Socrate |
Abbiamo messo in luce i nessi
esistenti tra poesia, filosofia, storiografia e amore. Sopra tutti quelli tra
poesia e filosofia.
L’anomalia del deinov~ Socrate.
Eppure nella Repubblica di Platone, Socrate manifesta la sua diffidenza nei
confronti di Omero e di tutta la poesia che non consista in “inni agli dèi” ed
“elogi dei buoni”, attaccando in particolare la Musa drogata (th;n hjdusmevnhn [1] Mou`san, 607) dei canti lirici o epici che insediano piacere e dolore nel
trono della città. Poi però il filosofo abbozza una scusa, dicendo che tra la
poesia e la filosofia c’è un’antica ruggine (palaia; mevn ti~ diaforav,
607b) e cita alcuni sberleffi dei comici nei confronti dei filosofi.
Platone critica anche gli agoni drammatici
frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da
poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano
peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d); di
conseguenza le càvee dei teatri
divennero, da silenziose, vocianti, e al posto dell’aristocrazia del
gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte
(701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia
generò l'impudenza (701b).
In genere i filosofi vengono
bollati dai poeti come morti di fame.
Socrate in primis.
Si pensi a come le Nuvole di Aristofane canzonano e
infamano con Socrate tutti i suoi seguaci che sarebbero stati brutti, sporchi e
cattivi.
Aristofane fa dire a Strepsiade
che nessuno degli uomini del pensatoio di Socrate per economia si è mai
fatto tagliare i capelli o si è unto il
corpo o è andato nel bagno a lavarsi:"oujd j eij" balanei'on h\lqe lousovmeno"" (Nuvole[2]
, v. 837). Il Coro degli Uccelli [3]
più specificamente qualifica Socrate come a[louto" (v. 1553), non
lavato.
Di Zenone stoico, Filemone nella commedia Filosofi scrisse: una strana filosofia è questo suo modo di
filosofare: un solo pane, un fico secco (ijscav~) per companatico, un
bicchier d’acqua. Costui insegna ad avere fame (peinh`n didavskei) e
cattura i discepoli (Diogene Laerzio VII 26).
I poeti e Socrate nel loro
rapporto con la natura.
La poesia, prima quella epca di
Omero poi la lirica, e successivamente, ancor più, quella ellenistica, in
particolare la teocritea, indugia a
descrivere il mondo naturale: "Non v'è giorno...che il poeta[4]
dimentichi d'osservare come il sole sorge e tramonta"[5].
Anche negli ultimi drammi, gli Uccelli
di Aristofane, le Baccanti di Euripide
e l’Edipo a Colono di Socrate, si
sente la voce della natura che si avvia a diventare il paradiso perduto
dell’uomo disgustato dalla civilizzazione ed escluso dalla politica.
Socrate invece si sente forestiero
rispetto alla natura. Nel prologo del Fedro
si scusa per questa insensibilità dovuta al fatto che il suo apprendere dipende
soltanto dai contatti umani: "Suggivgnwskev moi, w\ a[riste. filomaqh;" gavr eijmi: ta;
me;n ou\n cwriva kai; ta; devndra oujdevn m
j ejqevlei didavskein"(230d),
perdonami carissimo! Io infatti sono uno che ama imparare: la campagna e gli
alberi non vogliono insegnarmi niente.
La sofiva di Socrate è, a
detta di Platone, specialmente ajnqrwpivnh sofiva, sapienza
relativa all’uomo. Tw'/
o{nti ga;r kinduneuvw tauvthn ei\nai sofov~ (Apologia, 20d) in questa infatti io sono
probabilmente saggio davvero.
Nietzsche fa di Socrate il padre
della decadenza che consiste nel diffidare degli istinti, quindi anche del
mondo naturale.
Socrate sarebbe il nemico mortale
dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli
uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la
coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si
trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice-una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi
scorgiamo qui un mostruoso defectus
di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come
l’individuo specificamente non mistico,
in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto
eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[6].
Quest’idea non verrà rinnegata più avanti da Nietzsche come invece farà per
altri aspetti[7] di
questo scritto giovanile sulla nascita della tragedia. In Ecce
homo[8]
il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione
del fenomeno dionisiaco fra i
Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice di tutta
l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento
della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni
costo come violenza pericolosa che mina la vita!”[9].
E ancora: Socrate “era plebaglia.
Si sa, lo si vede ancora quanto fosse brutto”.
Socrate era un rinnegato dalla
natura.
Socrate con “la superfetazione del
logico e quella cattiveria del rachitico che lo contraddistingue”[10]
puntò sulla tragedia “l’unico grande occhio ciclopico…quell’occhio in cui non
arse mai la dolce follia dell’entusiasmo artistico”[11].
Egli nell’arte tragica vedeva qualche cosa di “assolutamente
irrazionale…inoltre il tutto era così variopinto e vario, che a un’indole
assennata doveva riuscire ripugnante mentre per le anime eccitabili e sensibili
era una miccia pericolosa”[12].
Socrate comprendeva solo la favola esopica, quindi indusse Platone, che voleva
diventare suo scolaro, a considerare l’arte tragica tra quelle lusingatrici, e
a bruciare tutta la poesia che aveva composto da giovane. Ma la necessità
artistica spinse questo discepolo di Socrate a una nuova forma d’arte: il
dialogo che avrà un seguito nella satira menippea e nel romanzo: “Il dialogo
platonico fu per così dire la barca in cui la poesia antica naufraga si salvò
con tutte le sue creature; stipate in uno stretto spazio e paurosamente
sottomesse all’unico timoniere Socrate, entrarono ora in un mondo
nuovo…Realmente Platone ha fornito a tutta la posterità il modello di una nuova
forma d’arte, il modello del romanzo,
questo si può definire come una favola esopica infinitamente sviluppata, in cui
la poesia vive rispetto alla filosofia dialettica in un rapporto
gerarchico…cioè come ancilla. Questa
fu la nuova posizione della poesia, in cui Platone la spinse sotto la pressione
del demonico Socrate. Qui il pensiero
filosofico cresce al di sopra dell’arte, costringendola ad abbarbicarsi
strettamente al tronco della dialettica. Nello schematismo logico si è chiusa
in un involucro la tendenza apollinea:
così in Euripide abbiamo dovuto constatare qualcosa di corrispondente, e
inoltre una traduzione del dionisiaco
nella passione naturalistica”[13].
CONTINUA
[2] Del 423 a . C.
[3] Del
414 a .
C.
[4] Omero ndr-
[5]Jaeger, Paideia 1, p. 11O.
[6] La
nascita della tragedia , p. 92.
[7] Hegeliani e schopenhaueriani
[8] Del 1888.
[9] F. Nietzsche, Ecce homo, p. 49.
[10] Crepuscolo
degli idoli, p. 13.
[11] La
nascita della tragedia , p. 93.
[12] La
nascita della tragedia , p. 93
[13] F. Nietzsche, La nascita della
tragedia, p. 95.
Giovanna Tocco
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