrocento inviarono ambasciatori alla flotta di Samo per quietare i
democratici, spiegando che coloro i quali partecipavano all'assemblea non erano
stati mai più di cinquemila.
I
marinai volevano uccidere gli emissari del regime e navigare verso Atene contro
gli oligarchi, ma Alcibiade, passato
dalla loro parte, ne trattenne l'ira, e rimandò in patria gli ambasciatori con la
richiesta che venissero allontanati i Quattrocento e ripristinata la Bulè dei
Cinquecento. Là i capi dell'oligarchia, per timore di Alcibiade e della flotta
di Samo, iniziarono un'operazione trasformistica: dicevano che bisognava
rendere la costituzione più egualitaria
("th;n
politeivan ijsaitevran kaqistavnai",
VIII, 89, 2).
Fra questi camaleonti c'era Teramene, un
personaggio interessante, presente in diversi autori, e non solo storiografi[15].
Costui che era stato uno dei dieci probuli, la
magistratura eccezionale, istituita dopo la sconfitta siciliana, come abbiamo
visto, per "pre-meditare" l'oligarchia, poi fu uno degli artefici del
governo dei Quattrocento, ma, dopo la reazione della flotta di Samo, ne prese
le distanze fino a divenire accusatore di Antifonte che alla caduta di quel
regime venne condannato a morte all’età di quasi settant’anni. Teramene allora
si adoperò per realizzare il regime dei Cinquemila, quindi la restaurazione
della democrazia. Alla fine della guerra (404) aderì e partecipò al regime
tirannico dei Trenta, ma poi, avendo compreso che nemmeno questo sarebbe durato
a lungo, se ne staccò disapprovandone gli eccessi.
Crizia però, il sanguinario
capo della tirannide, fece in tempo a ucciderlo, prima di cadere lui stesso.
.
Teramene venne soprannominato
"coturno", come il calzare che si adatta a entrambi i piedi, per la
sua ambiguità politica. Intanto gli
oligarchi più convinti e compromessi, Frinico, Aristarco, Pisandro, Antifonte,
cercavano l'accordo con Sparta. Ma il coturno si era già tirato indietro.
Tucidide ci informa che da tempo Teramene
diffondeva sospetti contro i capi dell'oligarchia ( "oJ Qhramevnh" dieqrovei", VIII,91, 1) della quale pure era uno dei
fondatori.
Il coturno dunque accusava
gli oligarchi di intesa con il nemico, e Tucidide sembra dargli ragione dicendo
che questa non era un'accusa solo di parole:"kai; ouj pavnu diabolh; movnon
tou' lovgou"(VIII, 91, 3). Seguono
ad Atene dei tumulti contro i Quattrocento e, fuori, la perdita dell'Eubea che,
dopo il blocco dell'Attica, per gli Ateniesi era tutto (VIII, 95).
Ne deriva uno scoraggiamento
generale.
Nell’agosto del 411 gli
Ateniesi si riunirono in assemblea nella cosiddetta Pnice[16], posero fine al governo dei Quattrocento, decisero di
affidare il potere esecutivo ai Cinquemila e di non remunerare nessuna
magistratura ("kai;
misqo;n mhdevna fevrein mhdemia'/ ajrch'/",
VIII 97, 1). Riferisco questi particolari perché Tucidide approva senza riserve
questo governo come una giusta mescolanza di elementi oligarchici e
democratici: “e allora per la prima
volta , almeno al mio tempo, gli Ateniesi appaiono con un buon governo: avvenne
infatti una misurata mescolanza di oligarchia e democrazia” (metriva ga;r h{ te ej"
tou;" ojlivgou" kai; tou;" pollou;" xuvgkrasi"
ejgevneto VIII, 97, 2). E’ una delle
tante anticipazioni dell’elogio polibiano della mikth; politeiva, la costituzione mista.
Così sono dichiarati e del
tutto chiariti i gusti politici di Tucidide.
Infine si decretò il rientro
di Alcibiade.
“A quasi due mesi dal suo
insediamento, l’oligarchia dei
Quattrocento era già crollata per le sue divisioni interne e per il malcontento
generale del popolo. Tuttavia non si verificò il ritorno a un’amministrazione
puramente democratica, poiché non esistevano più le risorse necessarie al
pagamento dei funzionari e alle spese della democrazia. Così, a detta di
Tucidide, subentrò una mescolanza assai felice di oligarchia e democrazia,
grazie alla quale lo stato si risollevò dalla sua miseria, almeno in un primo
tempo”[17].
Mi fermo qui, siccome mi
rendo conto che per i non addetti ai lavori questo racconto, già molto lungo, può
diventare noioso.
Invito comunque chi è
arrivato in fondo a notare alcune analogie: una fra i dieci saggi di oggi e i dieci probuli che coartarono e di fatto
esautorarono tanto l’assemblea popolare quanto la boulhv.
Un’altra similitudine si può trovare tra il
fallimento dei probuli di allora e quella molto probabile tra i dieci presunti
saggi di oggi. Una flotta di riserva l’abbiamo anche noi, ed è la facoltà di
votare che non potranno toglierci.
Infine vedo
un’analogia fra i trasformisti, i voltagabbana, i camaleonti di oggi e
il coturno Teramene che, concludo, finirà giustiziato da Crizia quando, dopo la
sconfitta definitiva di Atene (404), nella città che fu scuola dell’Ellade si
istaurò la tirannide sanguinaria dei Trenta sostenuta dalle armi degli Spartani
vincitori.
