domenica 3 dicembre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. XV parte

Atene


Dioniso ricorda che i giudici popolari dissanguavano l’erario.
Plutone gli fa fretta perché decida.
Euripide gli ricorda che gli ha giurato amicizia
Allora Dioniso ricorda un mezzo verso dell’Ippolito (612): hJ glw'tt j ojmwvmok j, la lingua ha giurato (hJ de; frh; n ajnwvmotoς)
Dioniso invece conclude Aijscuvlon d j aiJrhvsomai, ma sceglierò Eschilo.
Cicerone traduce iuravi lingua, mentem iniuratam gero” (De officiis, III, 29, 107).
Eur si infuria e giudica ai[sciston l’ e[rgon di Dioniso il quale cita mezzo verso dell’Eolo di Euripide: che cosa è turpe se non sembra agli spettatori? (1476)
Euripide non vorrebbe rimanere morto nell’Ade e Dioniso cita un verso del Poliido (fr. 638) “tivς d’ oi\den eij to; zh'n me; n ejsti katqanei'n”, 1477 che continuava to; katqanei'n de; zh'n kavtw nomivzetai; chi sa se il vivere è essere morto e l’essere morto laggiù è considerato vivere?
Plutone offre il viatico a Dioniso ed Eschilo, mentre Euripide torna tra i morti.
Il Coro canta proclamando beato chi ha l’intelligenza acuta, Eschilo torna ad Atene per il bene di tutti perché è intelligente.

Un topos relativo all'intelligenza è quello che condanna la stupidità, connessa spesso all'empietà: si trova espresso chiaramente nell'Agamennone[1] di Eschilo dal protagonista che esita a calpestare il tappeto di porpora: " to; mh; kakw'" fronei'n-qeou' mevgiston dw'ron[2]" (vv. 927-928); quindi nell'Antigone[3] di Sofocle le cui parole conclusive, del Coro, ovvero dell'autore che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione"[4], contengono la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej" qeou; " mhde; n ajseptei'n)" [6]. Lo stesso Creonte, che pure non incarna il pensiero di Sofocle, alla fine lo capisce: "mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo.
“La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia”[7].
Nelle Troiane, la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me; n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400)
Luogo simile nelle Baccanti[8] di Euripide[9]: " Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n-kavlliston"), e credo che questo sia anche il bene/più saggio per chi sa farne uso (vv. 1150-1151).
Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo; n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene è la saggezza.
 "La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[10].
Capire significa anche amare.

Alla fine delle Rane di Aristofane c'è un makarismov" dell'intelligenza benefica grazie alla quale Eschilo potrà tornare sulla terra: "makavriov" g j ajnh; r e[cwn-xuvnesin hjkribwmevnhn: -pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de ga; r eu\ fronei'n dokhvsa"-pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j ajgaqw'/ me; n toi'" polivtai", -ejp j ajgaqw'/ de; toi'" eJautou'-xuggenevsi te kai; fivloisi, -dia; to; sunetov" ei\nai" (vv. 1482-1490), beato l'uomo che ha intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da molti segni. Questo qui che si è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il bene dei cittadini, per il bene dei suoi parenti e amici, perché è intelligente.
Il Coro aggiunge che è bella cosa non stare seduti con Socrate a cianciare (lalei'n) disprezzando la musica e trascurando il meglio dell’arte tragica con sottigliezze di ciarle. Cfr. La nascita della tragedia di Nietzsche.
Subito dopo Plutone dà a Eschilo in procinto di tornare ad Atene l'incarico di educare gli stolti che sono tanti: "paivdeuson-tou; " ajnohvtou": polloi; d j eijsivn" (vv. 1502-1503) e indica il pubblico. Poi gli dà una spada per Cleofonte, un capestro toi'si poristai'ς per i funzionari delle tasse, procuratori di fondi pubblici, la cicuta per un Archenomo sconosciuto.
Infine, tra quelli attesi con urgenza, Plutone nomina Adimanto responsabile della disfatta di Notio del 407 e futuro traditore della patria ad Egospotami nel 405 (cfr. Canfora che lo paragona a Gorbaciov[11]).
Eschilo lascia il suo seggio a Sofocle e raccomanda che non vi si segga mai Euripide: panou'rgoς ajnhvr kai; yeudolovgoς kai; bwmolovcoς, farabutto, impostore e buffone
Plutone ordina al Coro di disporsi in corteo per accompagnare Eschilo
Il Corifeo augura ogni bene ad Atene, e a Cleofonte invece di andare combattere in Tracia, nei campi della sua patria (1533)

Appendice
Auerbach in Mimesis (1946) scrive che nella letteratura antica c’è la legge della separazione degli stili, per cui la pittura realistica del quotidiano trova posto solo nel comico, o, tutt’al più nell’idillico.

Pirandello, Saggio su l’Umorismo. L’uomo che cerca di ribellarsi invano al suo destino è come la lumaca che “gettata nel fuoco sfrigola e pare ridere, invece muore”. Così Atene muore nell’amara risata di Aristofane.



FINE



[1] Del 458 a. C.
[2] Il non capire male/ è il dono più grande di dio.
[3] Del 442.
[4]Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il conte di Carmagnola.
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità morali", G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie e forme della letteratura greca, p. 281.
[6] Vv. 1347-1349.
[7] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 30.
[8] Rappresentate postume
[9] 485 ca-406 a. C.
[10] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.
[11] Il tradimento di Adimanto.
Su questo tradimento, vero o presunto, interviene, in maniera interessante e degna di essere riferita, Canfora, stabilendo un'analogia: "Agli Ateniesi, stanchi per il conflitto con Sparta, Pericle insegnava, parlando all'assemblea, una grande verità geopolitica: "Non si può fuoriuscire dall'impero". E con la crudezza concettuale da cui non era alieno soggiungeva che "l'impero è tirannide", che "può sembrare ingiusto difenderlo, ma certo è altamente rischioso lasciarlo perdere" (Tucidide, II, 63). Alla fine l'impero, durato poco più di settant'anni, fu perso grazie anche a quegli strateghi (uno si chiamava Adimanto) che nella battaglia decisiva di Egospotami, "tradirono-come allora si disse-le navi" (Senofonte, Elleniche, II, 1, 32; Lisia, XIV, 38). Per una curiosa combinazione storica anche l'impero sovietico è durato circa settant'anni. L'accostamento di Stalin a Pericle darà qualche disagio (quantunque sulla grandezza dello statista georgiano insistano ormai studiosi non bigotti, quali Michael Heller e Sergio Romano): è forse più agevole, pur nella spericolatezza propria delle analogie, riconoscere a Gorbaciov il ruolo mediocre e vituperato di Adimanto" Pensare la rivoluzione russa, p. 54. 

Nessun commento:

Posta un commento

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...