venerdì 2 ottobre 2015

Consigli ai politici tratti dall’enciclica di Papa Francesco "Laudato si’"

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L’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ dovrebbe venire studiata ed essere conosciuta dai nostri politici e amministratori.

Francesco parte citando il santo suo eponimo quando loda il Signore per “sora nostra madre terra/la quale ne sustenta et governa,/et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”.
Il papa associa la malattia del suolo, dell’acqua e dell’aria alla “violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato” (Laudato si’, 2).

Voglio provare a riferire alcune osservazioni cruciali dell’enciclica Laudato sì’ all’ attuale amministrazione di Bologna dove vivo dal 1963, non senza aggiungere qualche cenno a quelladi Pesaro da dove provenni come migrante e studente in quell’anno, ahimé, tragicamente lontano.

Il suolo dunque qui in Emilia è tenuto piuttosto bene, la campagna viene curata. Quello che mi manca, come pedone e come ciclista, è l’attenzione e il rispetto di chi usa troppo e male l’automobile o le motociclette. Temete la morte per macchina! (fear death by car).
Vivo nel quartiere Fossolo: da questa parte in alcune strade di traffico troppo veloce certe macchine corrono alla velocità scelta arbitrariamente da chi le guida.
 Chi agisce senza controllo può fare molto male.
 Il despota appunto non subisce controlli. Ebbene su molte strade italiane vige la “motocrazia”, la prepotenza dei motorizzati. Costoro hanno un potere del tutto arbitrario su pedoni e ciclisti, quotidianamente intimoriti, spaventati o addirittura terrorizzati,

 “Se i cittadini non controllano il potere politico-nazionale, regionale e municipale-neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali” (Laudato si’, 179).
Anche la prepotenza delle macchine andrebbe controllata. A Pesaro va molto peggio: il viale della Vittoria che divide la zona mare dal vecchio centro, d’estate viene percorso per gran parte del dì e della notte da motociclette rombanti lanciate a 90 all’ora tra un semaforo e l’altro senza sanzione alcuna. Ogni mese decine di persone, tra cui gli stessi motorizzati, muoiono travolte da questa licenza concessa a chi guida automobili e motociclette. Da parte dei comuni c’è un’omissione di atti d’ufficio se i limiti di velocità segnati sulle strade vanno fatti rispettare.

Ma andiamo avanti
La politica non deve sottomettersi all’economia (…) Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana” (Laudato si’, 189).

Certamente non è al servizio della vita la politica che esulta per l’apertura di una nuova fabbrica di automobili o celebra la fabbrica della Philip Morris che produce sigarette fatte con foglie riscaldate invece vhe bruciate, comunque sempre patogene. Tale festeggiamento festeggia le malattie, dà loro il benvenuto.
Ben vengano certamente i posti di lavoro, ma questo dovrebbe costruire beni conumi, utili a tutti: scuole, ospedali, ferrovie, risanare il territorio troppo e mal cementificato e così via.

La cultura della cura
Chi governa un popolo dovrebbe testimoniare “una cultura della cura che impregni tutta la società” (Laudato si’, p 231)

Nel Politico, Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è quella di prendersi cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b). Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica. Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian) di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d ).

Papa Francesco denuncia gli stili di vita dannosi e grossolani. Ebbene, questi vengono pubblicizzati continuamente. L’unica difesa contro la pubblicità viene dalla cultura. Bologna in effetti offre occasioni culturali molto al di sopra della media delle città italiane: ci sono tante biblioteche attrezzate e gestite bene che oltre mettere a disposizione libri e film, organizzano incontri della cittadinanza con studiosi e scrittori, c’è una cineteca di valore internazionale, ci sono alcune sale cinematografiche dove proiettano solo film di qualche valore e c’è una Università che attira da ogni parte d’Italia giovani che vivacizzano e rallegrano questa città.
Chi la amministra deve valorizzare ulteriormente questi aspetti per i quali Bologna è un luogo significativo. Chi scrive è un vecchio pesarese che testimonia quanto afferma con la scelta di essere rimasto a vivere qui dopo avere compiuto gli studi universitari.

