martedì 19 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 7


-tabescunt 81120): tabescere indica lo struggersi d'amore anche in Properzio (3, 6, 23) e in Ovidio (Met. 3, 445) Dalla stessa radice il sostantivo tabes, decomposizione e, il verbo greco, thvkw, sciolgo.
-vulnere caeco (1120): la ferita è cieca in quanto rimane priva di luce a chi intende l'amore quale appropriazione ed essa non dà luce come invece fanno i vulnera sanati dalla comprensione che, lo abbiamo detto, ci parlano come bocche non mute (cfr. il Giulio Cesare di Shakespeare) o fiorscono in tanta luce (cfr. Siddharta di Hermann Hesse) .
"Adde quod absumunt viris pereuntque labore/adde quod alterius sub nutu degitur aetas/languent officia atque aegrotat fama vacillans" (1121-1123), aggiungi che esauriscono le forze e si annientano con la fatica, aggiungi che la vita si consuma sottomessa ai cenni di un altro, nei doveri sei fiacco e la reputazione si ammala e traballa.
-absumunt viris (1121 ): è solo l'amore non contraccambiato, che, come un investimento improduttivo, provoca questa sensazione di illanguidimento; l'eros indirizzato sulla persona congeniale, viceversa, dà un senso di potenziamento, di vitalità rinnovata e di gioia.
-sub nutu (1122) probabilmente Leopardi ricorda questo passo scrivendo: "Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola/sei del tuo sesso a cui piegar sostenni/l'altero capo"[1].

Fama (1123): l'alta considerazione della fama è indizio dell'appartenenza alla civiltà di vergogna. L'innamorato invece è un ispirato che vede oltre le cose terrene e non si cura dell'opinione dei più.

"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat" (vv. 1123-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e usata beve sudore di Venere.
Labitur... res (1123): cfr. Sofocle, Antigone , 782: " [Erw", o}" ejn kthvmasi pivptei"", Eros che sulle ricchezze ti abbatti.
-Babylonica: nella nostra tradizione letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e smisurate.

Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez: "in un mercoledì di gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine babiloniche addestrate a trucchi immemorabili, e provviste di ogni sorta di unguenti e dispositivi per stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i voraci, esaltare i modesti, temperare i multipli e correggere i solitari"[2].

"Nei codici il nostro v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo del XVI secolo Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che ha il pregio di riferire Babylonica (come aggettivo sostantivato di difficile comprensione: "oggetti di Babilonia"?) a unguenta ( erano noti i profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie I, 195); l'inversione sarà stata provocata o facilitata dall'identica iniziale delle due parole languent e labitur . In fiunt il numero plurale (dopo il singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato "[3].
Erodoto racconta che a Babilonia hanno capellli lunghi cinti di mitre e sono profumati in tutto il corpo memuresmevnoi pa'n to; sw'ma (murivzw),
-rident (1125): la metafora trasferisce il sorriso dal volto della donna, o dell'amante, al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di Venere:" tibi rident aequora ponti " (I, 8) o del sole : “innumerevole sorriso delle onde marine”, Eschilo, Prometeo incatenato pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon gevlasma (88-89).
-grandes viridi cum luce zmaragdi (1126) : evocano le spese folli dell'amante innamorato, e, forse, occhi femminili tesi ad affascinare come quelli, già segnalati, della Carmen di Svevo. 
-thalassina : aggettivo, hapax , è formato su qavlassa, "mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il colore degli smeraldi o degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto rivolgere la battuta che Proust fa dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei messa degli occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!"[4].
potat (1128) : Lucrezio vuole indicare una bevuta laida, quasi una fellatio della vestis . "La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po- che ha dato come esito in greco pi-/po-/pw-, in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po)"[5].
"Et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, /interdum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt " (1129-113O), e il patrimonio dei padri onestamente acquistato diventano bende e copricapi, talora si cambia in pepli e in tessuti di Alinda e di Ceo".
-anademata : è una traslitterazione di ajnadhvmata, "bende", da ajnadevw=cingo.
-mitrae da mitra che traslittera mivtra, ed è un copricapo orientale, una specie di cuffia.
-pallam : è una sopravveste da donna, pure di origine greca.
-Alidensia : da Alinda, in Caria.
-Ciaque : "di Ceo nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone e poi Plinio (vd. nat. hist. 4, 62)- confonde qui con Cos, celebre perle sue stoffe"[6]. Sembra che l'amore provochi sperperi tesi a gratificare la sanguisuga amata.

Questo è detto esplicitamente nella tirata antifemminista dell'Ippolito di Euripide di alcuni versi della quale forse si è ricordato Lucrezio:" Quello che ha preso in casa la pianta perniciosa gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati kakivstw/////) ornamenti belli e si affatica intorno ai pepli, infelice (kai; pevploisin ejkponei'-duvsthno") , distruggendo la ricchezza della casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale distruttiva pianta dell'accecamento ("ajthrovn... futovn", v. 630) non è amore poiché l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano Nechljùdov scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse illuminato dal sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco di significato, perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era così"[7].

"Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ... " (vv. 1131-1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori.-"Eximia è ablativo concordato con il solo veste , ma si riferisce anche a victu ; veste varrà qui vestis stragula (a differenza di vestis al v. 1127), drappo per divani in stoffa evidentemente preziosa"[8].

Tutto lo sfoggio pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon, ma si può pensare anche a quello del Creso erodoteo) attira consensi che non appagano.
Una via di soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca: "qui domum intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram" (Ep. a Lucilio, 5, 6), chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre suppellettili.


CONTINUA




[1] Aspasia , vv. 89-91.
[2]Cent'anni di solitudine , p. 237.
[3]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
[4]La strada di Swann , p. 394.
[5] G. Ugolini, Lexis , p.369.
[6]I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[7] L. Tolstoj, Resurrezione (del 1899), p. 47.
[8]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.

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