giovedì 7 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 3

Lysippe, Eros incorda l'arco, IV sec. AC

Procediamo nel IV libro del De rerum natura dove troiamo un'antologia di tutti i tovpoi negativi su Eros: dall' amore follia, all'amore possesso, all'amore bruciore, all'amore guerra e ferita:" Etenim potiundi tempore in ipso/fluctuat incertis erroribus ardor amantum/nec constat quid primum oculis manibusque fruantur./Quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem/corporis et dentis inlidunt saepe labellis/osculaque afligunt, quia non est pura voluptas/et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum/quodcumque est, rabies unde illaec germina surgunt " (vv.1076- 1083), In effetti, nel momento stesso del possedere, fluttua tra ondeggiamenti incerti l'ardore degli amanti né sanno di che cosa prima godere con gli occhi e le mani. Ciò cui hanno aspirato premono stretto e provocano dolore al corpo e spesso affondano i denti nelle labbra e infliggono baci, poiché non è puro il piacere e ci sono sotto dei pungoli che stimolano a ferire quello stesso oggetto, qualunque esso sia da dove sorgono quei germi di furia.
In potiundi (genitivo del gerundio di potior, arcaico per potiendi) c'è quella negativa volontà di possesso che inquina l'amore il quale nella forma sana è desiderio di vedere il potenziamento, non la sottomissione dell'amato.
L' eros positivo "si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d'amore. Questi sono: la premura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza ...Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo… Cura e interesse implicano un altro aspetto dell'amore: quello della responsabilità...la mia risposta al bisogno espresso o inespresso di un altro essere umano. Essere "responsabile" significa essere pronti e capaci di "rispondere". Giona non si sentiva responsabile degli abitanti di Ninive. Egli, come Caino, poteva domandare:"Sono il custode di mio fratello?". La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo"[1].-

- fluctuat incertis erroribus ardor amantum (v. 1077): il poeta applica agli amanti in genere la metafora nautica con la quale diversi autori greci raffigurano la città che, sconvolta dalla guerra civile, è come una nave travagliata dai flutti. E' uno dei tovpoi letterai più diffusi nella letteratura europea[2].
 Cacciari vede l'antitesi di questo fluttuare della polis degli uomini nella stabilità della casa e della famiglia voluta dalle donne.
"La commedia di Aristofane ha gettato uno sguardo profondo sul carattere, tragico, di tale relazione. Arduo è per le donne l'"éxodos", l'uscir-fuori (Lisistrata -del 411- , 16), il loro luogo è "dentro" (510, 517).
Se si decidono finalmente ad 'uscire' è per convincere la polis all'ordine dell'interno'. E cioè per fare di essa un oikos-anzi non solo della polis, ma dell'intera Ellade. "Ma voi come pensate di far cessare tutta questa confusione, di risolvere questi affari?", chiede a Lisistrata il probulo. Semplicemente trattando le cose della polis come la nostra lana, risponde la donna, tendendola, sbrogliandola.

 E Prassagora nelle Ecclesiazuse:"Voglio fare della città una casa sola (mivan oi[khsin), abbattendo tutti i muri, così che si possa andare dall'una all'altra" (Ecclesiazuse -del 392-, 673-674). Gli uomini fanno la guerra, dilapidano, pensano a prendere e basta, inseguono cariche, chiacchierano insopportabilmente nell'agorà. Impossibile pace finché comanderanno le loro leggi. La polis, anche quando le cose funzionano, non sta bene "se non escogita qualche novità (ti kainovn)" (Ecclesiazuse, 218-220); l'ordine dell'oikos, invece, è totalmente estraneo a tentativi ed esperimenti (koujci; metapeirwmevna"-i[doi" a]n aujtav"[3], 217-218).

 Finché esisteranno remi e triremi, e finché vi sarà denaro per armarle, non vi sarà tranquillità dice la spartana Lampitò (Lisistrata, 172-174); finché lo Stato sarà una nave, vivrà agitato come Ulisse "kuvmasi kai; polevmw/"[4]. Le donne di Aristofane lo sanno come lo sa la tragedia"[5].