Certamente non mancano gli aspetti negativi come la cucina grassa e pesante, i prezzi esorbitanti, il sussistere di sacche profonde di ignoranza non abbastanza contrastata. All’ultima festa dell’Unità terminata da poco, per esempio, ci sono stati molti eventi interessanti grazie soprattutto alla Casa dei pensieri di Davide Ferrari, eppure gran parte dello spazio di questa manifestazione, che prolunga e conclude l’estate, era occupata da locali chiassosi, compresa una discoteca, forieri di tanto rumore da ostacolare l’ascolto e l’eloquio di chi parlava di politica o di letteratura nelle sale delle conferenze e dei dibattiti.
Credo che tali circenses non dovrebbero essere offerti al popolo incolto per non renderlo ancora più incolto.
Le feste di un patito democratico dovrebbero avere sempre una facies culturale prevalente.

 Papa Bergoglio fa una riflessione su “La vera sapienza” che è “frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone”. Essa dunque “non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale” (Laudato si’, 47).

Ebbene, i primi stimoli ad acquistare la sapienza si prendono dalla scuola. Molti bambini e adolescenti a scuola invece di essere stimolati vengono si annoiati.

I politici nazionali e locali che si occupano di scuola sbandierano orgogliosamente le immissioni in ruolo. Nessuno di loro però si preoccupa della qualità degli insegnanti, della loro preparazione, e neanche la menziona. Ebbene, un docente nella fase iniziale del suo lavoro avrebbe bisogno di essere guidato siccome all’Università, se va bene, ha appreso delle nozioni, ma non ha imparato a trasmetterle, a renderle interessanti per dei giovani. Per questo ci vuole esperienza. Dovrebbero dunque essere organizzati dei corsi per giovani laureati, e docenti comunque inesperti. Una volta c’era la SSIS che a qualche cosa serviva. Ora non c’è più nemmeno quella.
La cultura deve potenziare la natura, chiarire i significati della vita, incentivare la componente etica e quella estetica dei giovani, e dunque andrebbe proibita o almeno limitata l’anticultura della pubblicità, delle discoteche, delle obbrobriose sale giochi, di tante trasmissioni televisive.

La tecnologia e l’economia devono essere regolate da norme perché siano volte al bene piuttosto che al male.
 “Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia” (53).

La tecnologia e l’economia infatti, se lasciate senza regole e arbitrarie, possono volgersi tanto al bene quanto al male, come fa notare Sofocle nel celeberrimo I stasimo dell’Antigone: l’uomo “ il quale possiede il ritrovato della tecnologia (to; macanoven[1]),/ che è un qualche sapere (sofovn ti), oltre l'aspettativa/ora si volge al male, ora al bene/ e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città (u{yipoli") bandito dalla città (a[poli") è quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to; mh; kalovn), per la sfrontatezza (tovlma" cavrin)./Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno che ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365 -375).
L’uomo dunque, tra i molti deinav (Antigone, v. 332) è la creatura più inquietante (deinovtaton, v. 333), terribile e meravigliosa, e, come tale, tote; me;n kakovn, a[llot j ejp j ejsqlo;n e{rpei (367), ora si volge al male, ora al bene.
Questi testi della sapienza antica dovrebbero essere fatti conoscere quando si celebra il trionfo della tecnologia che se può avere una pars construens, ne ha sicuramente una destruens dalla quale i giovani andrebbero messi in guardia.

Difatti più avanti (Laudato si’, 102) Francesco scrive: “L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio”.
E, ancora più avanti: “la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il proprio potere” (136)
Il pontefice deplora assai giustamente “il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria”. Questi adulterano l’aria naturale e sono forieri di germi patogeni ma “i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda” (55).

Per quanto riguarda i condizionatori d’aria che personalmente detesto al punto che pur cinefilo, in estate evito i cinema chiusi con l’aria condizionata, credo che si dovrebbe almeno lasciare una possibilità di scelta alle persone: nei cinema, nei treni, nei ristoranti. Il vizio dell’aria condizionata è stato inculcato alla gente per vendere i condizionatori e le medicine indotte di quell’aria mefitica che fa ammalare. Plaudo dunque al Papa per questo rilievo e chiedo agli assessori alla salute di intervenire.

Sacrosanta è la condanna della guerra. Questa, oltre distruggere vite umane, “causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa all’energia nucleare e alle armi biologiche. Si richiede alla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute” (Laudato si’, 57).
I politici onesti dovrebbero adoperarsi affinché i giovani si abituino a pensare quali tabù la guerra e la pena di morte altrettanto anatemizzata dal Papa.

