venerdì 1 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro

F. Hayez, Lucretius

Lucrezio De rerum natura IV libro

La conoscenza e l’amore che è la catastrofe del IV libro, come la peste del VI.
Nei primi 25 versi Lucrezio ripete i versi di stampo alessandrino callimacheo presenti nel I libro (926-950). –verso chiave iuvat integros accedere fontis (2) e musaeo contingens cuncta lepore (9)
L’usus scribendi lucreziano è caratterizzato dall’iterazione di intere sezioni. Tasso lo ha imitato.
Dalle cose si staccano, quasi membranae, dei simulacra. Queste membranae staccate “dereptae volitant ultroque citroque per auras” (32) e colpiscono i nostri sensi, nelle veglie e nel sonno. In Epicuro ei[dwla (A Erodoto, 46) o tuvpoi simili agli oggetti solidi ma molto diversi leptovthsin, per sottigliezza. A volte immagini di morti ci atterriscono nei sogni. Sono tenui figure tenues effigiae emanate dai corpi quando erano vivi (42).
La membrana si può chiamare anche cortex, corteccia.
Le cose fanno come la legna che emana il fumo o le cicale che d’estate depongono le tuniche lisce cum teretes ponunt tunicas aestate cicadae (v. 58) oppure cum lubrĭca serpens- exuit in spinis vestem (60-61) e noi vediamo i cespugli adornarsi delle loro spoglie oscillanti.
Lucrezio è un osservatore della natura dalla quale ricava immagini belle che devono essere riferite, poiché per i concetti basterebbe Epicuro.
La lingua di Lucrezio presenta un forte tasso di iconicità, ossia di rappresentazione visiva.
I velari rossi, gialli o ferrigni posti sui grandi teatri quando ondeggiano al vento fanno trascolorate al riverbero del loro colore la scena le dignitose file dei senatori e la folla delle gradinate. Dentro tutte le cose sorridono asperse di gaiezza per la luce del giorno.
Le tele dunque irradiano colore e tutti i corpi scagliano (iaculantur. 86) cortecce. Tra l’altro queste uscendo dai corpi non si disgregano come il fumo. Sono tenues effigiae (105). I singoli atomi non possono essere percepiti e così molti simulacri. Quando vengono fermati da uno specchio i simulacri rifluiscono a noi. Quando si imbattono in rocce o legno si frantumano. Lucrezio vuole spiegarsi con versi soavi piuttosto che lunghi (180). I simulacri si spostano con grande velocità. Basta pensare alla luce delle stelle,
Le torri quadrate viste da lontano sembrano rotonde poiché i simulacri volando per ampi spazi vengono smussati dai frequenti assalti dell’aria (cogit hebescere cum crebris offensibus aer, 359).
Gli occhi non si ingannano nemmeno un poco. I sensi costituiscono il criterio della verità, la mente invece può dare l’interpretazione sbagliata.
Il sole a chi sta in mare sembra sorgere dalle acque e nell’acqua tramontatare. Lucrezio elenca una serie di illusioni ottiche. Ma non sono i sensi che falliscono. Dunque non bisogna togliere credibilità ai sensi. Ma gli errori avvengono “propter opinatus animi quos addimus ipsi” (465
I sensi colgono l’evidenza (ejnavrgeia, Epicuro a Erodoto 52)
Lucrezio polemizza con Socrate il quale diceva di sapere solo di non sapere (cfr. Fedra nell’Ippolito di Euripide).
 Costoro nettono il capo al posto dei piedi.
Troverai che dai sensi è stata trovata la nozione del vero neque sensus posse refelli (479), non si possono confutare. La ragione quae tota ab sensibus orta est (484) non può confutare i sensi. Essa ha origine tutta dai sensi, Se sono mendaci i sensi, anche la ragione è falsa. Crollerebbe non solo la ragione ma la vita stessa cadrebbe subito se tu non osassi fidarti dei sensi (506-7)
La voce e il suono che colpiscono i sensi sono di essenza corporea
Spesso la voce raschia la gola: “radit vox fauces saepe” (328)
La mobilis lingua verborum daedala articulat voces e le labbra le plasmano con la loro curvatura.
Al v. 555 c’è il corradicale articulatim, distintamente, suono per suono.
Articulo corrisponde al greco ajrqrovw.
L’eco è prodotto dal rimbalzo della voce. Ma gli uomini hanno favoleggiato di capripedes Satyri (580) e Ninfe e Fauni dal noctivago strepitu ludoque iocanti (582), poi di Pan che scuote i ramoscelli di pino del capo mezzo bestiale- pinea semiferi capitis velamina quassans (587)
e spesso con il labbro adunco percorre le canne forate- unco saepe labro calamos percurrit hiantis” (388) per suonare il flauto. Chi abita terre desolate si inventa tali mostra ac portenta (590) e iactant miracula (593), vantano miracoli.
Tutto il genere umano è avido di orecchie troppo aperte.
I simulacri vengono fermati dalle porte, le voci no: potis est voces accipere extra (611). Tuttavia un ostacolo può rendere le parole indistinguibili.