"Ardor amantum è clausola allitterante dopo la dieresi bucolica. Al v. 1078 (quid...fruantur ) la costruzione di fruor con l'accusativo (invece dell'ablativo) è arcaica (si trova, per esempio, in Catone il Vecchio e in Terenzio)"[6]. Si può forse aggiungere che quando l'ardor è potente come quello di Leandro, viene spento dall'ondeggiare del flutto non prima della vita dell'amante. Il verbo fruor rende non solo l'idea del godimento ma anche quella dell'uso. Arte con la -e lunga è avverbio da artus -a-um.- Dentis (=dentes)… inlidunt labellis al v. 1080, fa riferimento ai morsi d'amore che gli amanti si scambiano (le molles morsiunculae , "morsettini" sui teneri labelli di Plauto, Pseudolus , v. 67; cfr. Catullo, carme 8, v. 18: Quem basiabis? cui labella mordebis? ); ma qui la scelta del verbo inlidere (da in+laedo ; il verbo semplice torna al v. 1082) sottolinea la violenza irrazionale dell'atto, e labellis serve proprio a rilevare il contrasto fra la situazione amorosa (cui il diminutivo affettivo è funzionale) e l'impulso violento che spinge, invece, a far male"[7]. Questo mordere e il successivo adfligunt (lezione di O concorrente con afigunt di Q) rendono l'idea dell'ostilità degli amanti intrecciati da tale voluptas non pura. Il mordere durante la copula erotica corrisponde alla volontà di impossessarsi di qualcosa dell'altro, all'amare wJ" luvkoi a[rna" ajgapw'sin (Fedro , 241d) s'è detto. Già nell'inno a Venere del proemio ci sono avvisaglie della violenza dell'amore dove gli uccelli del cielo sono "perculsae corda tua vi" (I, 13), colpite (da percello) nel cuore (corda è accusativo di relazione) dalla tua forza. Ma lì si tratta appunto di aeriae…volucres (I, 12). "Nell'uomo (per ora assente nel proemio) all'istinto naturale dell'accoppiamento s'unisce perniciosamente la passione psicologica, il che non avviene negli animali"[8].
 Secondo Lucrezio ogni forma di eros che non sia controllato dalla ratio è malsana e contaminata dalla violenza, dal dolore, dall'angoscia. "Rabies è una forma alternativa di genitivo per rabiei; la passione erotica è vista espressamente come rabies o furor (v. 1117). Rabida è detto talora della libido (specie femminile)"[9] . "In più occasioni Lucrezio consegue effetti di alta espressività e di vero e proprio espressionismo incentrato sulla violenza e ostilità dei due sessi"[10].
Procediamo con la lettura del poema di Lucrezio:"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque refrenat morsus admixta voluptas./Namque in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui quoque posse ab eodem corpore flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque res haec est, cuius quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine pectus./ Nam cibus atque umor membris assumitur intus;/quae quoniam certas possunt obsidere partis, /hoc facile expletur laticum frugumque cupido " (IV, 1084-1093), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore e il piacere carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera, che da dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la fiamma. Ma la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola cosa di cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama tremenda. Infatti il cibo e i liquidi vengono assunti dentro le membra dal momento che essi possono occupare determinate parti, perciò facilmente si sazia la brama di liquidi e cibo.
Da frangit si vede che anche il carezzevole alleviamento dei tormenti è traumatico siccome la voluptas è admixta, quia non est pura (v. 1081) non è integrale ma è mischiata di dolore.


CONTINUA



[1]E. Fromm, L'arte d'amare , p. 43.
[2]Per una spiegazione e breve rassegna di tale metafora e allegoria vedi il mio commento all' Antigone , Loffredo 2001, pp. 62-63.
[3] Non potresti vederne una che tenti qualche novità, sostiene Prassagora. Subito prima aveva usato la metafora nautica:"to; de; koinovn w{sper Ai[simo" kulivndetai" (Ecclesiazuse, v. 208), lo Stato invece beccheggia , come Esimo. Questo era probabilmente uno zoppo in vista.
[4] Tra le onde e la guerra.
[5] L'arcipelago, p. 41.
[6]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 51.
[7]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 52.
[8] Conte, Scriptorium classicum 5, p. 16.
[9]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 52
[10] Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di Ivano Dionigi, p. 409.

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