Solo la Provvidenza può dare all’universo l’ordine e la bellezza che vediamo. La tragedia scoppia quando il disordine umano va a cozzare contro l’ordine del kovsmo": “Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso! ( Laudato sì’ , 65)
E più avanti (77): “Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza egli lo circonda con il suo affetto”
 Le istituzioni, quella scolastica in primis, dovrebbero indicare i nessi tra gli eventi, la series causarum che porta a determinati successi, o insuccessi o catastrofi. Invece si fa come i pugili suonati che mettono la mano dove hanno ricevuto il colpo, senza vederne prima la provenienza ed evitarlo. Chi cerca di indagare le cause viene tacciato di dietrologia o accusato di strumentalizzare.

Più avanti (Laudato sì’, 96) il Papa cita l’evangelista Luca: “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio” ( et unus ex illis non est in oblivione coram Deo, Lc 12, 6).
E Shakespeare giustamente scrive: “there is a special providence in the fall of a sparrow" (Amleto, V, 2), c'è una provvidenza speciale perfino nella morte di un passero.

La proprietà invero è solo un usufrutto da custodire.
La terra e ogni altro bene che possediamo ci è stato dato in custodia (cfr. Gen. 2, 15). “Custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura (…) Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25, 23)” (Laudato sì’, 67)
Queste parole dovrebbero essere ricordate nelle scuole e nelle chiese, anche in quelle gestite da preti non allineati con Papa Francesco, cioè con L’Antico e il Nuovo Testamento e, in definitiva, con Cristo stesso.

La proprietà privata
La proprietà privata è considerata legittima dal Papa, tuttavia “su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato…Questo mette seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità” (Laudato sì’, 93).
Mi vengono in mente i bambini scheletrici di certe ampie zone del mondo, e gli obesi, i torpidi ghiottoni che disonorano il nostro paese.
Ricchezza degli uni e povertà di altri secondo Platone generano vizi e disordine tanto sociale quanto morale: nella comunità dove non coabitassero plou'to" e peniva, ci sarebbero nobilissimi caratteri e non si troverebbero u{bri" ou[t j ajdikiva, zh'loiv te au\ kai; fqovnoi, violenza, né ingiustizia, né gelosie e nemmeno invidie (Leggi, 679b-c)
Sant’Ambrogio[2] nel De Nabuthae già ricordato da papa Francesco[3], scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la mnoglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu cottidiana”.

L’energia nucleare.
Il Papa prosegue (Laudato sì’, 104) notando il “tremendo[4] potere” insito nell’energia nucleare, nella biotecnologia et cetera. Come il sapere non è sapienza, così il potere non è potenza, oppure è una potenza malvagia se è priva di “un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli dia un limite e lo contenga entro un lucido dominio di sé” (105)
E’ necessaria “una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico” (Laudato sì’, 77)
La resistenza, appunto. E’ questo l’invasore cui ultimamente penso quando mi viene in mente e magari mi metto a cantare “Bella ciao” che i cori della mia generazione ripetevano spesso.
Allora, quando si parla tanto di “buona scuola”, si dovrebbe chiarire quali sono i suoi compiti educativi e culturali.
“Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane” (Laudato si’, 114).

Quali sono allora questi valori dei quali i politici e gli insegnanti dovrebbero essere instancabili profeti?
I grandi valori imprescindibili indicati da Platone nel Protagora sono l’arte politica, la giustizia, il rispetto
In questo dialogo, il sofista Protagora racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano; quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie, mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d). Certamente va condannato questo ricorrere alla pena di morte.

Secondo l’anziano sofista personaggio eponimo del Protagora di Platone, l’educazione deve essere politica, ossia preparare a un ruolo significativo nella vita della polis: i giovani devono diventare validi nel parlare e nell’agire (crhvsimoi eij~ to; levgein te kai; pravttein). Tutta la vita dell’uomo ha bisogno di ritmo e di armonia (pa`~ ga;r oJ bivo~ tou` ajnqrwvpou eujruqmiva~ te kai; eujarmostiva~ dei`tai, 326b). Per questo i maestri fanno suonare sulla cetra ai bambini le poesie dei buoni poeti lirici e costringono i ritmi e le armonie ad accordarsi con le anime degli alunni.
Altra idea che dovrebbe entrare nel modi di pensare dei giovani è che
studiare è un privilegio: tant’è vero che i più ricchi (plousiwvtatoi) i quali hanno maggiori possibilità (mavlista duvnantai) mandano a scuola i figli prima degli altri e ve li mantengono più a lungo.
 Lo stesso scrive Isocrate nell’Areopagitico [5]: la paideiva è conforme ai mezzi di cui ciascuno dispone. I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;" ejmporiva"" (44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, ippica, caccia, e alla filosofia.
Ovviamente non condivido questo classismo pedagogico.
Torniamo al dialogo di Platone. Il sofista dunque, sostiene che la virtù è cosa insegnabile (ajreth; didaktovn, Protagora, 326 e).
Se gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù acquisibile e insegnabile.
Infatti alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p. e.) non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù politica vengono punite “o{ti ge oi{ ge a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn” (324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: “kai; toiauvthn diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn” (324b), e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile.

