NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 29 gennaio 2017

Twitter, CCLXX

Etiopi massacrati dagli Italiani, Etiopia 1937
Chi si è fottuta la testa della sardella che avevo rosicchiato e messo da parte per la mia povera cena? Non mi salva nemmeno la miseria estrema

E' giusto ricordare gli Ebrei uccisi. Sarebbe giusto commemorare pure le vittime precedenti e successive causate da guerre anche italiane

Io sono solo un mendicante, un pezzente materiale, eppure provo compassione per i pezzenti mentali che mi hanno abbandonato per la miseria, la loro miseria culturale e spirituale.

Una volta molte mi volevano bene: allora ero un giulivo e prospero corteggiatore. Ridondavo di affetti. Ora nella miseria sono un po’ desolato. Eppure…

Ora che i pezzenti mentali mi hanno abbandonato per la mia sopraggiunta povertà, dopo venti anni di sodalizio malsano, mi godo una forma orgiastica di libertà.
Non devo più ricevere tali clienti cattivi con le loro adulazioni servili, la loro ignoranza corrosiva, il loro odio del greco e del latino, discipline che mi hanno reso del tutto diverso da tale genìa, le loro menzogne evidenti, il loro occhio aguzzo al denaro, alla roba, a una reputazione spacciata, mentita e fasulla. In vita mia ci sono state perdite meno insignificanti e perdite molto significative. Non questa che anzi è una liberazione
Le perdite sono insignificanti quando non si perde l'amore o l'affetto, perdite significative sono state quelle delle beneamate mamma, nonna, zie e di alcune delle mie amanti, un dieci per cento circa.

Nessun si illuda pensando che io  scriva di lui o di lei o di qualsiasi vivente : considerate tutti  questi miei pensieri quali ghiribizzi di una baraonda sentimentale, un insieme di citazioni,  e “di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un’espressione” della felicità dell’autore.





mercoledì 25 gennaio 2017

Twitter, CCXXIX

Cimabue, San Francesco

Quelli che sognano vacanze lussuose mi hanno abbandonato per vergogna. Io dormo sul carbone, ricordando l'estate nei poveri ostelli di Olimpia e di Micene dove giacevo sotto le stelle avvolto felicemente in lenzuola bucate, udendo il suono di una cennamella, sognando il gusto di una caramella.

gianni il poverello, il vagabondo, il vecchio e sordido anacoreta schifato perfino da diversi ex amici e non poche ex amanti cui ho fatto soltanto del bene

p. s.
chi non si vergogna di me venga giovedì sera a casa mia portando magari un tozzo di pane, un piatto di minestra e uno scaldino per intiepidirci

lunedì 16 gennaio 2017

Twitter, CCLXVIII. Antologia dei Twitter della prima metà di gennaio

5 gennaio 2016
Oggi Piango la morte di un maestro e amico. Il nostro popolo ha perso un educatore. Cercherò nel mio piccolo di continuare non indegnamente la tua opera, Tullio.
Le mie lezioni a ragazzi, adulti e anziani rispondono al lifeloglearning l'apprendimento per tutta la vita insegnatomi da Tullio De Mauro
Una mia cara amica mi ha fatto queste condoglianze: "Un altro testimone della Cultura è andato via e noi siamo sempre più poveri".
Un'altra condoglianza di un’altra amica: ho pensato a te e al vuoto che sentirai ora. Certe persone sono insostituibili.
Vuoto no: Tullio rimane dentro di me.

Ogni giorno crescono i minuti di luce. Alla fine dell’anno le ore del dì e della notte saranno pari. L’Uguaglianza è principio cosmico

Il freddo uccide i poveri, con gioia degli speculatori e compunzione degli imbecilli che denunciano il caldo come male. Durante le belle stagioni gli imbecilli e gli speculatori gelano gli ambienti con i condizionatori, latori di germi letali
Ho sempre notato che il caldo favorisce la vita, il freddo, come ora è evidente, la uccide. Il raffreddamento globale sarebbe la catastrofe reale.

Le espressioni di collera antidiluviana non coprono gli errori. Grillo ha tentato di far lega, invano per giunta, con capitalisti, usurai e simile lordura.

