venerdì 8 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 4

Franco Murer, Amanti


L'orgasmo di una ragazza toccata dal suo ragazzo viene descritto da Giuseppe Berto come qualcosa di simile a una frattura in una pagina che contiene qualche eco lucreziana: "mentre in lei avveniva un che di poco chiaro come una specie d'irrigidimento cedevole o di cedevolezza contratta e smetteva anche di dire le parole tenere inquantoché si teneva le labbra a morsi forse temendo di mettersi a gridare e quindi respirava col naso sempre più frequentemente e in ultimo dopo una rottura piena di brividi gli diceva basta..."[1].

In flammam (v. 1087) torna l'immagine topica che abbiamo trovato tante volte con l'indicazione dell'illogicità della speranza che l'esca della fiamma, il corpo desiderato. possa spengere lo stesso fuoco suscitato da lui. Di fatto l'amore non è logico: può essere al di sopra o al di sotto della logica, ma puramente logico non è.
Lo ha chiarito Socrate nel Fedro platonico.
In dira cuppedine (forma arcaica di cupidine, v. 1090) torna la terribilità della brama già denunciata al v. 1046. E' il tovpo" dell'amore tremendo, deinov", che è davvero tale quando è ostacolato come quello, già visto, di Ero (Ero e Leandro, v. 245) o non è contraccambiato, come quello dell'Ermengarda manzoniana:"Amor tremendo è il mio"[2].- Assumitur intus (v. 1091): la differenza tra il cibo che si mangia, o i liquidi che si bevono, e il corpo dell'amante è che questo, a meno di essere cannibali, non può essere inghiottito, anche se certe persone nei rapporti umani appaiono voraci. La trasfusione possibile e accrescitiva è solo quella delle anime.

Dimitri Karamazov: "questo amore mi tortura, mi tortura!... Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[3].
 Esiste una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, e quindi, dentro il contesto, può far pensare a una "cinica autoironia"[4] del narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni mortali. così io cominciai a morire.
Si tratta di una mezza nottata di amore tra Encolpio e Gitone che però viene sottratto a Encolpio da Ascilto iniuriae inventor…oblitus iuris humani (79)
Anche quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa costituiscono la forza e la coesione inscindibile della coppia.
Nell'Andria di Terenzio Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
Del resto il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
Similmente Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale... L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[5]. Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[6].

Secondo Lucrezio gli amanti possono introiettare soltanto simulacra... tenuia (vv. 1095-1096), simulacri sottili che si staccano dal corpo bramato ma con questi non si saziano, come un assetato che nel sonno crede di bere non si disseta:"Ex hominis vero facie pulchroque colore/nil datur in corpus praeter simulacra fruendum/tenuia; quae vento spes raptast saepe misella./ Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit et umor/non datur, ardorem qui membris stinguere possit,/sed laticum simulacra petit frustraque laborat/in medioque sitit torrenti flumine potans…" (vv. 1093-1100), ma dell'aspetto e dell'incarnato bello dell'essere umano nulla è concesso da godere dentro il corpo, se non simulacri sottili; speranza meschina che spesso viene involata dal vento. Come quando chi ha sete nel sonno cerca di bere, e non gli è concessa l'acqua che possa spengere l'ardore del corpo, ma si lancia su simulacri di liquidi e si affanna per niente, e mentre beve in mezzo a un fiume che scorre, ha sete.-simulacra: sono le membrane impalpabili che si staccano dai corpi e colpiscono la nostra percezione visiva. Il termine greco corrispondente è ei[dwla.-tenuia:" trisillabico, con -u- semiconsonantico, che chiude la prima sillaba, allungandola. Nel risalto datogli dall'enjambement, dice anche la delusione dell'amante: ciò di cui si può appropriarsi veramente (frui) sono solo immagini sottili e inconsistenti"[7].

La vita umana come ombra e sogno.
Non è l'uomo comunque sogno di un'ombra? E' questa una considerazione che va da Pindaro:" skia'" o[nar/a[nqrwpo""[8]; a Sofocle che nell'Aiace fa dire a Ulisse, preso da rispetto e compassione per il nemico precipitato nella follia :" JOrw'' ga;r hJ ma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n-ei[dwl j, o{soiper zw'men, h] kouvfhn skiavn "(vv.125-126) vedo infatti che non siamo altro che larve, quanti viviamo, o muta ombra; a Shakespeare nel Macbeth fa dire al protagonista prossimo alla fine:"Life's but a walking shadow; a poor player, That struts and frets his hour upon the stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifyng nothing" (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena nella sua ora e poi non se ne parla più: è la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di furia, che non significa nulla.
Prospero nella La tempesta (del 1612) conclude :" We are such stuff/as dreams are made on; and our little life/is rounded with a sleep", Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1).

"Fu nel Rinascimento-le utopie lo dimostrano-, che l'uomo cominciò nuovamente a sognare se stesso, a fantasticare sul suo essere, e ridestò il dubbio, l'angoscia, il sogno riguardo al proprio destino. Più tardi, nella Controriforma, l'inquietudine metafisica sarebbe stata rimodellata in forma ortodossa affermando che la vita è sogno"[9].


CONTINUA




[1]G. Berto, La cosa buffa , p. 79.
[2]Adelchi , atto IV.
[3]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880), p. 709.
[4] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 178.
[5]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 163 del Tomo Quarto.
[6] Una vita , p. 208.
[7] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 53.
[8] Pitica VII, vv. 95-96.
[9] Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p. 139. La vida es sueño (1635) è il capolavoro di Calderòn de la Barca (Madrid 1600-1681).

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