Il sogno prometeico è ingannevole.
“Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli” (Laudato si’,116).
 Il “sogno prometeico” di fatto è ingannevole. Già il Prometeo di Eschilo è divinità solo apparentemente benefica in quanto portatore di conoscenze pratiche fuorvianti:" qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino"(v.248). La tecnica non capisce il destino.
Prometeo ha reso ciechi gli uomini: “ ho infuso in loro cieche speranze, deve ammettere lo stesso Titan ("tufla;" ejn aujtoi'" ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo incatenato, v.250). :
 Mary Shelley, l’autrice di Frankestein ovvero il Prometeo moderno (del 1818 ) accusa i disastri provocati dalla scienza. Lo studioso ginevrino si illude al pari di Prometeo:"Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e creatore"(p.56), ma deve additare la sua opera ardita come modello negativo:"Imparate da me-se non dai miei consigli, dal mio esempio-quanto pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto più felice sia chi crede mondo la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di quanto la sua natura consenta"(p.55).
Eppure c’è ancora chi parla di trapianto della testa, di cibi transgenici, di fecondazione eterologa e così via.

 “Le leggi possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera morta” (Laudato si’, 142)
A proposito dell’impotenza delle leggi, riferisco quanto disse Anacarsi Scita a Solone[6].
Il legislatore ateniese, ammirata la prontezza di spirito di quello straniero, lo accolse amichevolmente e lo trattenne per qualche tempo presso di sé, quando già si occupava degli affari pubblici e stabiliva le leggi. Anacarsi venutolo a sapere, derideva l’opera di Solone che pensava di fermare le ingiustizie e le pretese dei cittadini con norme scritte, le quali non differiscono per niente dalle ragnatele § mhde;n tîn ¢racn…wn diafšrein, ma, come quelle, trattengono i deboli e i piccoli tra gli irretiti, mentre dai potenti e ricchi verranno lacerate[7].
 Assistiamo a ruberie con arricchimenti colossali, ma vediamo che in galera ci vanno solo i poveracci. Chi prova a opporsi alle speculazioni basate su colate di cemento, come Isabella Conti, il sindaco di San Lazzaro, diviene segno di contraddizione nel suo stesso partito che esita a schierarsi compatto dalla parte di lei. Speriamo che in seguito a questa vicenda vengano almeno svelati i pensieri di molti cuori[8].
Sentiamo anche Tacito il quale afferma che la legge non vale di fronte alla consuetudine e denuncia la corruzione dei costumi dei Romani contrapponendo spesso illic a ibi o ad alibi: “ Nemo illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur” nessuno là[9] si prende gioco dei vizi, né corrompere ed essere corrotti si chiama moda (Germania, 19),
E alla fine dello stesso capitolo: “ plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges” e valgono più là i buoni costumi che altrove le buone leggi.

Il relativismo culturale
 “La visione consumistica dell’essere umano (…) tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità (…) Neppure la nozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano” (Laudato si’, 95).
Ebbene, i politici intelligenti devono bonificare le menti inficiate dal provincialismo il quale crede che gli usi buoni e le norme giuste siano soltanto le loro.
Un insegnamento di accettazione anche con simpatia dei costumi stranieri e strani lo troviamo in Erodoto.
Nel quinto libro lo storiografo narra lo strano costume dei Trausi che compiangono il neonato e seppelliscono il morto con manifestazioni di gioia:"sedendo attorno al neonato i parenti piangono...enumerando tutte le sofferenze umane; invece scherzando con gioia mettono sotto terra (paivzontev" te kai; hJdovmenoi gh'/ kruvptousi) il morto, spiegando che si trova in completa felicità, liberato da tanti mali"(V, 4, 2).
Traccia di questo uso anomalo si trova nel Verga: durante al visita dei compaesani alla casa del nespolo, che si era riempita di gente per le esequie di Bastianazzo, Don Silvestro fece una battuta : “E tutti si tenevano la pancia dalle risate, ché il proverbio dice: “Né visita di morto senza riso, né sposalizio senza pianto”[10].