Non mi convincono né le ire veterotestamentarie da Jahvè, né le esultanze pagane e sibaritiche di Grillo che sta screditando il Movimento.

Capitalisti speculatori, usurai e simile lordura hanno detto di no a Grillo che voleva associarsi a loro. Preferisco Emiliano, Speranza e simili persone degne.

La danza macabra della politica, ancora più in fretta di quella della vita, conduce sul burrone diversi personaggi ogni giorno.

La mistica di Renzi e della Boschi, poi quella Grillo si sono rivelate quali mistificazioni.
Grillo ha chiesto di associarsi ai liberali, i mandanti di sempre dei fascisti. Imperdonabile. Il movimento, se vuole salvarsi, deve dissociarsi.

La violenza è l'estremismo dell'ignoranza e della stupidità. Contro la violenza è necessario rilanciare la cultura con la lettura degli ottimi autori.

Si beatificano l'economia e il denaro. Il figlio assassino dei genitori e il sicario da 1000 euro sono gli empi sacerdoti di questa religione infernale

Ieri sera avevo a cena due borghesi che parlavano compiaciuti di alberghi a cinque stelle, di Cortina, di golf, di yacht sesquipedali et cetera, e due proletari che li ammiravano estasiati inventandosi di tanto in tanto che anche loro però qualche volta hanno avuto occasione.

Io li guardavo con cupa meraviglia, immerso in un silenzio selvaggiamente espressivo. Ho provato ad accennare alle mie vacanze in bici fatte di pedalate vere per 200 km al giorno e dei miei pernottamenti sotto le stelle nelle terrazze dei poveri ostelli dalle lenzuola sbrindellate. Non interessavo. Allora orgogliosamente, seppur pieno di compassione per quei poveretti, tacqui. Ma ora scrivo che il proletario asservito ammira per sua somma disgrazia lo squillante luccichio delle vacanze costose, reali o inventate che siano, e disprezza i percorsi faticosi coronati dagli ostelli, accoglienti rifugi dell’eterna gioventù: la mia nobile ascesi, impagabile da certi pezzenti.

Il dio denaro, il consumismo e la loro mezzana, la pubblicità, sono i pessimi maestri che spingono i ragazzi deficienti a uccidere i genitori.



giovanni ghiselli, detto gianni il poverello di Pesaro il cui blog è arrivato a 456284 in 1442 giorni alla media di 316, 42441 al giorno.
Questi sono i primi dieci paesi

Stati Uniti
248998
Italia
173806
Russia
6800
Germania
3506
Regno Unito
2270
Cina
2192
Ucraina
2161
Francia
1906
Portogallo
845
Spagna
558




venerdì 13 gennaio 2017

"Storia linguistica dell’Italia Repubblicana" di Tullio De Mauro. III parte


Il dittatore è ostile allo sviluppo delle intelligenze come raccontano Erodoto e Tito Livio
La mania della distruzione delle teste migliori fa parte del carattere tirannico: sappiamo da Erodoto che la scuola dei despoti insegna a uccidere gli oppositori in generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza.
Periandro di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era scatenata, accolse il suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano (Storie, V, 92 h) . Il despota esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano. Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").
Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "(I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri[1]

“Programmi e strutture concepiti da Gentile e Lombardo Radice, raccogliendo per verità le istanze di gruppi liberali e socialisti dell’anteguerra, furono smantellati. Fu cassato in particolare il programma di Lombardo Radice per le elementari, che delineava un’educazione linguistica volta ad assumere a suo carico lo sviluppo di tutte le capacità espressive dei bambini muovendo da quelle realtà idiomatiche e culturali locali, municipali, che erano la vita loro e del loro ambiente, e portandoli per mano, progressivamente, alla conquista delle forme scritte e italiane di linguaggio”.  Ci fu una fioritura di “manualetti” che portavano nella scuola un confronto sistematico tra i dialetti e la lingua, “ma alla fine degli anni Venti furono messi da parte e sostituiti dal libro di testo unico, con cui si pretendeva di insegnare l’italiano allo stesso modo in centri grandi e piccoli, al Nord e al Sud, a Milano e a Licata, a Napoli e a Nichelino” (p. 23).