Quando con la bocca spremiamo il cibo, come se stringessimo una spugna, piena dì acqua (ceu plenam spongiam aquai) sentiamo il sapore. Il succo si insinua nei fori della lingua porosa. I corpora levia suaviter attingunt toccano dolcemente e danno un gradevole sapore. Quelli asperitate repleta invece pungunt sensum lacerantque (625)
Ciò che è cibo per gli uni per altri sarebbe acre veleno quod aliis cibus est aliis fuat (=sit) acre venenum (637). Il serpente, toccato da saliva umana, muore. Questo perché siamo composti da semina diversi e da diversi intervalli, canali e pori. Le malattie sconvolgono i corpi e commutantur ibi positurae principiorum (667), quindi le cose che prima andavano bene non vanno più bene.
Gli odori sono sentiti in modo diverso dai diversi viventi.
Le api sono attratte dall’odore del miele, quamvis longe (679) vultǔriique cadaveribus. I cani vengono attirati dagli zoccoli bisulci, e il candidus anser servator arcis humanum longe praesentit odorem (682). Un diverso odore (nidor) ad sua quemque pabula ducit (685) e lo induce a schivare il veleno. Eoque modo servantur saecla ferarum.
I principia degli odori sono più grandi di quelli della voce e non attraversano i muri di pietra, né si spingono lontano come i suoni.

Ci sono delle incompatibilità pure nelle visioni: i leoni fuggono davanti ai galli poiché nei loro corpi ci sono semina che entrati negli occhi dei leoni li lacerano-una credenza popolare riferita poi da Plinio il Vecchio in nat.hist 9, 52 e ripresa da Rabelais nel Gargantua e Pantagruel 1, 10-1564- Gli stessi semi non danneggiano le nostre pupille.

Girano anche simulacri particolarmente sottili dove vediamo Centauri, Scille e il ceffo canino di Cerbero e i fantasmi dei morti.
Aleggiani infatti simulacri di ogni specie (735 omne genus quoniam passim simulacra feruntur). Il centauro p.e. è dato dalla crasi dell’immagine di un cavallo e di un uomo. Nel sonno i simulacri visti da svegli stimolano il nostro animo e così ci appaiono i morti. La memoria languisce nel sopore languet sopore e non ricorda la morte di quelle persone. Questi simulacri sembrano muoversi perché ci arrivano moltissime immagini ferme, ma in positura diversa. Queste immagini si succedono molto velocemente celeri ratione- 773. Dei tanti simulacri che si presentano la mente vede solo quelli cui presta attenzione, si perdono tutti tranne quelli cui l’animo è predisposto.
L’attesa dell’immagine, il desiderio di lei, predispone a vederla.
Così avviene anche con gli oggetti nella veglia: “animus cetera perdit-praeterquam quibus est in rebus deditus ipse” (815), perdiamo quello cui non ci dedichiamo.
Gli organi e le membra non li ha fatti l’uso ma sono le membra che hanno fatto l’uso-quod natum est id procrĕat usum (835) e i mezzi dell’uso.
 Le membra esistevano prima dell’impiego: la lingua precedette di molto il parlare.
Dunque essa non fu formata causā utendi (842) con il fine dell’uso.
Detto in polemica con il finalismo degli Stoici e di tutte le scuole non meccanicistiche e non materialistiche.
Gli uomini si ammazzavano ante fuit multo quam lucida tela volarent (845) e bevevano anche quando non c’erano i calici
Le stesse membra precedono la nozione della loro utilità.

Il cibo serve a compensare quello che perdiamo. Serve ut amorem obtūret edendi (869) deve tappare il desiderio di mangiare. Così si sazia la ieiuna cupido (876).
Altro argomento: come ci muoviamo: tu percĭpe dicta (880)

La mente pre-vede l’immagine di quell’atto, quindi passa l’impulso all’anima la quale stimola le membra che si muovono.

CONTINUA

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