Sempre a proposito di tolleranza nei confronti di culture diverse, un valore che diventa sempre più raro[11], prezioso e necessario alla sopravvivenza della nostra specie, Erodoto racconta di un novmo" babilonese che anzi egli considera sofwvtato", avvedutissimo (I, 196): lì le ragazze belle vengono messe in vendita per essere sposate e le brutte si comprano il marito con il denaro ricavato:"to; de; crusivon ejgivneto ajpo; tw'n eujeidevwn parqevnwn, kai; ouJvtw" aiJ eu[morfoi ta;" ajmovrfou" kai; ejmphvrou" ejxedivdosan" (I, 196, 3), il denaro veniva dalle ragazze di bell'aspetto, e così le belle davano in matrimonio le brutte e le storpie.
Questo, secondo Erodoto, era il loro costume antico più bello (kavllisto" novmo").
Si faccia conoscere questo autore nelle scuole per educare i giovani al superamento del provincialismo.

“Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!” (Laudato si’, 152).
Com’è bella l’ajgorav con le sue discussioni e i suoi valori (divkh, povno~, aijdwv~, fides, disciplina, pudicitia etc).
“bisogna aggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significati, capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso” (Laudato si’, 181)
I valori autentici vengono dimenticati e calpestati quando il denaro diventa oggetto di adorazione e il consumo è il bersaglio dei desideri.
 Il consumista si identifica con le cose che compra, come l’idolatra biasimato nel Salmo della Bibbia: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
Eppure i telegiornali segnalano il meraviglioso progresso consistente nella crescita dei consumi, del Pil e così via. Sicché continua il genocidio culturale denunciato da Pisolini.

Il tempo.
“Il tempo è superiore allo spazio” (Laudato si’178).
 Il tempo soltanto rivela l’uomo giusto, crovno~ divkaion a[ndra deivknusin movno~, si legge nell’Edipo re di Sofocle (614).
Secondo Seneca il tempo è il bene più grande di noi uomini che passiamo sulla terra, l’unico veramente nostro: “omnia Lucili aliena sunt, tempus tantum nostrum est” (Ep. 1, 3).
La televisione insegna che il tempo non vale nulla. Fate una prova: prendete in mano un buon libro di autore e vedete quante meraviglie si possono trovare nelle sue parole durante una raffica di annunci pubblicitari o durante le chiacchierate vuote dei ripetitivi talk-show.
Agostino definisce il tempo distentionem…ipsius animi[12], un’estensione propria dell’animo. Un pensiero simile a quello del neoplatonico Plotino che in Enneadi (III, 7, 11) scrive che il tempo è la vita dell’anima la quale si muove e passa da uno stato all’altro. Chi spreca il tempo dunque sciupa la propria anima e la propria vita.

Il potere che non subisce controlli è quello del tiranno.
“Se i cittadini non controllano il potere politico-nazionale, regionale e municipale-neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali” (Laudato si’, 179).
Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla monarchia, un potere senza controlli, il governo del popolo (plh`qo~ de; a[rcon) che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn"[13], poi non fa nulla di quanto perpetra il despota[14]: infatti chi esercita a sorte le magistrature ha un potere soggetto a controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei" (III, 80, 6).
Ora rischiamo di avere un senato di cooptati. La cooptazione è il sistema delle nomine fatte dall’alto ed è già vigente in molte istituzioni.
Un partito democratico dovrebbe opporsi a tale autointegrazione del potere che è del tutto antidemocratica.

La politica non deve sottomettersi all’economia (…) Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana” (Laudato si’, 189).

Che cosa serve alla vita? Platone dice musica (come cultura) per l’anima, e ginnastica per il corpo. Aggiungerei amore, amicizia, solidarietà. Ma questi valori necessari al benessere degli umani sono fuori moda e fuori corso e chi li predica o pure li pratica passa per ingenuo, illuso o addirittura un pazzo. Ma c’è una follia più saggia della saviezza del mondo.
 Questi valori veri vanno dunque rimessi in corso e in onore.