Mi viene in mente, per analogia, il modo più usuale di insegnare la lingua latina nei licei classici da parte della maggioranza dei miei colleghi fino a poco tempo fa, che io sappia, cioè fino a quando, nel 2010, sono andato in pensione: si facevano imparare a memoria morfologia e sintassi tratte quasi esclusivamente da Cicerone e si leggevano pochissimi testi.
Cito a questo proposito alcune parole, che condivido, di don Lorenzo Milani: "Qualcuno, chissà chi, v'ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"[2].
Ricordo che nel 1959, quando facevo la quarta  ginnasio al Terenzio Mamiani  di Pesaro, venne in classe il preside e mi domandò, con aria severa, come si dicesse "fato" in latino. Voleva sapere, disse, se meritavo il nove  che aveva appena letto nella mia pagella.
 Risposi "fatus".  Quel brav'uomo disse  che l'avevo deluso, che con i miei voti avrei dovuto sapere che si dice fatum. Ci restai molto male, pensando di avere fatto un errore gravissimo, del tutto indegno di me e del mio curriculum. In effetti se fossi stato più bravo, avrei replicato che nel Satyricon  si trova  fatus[3].
Credo che le cosiddette regole grammaticali e sintattiche andrebbero mostrate attraverso i testi più belli degli autori più bravi siccome la bellezza e la bravura colpiscono la sfera emotiva e questa potenzia la memoria favorendo il ricordo.

Ma torniamo alla Storia linguistica dell'Italia repubblicana.
"Rimossi  i due non ortodossi, le spese per l'istruzione restarono bloccate ai livelli del periodo bellico per tutto il ventennio della dittatura" (p. 23).
Inoltre il fascismo teneva nascosti i dati sull'analfabetismo "perché ammettere l'esistenza di analfabeti non era compatibile con la retorica fascista, e impose che "nelle aree rurali" si potesse fare a meno della licenza elementare e si fosse prosciolti dall'obbligo scolastico dopo solo tre anni di scuola". Di fatto gran parte della popolazione viveva nelle aree rurali , e, anzi, "il 27% del totale, vivevano fuori da ogni centro abitato, in case sparse tra monti e campagne".
Per giunta, a chi andava a scuola si imponeva una lingua sterotipata, piena dei luoghi comuni e della retorica del regime.

Molto di questa scuola era rimasto  nella  elementare dei primi anni Cinquanta da me frequentata. 

Il regime fascista oltretutto discriminava le minoranze linguistiche e relegava gli zingari nei campi di concentramento.
"Nel 1951 il primo censimento dell'Italia repubblicana rivelò crudamente quale era il lascito scolastico del passato regime, ma anche, occorre dire, il lascito della lunga incuria dello Stato unitario per l'istruzione di base, un'incuria non sufficientemente corretta nel breve periodo giolittiano" (p. 24).
Seguono i risultati del censimento: alla licenza elementare era arrivato il 30, 6% della popolazione; il 5, 9 aveva raggiunto un diploma di scuola media inferiore, il 3, 3%  di scuola superiore, l'1% era arrivato all'università "e solo meno di uno ogni cento laureati, dunque meno di uno ogni mille abitanti, aveva una laurea scientifica" (p. 24).

Aggiungo di mio che negli anni precedenti non c'era stata  un'arte diretta a educare e istruire il popolo come, per fare un'esempio, la tragedia nell'Atene del V secolo a. C. La mancanza di libertà di parola e l'opportunismo suggerivano a chi parlava e scriveva di raccomandare il  consenso con il regime o di rifugiarsi nel culto dei propri sentimenti privati, come sempre accade quando c'è la tirannide.

De Mauro nota che "già allora gli altri paesi europei avevano indici complessivi superiori, talora di molto".

In Italia è tuttora molto difficile prendere l'ascensore sociale. Questo è un motivo per cui molti giovani vanno all'estero a cercare lavoro e riconoscimento delle loro capacità, e forse anche del fatto che pochi si impegnano nello studio. La piaga delle raccomandazioni, che risale al clentelismo dell'antica Roma, annienta o riduce di molto il riconoscimento del merito. Questa riflessione è relativa a quanto ho potuto vedere negli anni universitari e nei successivi.