Vediamo il racconto della fine del coturno nelle Elleniche di Senofonte. Teramene parlò nella boulhv, e il
Consiglio lo applaudì.
Ma Crizia non permise la votazione e convocò i
suoi sicari per intimidire i buleuti. Quindi disse a Teramene che lo escludeva dall’elenco
dei Tremila che potevano partecipare al governo e che pertanto poteva condannarlo a
morte senza il voto dei buleuti. Udendo queste parole, Teramene balzò
sull'altare di Estia ("ajnephvdhsen ejpi; th;n eJstivan",
Elleniche , II, 3, 52) sul quale i
buleuti prestavano giuramento, e di lì si appellò agli dèi e alla giustizia, ma
noi sappiamo da Tucidide (V,
105) che sia tra gli dèi sia tra gli
uomini, per
necessità di natura, dove uno sia più forte, comanda.
La
giustizia insomma è sempre l’utile del più forte, e il più forte, in questa fase, era Crizia.
Il sanguinario capo dei Trenta tiranni.
Costui
indicò Teramene e disse al capo degli Undici di polizia, l'audace e impudente
Satiro: “ ti consegno il qui presente Teramene,
condannato secondo la legge” (Qhramevnhn toutoni; katakekrimevnon kata; to;n novmon, Senofonte, Elleniche II, 3, 54).
La vittima chiedeva aiuto, anche mentre veniva
trascinata in mezzo all'agorà, ma nessuno la difese.
Non
ricorda questa fine, mutatis mutandis, la morte di quel grande mediatore che fu
Aldo Moro?
Quando
gli fecero bere la cicuta, il condannato ne gettò le ultime gocce
dicendo:"Kritiva/
tou't j e[stw tw'/ kalw'/"(II,
3, 56), Alla salute del bel Crizia.
Cicerone
traduce questo brindisi con "Propino-inquit-hoc
pulchro Critiae "[18] e manifesta
simpatia per l'oligarca moderato ("quam
me delectat Theramenes ! quam elato
animo est! ", quanto mi piace Teramene! che animo elevato!) non senza notare che l'estremista carnefice
seguì la vittima non molto tempo dopo.
Alcibiade, il dandy, morì in esilio per avere
sedotto una ragazza di buona famiglia: i fratelli di lei, non sopportando
l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori
attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon", Plutarco, Vita di Alcibiade , 39, 9).
Auguro ai“coturni” nostrani di
fare delle fini un po’ meno tragiche.
L’ho già detto: sono contrario alla pena di
morte.
Per quanto riguarda Aldo
Moro, considero un crimine esecrando il
suo assassinio, che non venne impedito dai suoi colleghi molti dei quali
certamente pensarono e dissero a bassa voce con l’ipocrisia feroce del sommo
sacerdote Caifas: “expedit unun hominem
mori”[19] .
Lo statista pugliese così
brutalmente ammazzato, rispetto agli
improvvisati mediatori di oggi era un uomo nobile, nobile e antico.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1]
Di che cosa? Fanno pensare a diversi
lubrificanti.
[2]
Di montiana memoria. In latino agenda
è un neutro plurale e significa “le cose che si devono fare”: Io credo che il
deputati e i senatori dovrebbero ricavare i loro doveri dai programmi per i
quali i loro elettori, cioè il popolo sovrano li ha eletti . I dieci hanno il
cattivo sapore dell’oligarchia.
[3] Ritorno ciclico.
[5] Deliberassero prima della boulhv, del Consiglio dei Cinquecento, in sostanza del
parlamento degli Ateniesi.
[6]
Di quelli di ora o di quelli di allora? Decida il lettore.
Baudelaire ne fa il prototipo del dandy“Il
dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima,
perché Alcibiade, Catilina Cesare, ce ne
forniscono degli splendidi tipi…è
l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che
tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di
malinconia…Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, zerbinotti,
bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da una medesima origine; tutti
partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono dei
rappresentanti di ciò che vi ha di meglio nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli
uomini di oggi, di combattere e distruggere la trivialità" (Curiosità estetiche). Ecco un
altro personaggio che, come Sofocle, vola come un’aquila sopra i corvi.
[9]
Cfr: Domenico Musti, Storia greca, p. 437
[10]
Anche in questa proposta si può cogliere un’analogia in alcune dei tempi
nostri.
[11]De Sanctis, Storia
dei Greci , 2, p. 368
[12]
Violazione di legge, illegalità consistente nell’attentare alla
democrazia.Secondo questa modifica della costituzione, la legge che escludeva
l’abbattimento della democrazia poteva essere violata, o elusa. Prima di questo
golpe sarebbe stato impensabile. Come era impensabile qui in Italia, fino a due
anni fa, che un governo venisse formato
da un neodesignato senatore a vita , uno non eletto dal popolo ndr
[13]
Quella democratica, ovviamente ndr.
[15]
Il personaggio Euripide delle Rane di Aristofane si vanta di
avere insegnato agli spettatori cose familiari e realistiche e di avere
allevato discepoli come Teramene l'elegante (Qhramevnh" oJ komyov", v. 967).
[16]
Pnuvx, la sede dell’assemblea
popolare.
[17] Droysen, Aristofane,
p. 217.
[18]Tusculanae disputationes , I, 96.
[19]
Vangelo di Giovanni, 18, 14. Conviene
che un uomo solo muoia.
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