Il progresso deve comprendere la sfera etica e quella estetica.
Dobbiamo “ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso” (Laudato si’,194).
Progredire significa infatti avanzare, procedere verso il meglio. E il meglio è il buono con il bello, il bello morale ed estetico, la kalokajgaqiva. I Greci non distinguevano il buono dal bello che infatti sono indissolubilmente congiunti.

Il profitto.
“Il principio della massimizzazione del profitto, che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia” (Laudato si’.195).
Gli educatori devono chiarire che il profitto buono consiste nel favorire la vita, la propria e quella degli altri. Danneggiare la vita è invece la perdita più grave e pessima.

Il condizionamento pubblicitario al consumismo compulsivo.
Aconzio e Cidippe.
“Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue” (Laudato si’,124).

E’ il meccanismo inventato da Aconzio per sedurre Cidippe (cfr. gli Aitia di Callimaco e le Heroides di Ovidio). Risalendo al mito che chiarisce sempre le origini, si vede che, fin dall’inizio, la scrittura pubblicitaria è deleteria.
"La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[15]. Nella festa di Apollo a Delo, Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo racconto si trova negli Aitia di Callimaco. Febo rivelò a Ceuce, il padre di Cidippe che la ragazza in procinto di sposare il fidanzato si ammalava a morte poiché un giuramento grave (baru;~ o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le nozze alla fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo “quando tua figlia giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri” ( jAkovntion oJppovte sh; pai`~-w[mosen, oujk a[llon, numfivon ejxemevnai (vv. 26-27).
La storia è narrata anche da Ovidio nella XX delle Heroides

“L’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca” (Laudato si’, 204).
 Platone nel Teeteto (176) suggerisce la oJmoivwsi~ qew`/ l’assimilazione a Dio e nell’ Eracle di Euripide leggiamo che Dio non ha bisogno di nulla (dei'tai ga;r oJ qeov~, ei[per e[st j ojrqw'~ qeov~,-oujdenov~ v. 1341).
 L’uomo che gli somiglia dunque ha bisogno di poco.

C’è un’ espressione parallela a questa nei Memorabili di Senofonte dove Socrate si difende con queste parole dall'accusa, mossagli da Antifonte sofista, di essere un pezzente: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto; io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno di niente è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10).
Similmente nel De tranquillitate animi di Seneca: “Respice agedum mundum: nudos videbis deos, omnia dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda l’universo: nudi vedrai gli dèi che tutto danno e nulla possiedono.
Questi testi mostrano la pochezza spirituale e la volgarità dei consumisti.

Possedere e utlizzare.
Non si devono acquistare prodotti nocivi alla vita: “acquistare è sempre un atto morale oltre che economico” (Laudato si’, 206).

Si può pensare alla distinzione tra kekth`sqai, (avere acquistato, possedere) e crh`sqai (utilizzare) dell’Economico di Senofonte.
 Socrate dice a Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili:"Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata".
( Economico, I, 10); così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili ( "oujde;n ma'llon h] a[crhstoi livqoi").
Inoltre: le cose utili (ta; wjfelou`nta) Socrate le ritiene dei beni ( crhvmata); quelle dannose no (ta; de; blavptonta ouj crhvmata).
 Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).
I libri buoni per i più sono carta straccia.

Luogo simile in Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti scit), sed omnibus eget ” (Ep, 9, 14), allo stupido non occorre nulla ( infatti non sa fare uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di tutte.

“Non va trascurata la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano” (Laudato si’, 215). Il bello infatti e parte costitutiva del buono. Non c’è bontà senza bellezza e viceversa Cfr. la kalokajgaqiva. I Greci non distinguevano la bellezza dalla bontà ma le assimilavano.
“un popolo che, eziandio nella lingua faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri).

Il “di più” non serve.
La Bibbia insegna che “meno è di più” (Laudato si’, 222). Ma non solo la Bibbia.
Nelle Fenicie di Euripide troviamo un contrasto fra Eteocle che sostiene il proprio potere assoluto, e Giocasta che gli fa notare la presenza dell’uguaglianza nel cosmo.
 "Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più"[16], Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to; plevon; o[nom j e[cei monon:/ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le portano via di nuovo.

Agitarsi e affannarsi non serve.
 “Gesù ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo” (Laudato si’, p.226).
In senso anticonsumistico e antinevrotico.