Vediamo la conclusione di questo paragrafo relativo alla bassa scolarità
"La dichiarata totale assenza di ogni capacità alfabetica del 13% almeno della popolazione, spinta fino all'incapacità di tracciare la propria firma all'atto del matrimonio, la mancata scolarità elementare del 60%, l'esiguità della pattuglia avventuratasi oltre le elementari (10%), la povertà di lauree, e in particolare di lauree in materie scientifiche, erano deficienze gravide anche di altri effetti negativi, di cui poi si dirà. Ma certo avevano un peso determinane sulle complessive condizioni linguistiche del paese, nel senso di contribuire in modo rilevante a non modificare gli assetti più antichi, le più remote differenziazioni tra aree e classi sociali" (Storia linguistica dell'Italia repubblicana,  p. 25).


Continua      





[1] Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.
[2] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 116.
[3] Dopo avere mostrato qualche  trovata stupefacente,  Trimalchione affranca i servi e nomina erede Fortunata. Gli schiavi sono uomini, proclama l'anfitrione rimasticando dottrine stoiche:"et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt. ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto " (71), pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati. Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l'acqua libera. Insomma tutti quelli li affranco nel mio testamento. Si noti che fatus   invece di fatum. Non è l'unico caso del genere: troviamo balneus (41) per il neutro balneum, bagno, vinus (12) per vinum, caelus (45, 3) per caelum, lasanus (47, 5) per lasanum, vaso da notte, e altri ancora

mercoledì 11 gennaio 2017

"Storia linguistica dell’Italia Repubblicana" di Tullio De Mauro. II parte


Ripropongo questa presentazione già presentata nel mio blog nel dicembre del 2014.

Tullio De Mauro
Storia linguistica dell’Italia Repubblicana
Dal 1946 ai nostri giorni
Editori Laterza, Roma-Bari 2014

II parte


Insomma nel 1946 si poté tornare a parlare. Non molti Italiani però erano in grado di farlo se consideriamo questi dati: “la bassa scolarità complessiva della popolazione; la persistenza e il predominio dell’uso attivo di numerose parlate eterogenee e, per contro, il possesso modesto delle capacità d’uso attivo della lingua nazionale; il conseguente elevato indice di diversità linguistica e di distanza tra le diverse parlate in uso.” (p. 19)
La lingua media scritta degli Italiani forniti di educazione accademica, o per lo meno liceale, era quella di Manzoni, e una lingua media parlata ancora non c’era, sicché valeva ancora quanto ha scritto Leopardi nello Zibaldone sulla nostra lingua la quale è “piuttosto un aggregato di lingue che una lingua, laddove la francese è unica” ( 964).

1. Bassa scolarità (pp. 20-25)
“Ancora negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento l’Italia era un paese scolasticamente sottosviluppato, cui non era stata data la possibilità di sovvertire la bassa scolarità del passato” (p. 20).
Dopo l’unità, le classi dirigenti si preoccuparono dell’istruzione del proprio ceto istituendo scuole medie superiori, cioè licei e istituti tecnici, mentre “lasciarono ai comuni, e a volte osteggiarono apertamente e programmaticamente (e non solo nei settori clericali e più reazionari), la scolarità elementare” (p. 21).

Si trattava di tenere e conservare la distanza di classe. “Una classe dirigente continua ad essere tale soltanto fino a quando è in grado di nominare i propri successori”[1]. Il gruppo dirigente vuole perpetuare se stesso.

“Anche la lotta all’analfabetismo della popolazione adulta, che al censimento del 1861 risultò analfabeta per l’80%, per decenni non ricevette attenzione”.
Vennero del resto istituite “scuole reggimentali che cercavano di “redimere”, cioè di trarre fuori dall’analfabetismo più totale, almeno i militari di leva” (p. 21).
Si trattava di “corsi di un’ora e mezza al giorno per sei mesi”.

Certamente non sufficienti per attivare negli scolari adulti un’abitudine allo studio. Tanto più che quei giovani appartenevano probabilmente a famiglie povere e bisognose del salario ricavato da un lavoro qualsiasi, un impiego del tempo che comunque non avrebbe lasciato libere le ore necessarie allo studio.

L'araldo tebano delle Supplici di Euripide sostiene che il governo di un solo uomo non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla con le parole, la volgono di qua e di là a proprio profitto.  Del resto, aggiunge, come potrebbe pilotare uno Stato il popolo che non è in grado di padroneggiare un discorso?
Chi lavora la terra non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche: "oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
Isocrate nell’Areopagitico (del 356) sostiene che la paideiva va conformata ai mezzi di cui ciascuno dispone.
Quando l’Areopago esercitava la nomofulakiva,   I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;" ejmporiva"" ( 44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, all’ ippica, alla caccia, e alla filosofia. 

Pure Protagora, il sofista eponimo e personaggio del dialogo di Platone fa dipendere la durata dell'istruzione dai mezzi dei genitori. Lo studio della poesia, della musica e la pratica della ginnastica li fanno oiJ mavlista dunavmenoi-mavlista de; duvnantai oiJ plousiwvtatoi (Protagora, 326c) “i più ricchi, quelli che hanno possibilità maggiori” mandano i figli a scuola prima e li fanno uscire dopo. E quando hanno lasciato la scuola, i giovani devono imparare le leggi perché non vivano a proprio arbitrio e a casaccio.

I primi governi dell’Italia unita dunque avevano una concezione classista della cultura e della scuola.
“Come già prima dell’unità, anche nei decenni seguenti continuarono quindi a mancare efficienti scuole elementari e post-elementari di primo grado. Soltanto a mezzo secolo di distanza dall’unificazione politica, nel decennio giolittiano, ci furono segni di mutamento” (p. 21).
Cresceva da una parte la coscienza della necessità di un’istruzione almeno elementare, dall’altra il bisogno di una mano d’opera più istruita. “Crebbe dunque l’attenzione per l’istruzione, e crebbe la relativa spesa pubblica”.
Furono costruiti molti edifici scolastici nuovi e anche i bambini delle classi più povere cominciarono a frequentarli.
“Ma il conflitto mondiale bloccò questo processo e le spese per l’istruzione si contrassero di nuovo. E non risalirono più fino alla nascita della Repubblica” (p. 22).
Infatti il governo Mussolini solo nei suoi primi anni (1922-1925) si pose il problema del riassetto e rilancio della scolarità attraverso il ministro Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo “come direttore generale dell’istruzione elementare”. Ma queste persone vennero rimosse nel 1925, mentre il fascismo si costituiva come dittatura.


continua



[1] G. Orwell, 1984, p. 219.

sabato 7 gennaio 2017

"Storia linguistica dell’Italia Repubblicana" di Tullio De Mauro. I parte


Ripropongo questa presentazione già presentata nel mio blog nel dicembre del 2014.

Tullio De Mauro
Storia linguistica dell’Italia Repubblicana
Dal 1946 ai nostri giorni
Editori Laterza, Roma-Bari 2014

E’ con emozione che mi accingo a presentare questo bel libro di Tullio De Mauro poiché nell’“Avvertenza” (pp. XI-XV) che precede il primo capitolo trovo il mio nome e il mio cognome situati tra quelli delle persone che l’autore menziona per “qualche consenso” e “i suggerimenti” ricevuti “in successive fasi di stesura”. Un riconoscimento molto generoso nei miei confronti, che ho fatto ben poco, ma l’ho fatto con impegno e con affetto per Tullio De Mauro il quale, con questo ringraziamento per un aiuto minimo, manifesta quella cavriς, quella gratitudine che è predicato della nobiltà di animo.