"Et de vestimento quid solliciti estis? Considerate lilia agri quomodo crescunt: non laborant neque nent. Dico autem vobis quoniam nec Salomon in omni gloria sua coopertus est sicut unum ex istis" (Matteo, 6, 28), e quanto al vestire perché vi affannate? Considerate come crescono i gigli dei campi: non si affaticano e non filano. Eppure vi dico che neppure Salomone in tutta la sua gloria è stato coperto come uno di loro.
Cristo “sentì la vita mutevole, fluida, attiva, sentì la morte nel lasciare che si stereotipasse. Capì che gli uomini non dovevano prendere troppo sul serio gli interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che non occorreva angustiarsi eccessivamente per gli affari. Gli uccelli non lo fanno, perché dovrebbero farlo gli uomini? E’ incantevole quando dice: “Non datevi pensiero del domani: l’anima non conta più del cibo? Non conta più il corpo delle vesti?”[17]. L’ultima frase può stare in bocca a un greco. E’ piena di sentimento greco. Ma soltanto Cristo può dirle tutt’e due e riassumere per noi la vita in modo tanto perfetto. La sua morale è tutta comprensione, proprio come dovrebbe essere la morale. De avesse detto una cosa sola e questa fosse stata: “Le sono rimessi i suoi peccati perché molto ha amato”[18], sarebbe valsa la pena di morire per averla detta. La sua giustizia è tutta giustizia poetica, esattamente quello che la giustizia dovrebbe essere”[19]
I politici invece insegnano e comunicano l’agitazione di cui sono colmi nella loro lotta spietata di tutti contro tutti, nella loro ansia e terrore di perdere il potere. Siamo nell’era della peccaminosità quasi completa.

“Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma” (Laudato si’, p 230).
I piccoli gesti quotidiani possono testimoniare “una cultura della cura che impregni tutta la società” (Laudato si’, p 231)
La cultura della cura parte dalla coscienza di essere uomo, come dice Teseo a Edipo, vecchio, cieco, ramingo, nell’ Edipo a Colono chiarendogli perché lo aiuta: “so bene di essere uomo”( (e[xoid j ajnh;r w[n, v. 567)


giovanni ghiselli 
Bologna, primo ottobre 2015






[1] Si può anche tradurre la macchinazione del saper operare come fa Heidegger.
[2] 340-397
[3] Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri ( Ambrogio, De Nabuthae,1 -.2)
[4] Cfr. polla; ta; deinav dell’Antigone di Sofocle (v. 332)
[5] Il principale scritto di politica interna di Isocrate, del 356 a. C. Propone di restituire all’Areopago i poteri di tutela sulla vita politica che aveva prima della riforma di Efialte (461 a. C.). Ne abbiamo una traduzione di Leopardi
[6] Nell’anno 594 a. C. Solone fu nomina arconte (a[rcwn) con l'incarico di pacificatore e legislatore (diallakthv" kai; nomoqevth"): i possidenti infatti lo accettarono in quanto benestante, i poveri, siccome galantuomo: doveva fare da paciere tra nobili e popolo.
[7] Plutarco Vita di Solone, 5, 2-4. 
[8] Cfr. N. T., Luca, 2, 34.
[9] Intendi “tra i Germani”.
[10] I Malavoglia, p. 87.
[11] In questi tempi si inorridisce per i costumi delle donne afgane le quali sono state bombardate con i loro figli in nome della loro liberazione. I "femministi" italiani favorevoli al divorzio, all'aborto e alla droga, plaudono.
[12] Le Confessioni, XI, 25.
[13] Parità di diritti, legge (novmo") uguale ( i[so") per tutti.
[14] Il quale "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio
[15]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[16]Lanza, op. cit., p. 53.
[17] Mattteo, 6, 34 e 25
[18] Eppure il Cristo disse bene della peccatrice :"Remissa sunt peccata eius multa, quoniam dilexit multum, cui autem minus dimittitur, minus diligit " (Luca, 7, 47), le sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha amato molto, quello invece cui si perdona meno, ama meno. E' una di quelle splendide pagine del Vangelo che sono ignorate o fraintese dai furfanti bigotti i quali adulterano le parole sante. Ndr.
[19] Oscar Wilde, De profundis, trad it. in Oscar Wilde Opere, Mondadori, Milano, 1982, p. 736

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