Il libro si apre con alcune epigrafi. Riporto quella tratta da Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani che è stato uno degli ottimi maestri della “meglio gioventù” della mia generazione: “E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli…E non basta certo l’italiano…Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere”, p. 96”
E’ un altro segno di nobiltà che un linguista raffinato come De Mauro, uno specialista di fama e prestigio internazionali, citi un dilettante sia pure santo e geniale, un prete che insegnava i rudimenti della lingua nostra a dei ragazzi di una campagna confinata e stretta tra i monti. Ma lo specialista e il dilettante hanno in comune la forza di un pathos morale, scaturito dalla volontà di ridurre e annullare l’ingiustizia delle disuguaglianze, da quella economica a quella linguistica che quasi sempre ne consegue: “In Africa, in Asia, nell’America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’essere fatti uguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell’umanità”
Il primo capitolo si intitola “1946: Vita nuova per un paese antico” (pp. 3-18). Vediamolo.
Con la caduta del regime fascista “tornarono a vivere i partiti e con essi parole vituperate quando non del tutto messe da parte: democristiano, liberale, socialista, comunista” (p. 10).
Questa censura sulle parole è segno di oppressione sulle persone, ed è uno degli aspetti odiosi della tirannide messo già in alto rilievo dalla letteratura greca classica, in particolare dalla tragedia e dalla storiografia ateniese del V secolo a. C.
La soppressione della parrhsiva è il primo segno della tirannide
Faccio un paio due esempi: nello Ione di Euripide il protagonista eponimo esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese il dono della libertà di parola, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che emigra in quella città, anche se di nome ne diventa abitante, ha schiava la bocca senza la parresía ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Analogo concetto si trova nelle Fenicie dello stesso autore, quando Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule: "e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.

Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.



continua

domenica 1 gennaio 2017

Twitter, CCLXVIII. Le feste comandate

Cesare Pavese
Le feste comandate


Delle sante feste comandate, feste della santa famiglia, ricordo con gioia 2 natali e 2 capodanni (inverni di gioie 1995-96 e 1999-2000) in cui le mie amanti sposate si rifugiavano nella latrina o nel garage  per telefonarmi furtivamente e sussurrarmi tante parole buone e belle. Ne ero felice. Non ho mai udito parole più dolci, gradite e profumate di quelle sospirate di lì.

“Val la pena esser solo per essere sempre più solo?” (Pavese) Risposta: sì, data la feccia dei più tra i  viventi. In questo primo giorno dell’anno mi trovo in casa coperto di cenci e mi tiene compagnia non tanto il gatto che mi fa da scaldino, né il cane pieno di zecche che mi fiata sulle mani quasi intirizzite e inabili a scrivere, quanto Aristofane che accresce la mia forza comunicativa con l'umanità superstite, la residua non feccia che vuole imparare cose nobili e antiche. I miei allievi e i miei lettori insomma.

Hanno trovato il farmakòs, il capro espiatorio: raddoppio dei rimpatri, (eufemismo per espulsioni). E i rimpatri dei nostri giovani emigrati? Più che i rimpatri degli emigranti venuti in Italia, ci stanno a cuore i rimpatri dei nostri giovani espulsi dall'Italia dei raccomandati e dei ruffiani. Basta con le ipocrisie  e le menzogne della televisione che corrompe un popolo intero!
Il Papa l'ha capito: abbiamo preferito la speculazione, ha detto, al lavoro dignitoso e abbiamo condannato i giovani all'emigrazione.

Questa notte ho sognato sacerdoti santi che invece del matrimonio celebravano l'adulterio e benedicevano la lussuria mie e delle  mie amanti nei loro riti sacri.

Una volta, con Augusto per esempio, si cercava il favore dei re, la gratia regum con la cultura, con l'arte, Pieriis modis, con le melodie delle Pieridi, che significa, per chi non lo sapesse, con la poesia; ora rimangono vicino alla greppia di Stato i tromboni onnipresenti che fanno strafalcioni bestiali come quelli che ho segnalato di recente senza alcun riscontro da parte dei denunciati, senza alcuna loro scusa per non essersi informati nemmeno su un Bignami. So di rischiare con tali denunce, ma continuerò a farle scrivendo e parlando, per rispetto dei miei non pochi lettori, dei miei ascoltatori, dei miei autori e del mio studiare con lena e con gioia.

Credo, scrivendo queste note e tenendo le mie conferenza, di essere forse piacevole o almeno non spiacevole e certamente non inutile, anzi utile, quindi di meritare omne punctum:
“omne tulit punctum qui miscuit utile dulci
lectorem delectando pariterque monendo” (Orazio, Ars poetica, 343-344)
Vi lascio il compito della traduzione. Buon anno!


giovanni ghiselli