giovedì 14 dicembre 2017

Ifigenia. La bruna, la bionda e Ifigenia callipigia

La bruna, la bionda e Ifigenia callipigia

Intanto sulla pista dello stadio era apparsa una ragazza mora. L’avevo notata nella mensa del collegio per la sua diversità dallo stile della feccia triviale: non posava, non aveva nulla di artificiale, sapeva ascoltare. Camminò per qualche secondo, poi cominciò a correre. Procedeva regolarmente, con metodo e con efficacia, senza alcuna affettazione, nonostante i suoi passi facessero venire in mente una danza.
“Segno di testa che funziona. Ifigenia dovrebbere correre con serietà: migliorerebbe il suo stile esercitando una disciplina severa sopra se stessa. Una volta invece, nella pista del campo scuola di Pesaro cominciò a saltellare con movimenti confusi, disordinati e dopo un solo giro sgangherato, esibitòrio delle natiche pur sempre belle, la callipigia si lasciò cadere sull’erba del prato maledicendo la fatica e, credo, anche me che gliel’avevo raccomandata”. Questo pensai.
Osservavo la traccia di luce lasciata dal sole. I rami e le foglie segnavano di linee scure e di figurine verdi il rosso vivo lasciato dalla sfera divina che da sotto l’orizzonte illuminava ancora tutti i colori: da quelli variegati della grande cupola celeste, alle chiome brune brune della ragazza che proseguiva compostamente sopra la pista, rossastra questa come i campi da tennis adiacenti. Il creatore luminoso e rotondo, manifestandosi anche durante il riposo, offriva ai mortali gli aspetti della sua fantasia variopinta.
“Dio è lo slancio del fuoco infaticabile, Dio è la radice del mare. E delle ragazze” pensai.
La bruna, come si accorse che la guardavo, mi salutò con un sorriso espressivo, bello come i movimenti armoniosi del suo corpo agile e snello.
I denti bianchissimi appena scoperti mandavano lampi.
Mi sentivo bene, del tutto a mio agio.

Era più piacevole rimanere lì a osservare, a riflettere, che andare nella mensa afosa a mangiare, a cercare accordi per uscire, magari con quella finlandese grassa e imbecille che mi aveva avvicinato due giorni prima: posava a intellettuale dicendo che detestava correre poiché le sembrava un esercizio più rozzo del necessario, quasi violento; lei preferiva leggere o passeggiare nei boschi osservando le farfalle, i bruchi e raccogliendo i mirtilli. Avevo pensato che se li mangiava conditi con chili di panna zuccheratissima, dato l’accumulo inverecondo di adipe nella sua vita, Ogni risultato pregevole richiede impegno e disciplina. Gli dèi davanti al valore hanno posto il sudore. La snellezza è un valore, non proprio sublime ma nemmeno trascurabile. L’obesità è una porcheria anche mentale. E’ roba da pòrci dal grugno instancabile.
Nel prato erboso interno alla pista alcuni ragazzi giocavano a calcio, nei campi da tennis volavano le palle di gomma pelosa da una parte all’altra della rete. Visioni rotonde. Pensai di nuovo al sole, quindi alla Verità di Parmenide.
Alla ragazza mora che continuava a correre con forza e disciplina si aggiunse una bionda, meno ordinata. In ogni caso i seni rotondi di entrambe sobbalzavano regolarmente sotto le maglie leggere.
La sfera solare faceva salire un altro poco di luce dal nido dov’era calata. Allora vidi la similitudine, la parentela di tutte le cose  tra loro, dell’intera natura con se stessa, e ne amai la bellezza della quale mi sentivo partecipe, gioiosamente. Dio è la radice di questo spettacolo bello, Dio è l’ottimo artista creatore di tali capolavori. Ifigenia che aveva i seni, le cosce, i glutei più belli di tutte le altre, pure se non scriveva, pure se non era disciplinata, aveva una funzione estetica, abbelliva la vita mia.
Sul quaderno scrissi: “tu bella sei bella. Sei Venere callipigia in sembianze umane”.
La bionda smise di correre e dalla pista mi domandò in ungherese se stessi studiando la sua lingua.
“No, scrivo, “ risposi
“Che cosa?”
“Una storia”

Sintenticamente e in maniera generica non per fastidio e scortesia, ma per la difficoltà della lingua magiara, un idioma strano davvero, dalle radici tutte incomparabili con le nostre europèe.
“Che cosa cerchi qui a Debrecen?” domandò ancora la ragazza bionda, poi aggiunse: “ti ho già visto una volta, anni fa”
Mi venne in mente chi era: un’autoctona curiosa degli Occidentali.
Anni prima probabilmente avrei risposto: “ cercavo una ragazza carina e l’ho trovata, se vuoi, se mi vuoi”.
In effetti era belloccia e simpatica, se non altro perché correva, e di me aveva notato una penna e un quaderno, stimmate buone, non l’automobile decapottabile.
Ma quella sera pensavo che avesse ancora valore il patto di fedeltà con Ifigenia, un foedus aequum, speravo.
Sicché risposi: “cerco il mio passato, il significato dei miei vent’anni”
Rimase ferma un momento, poi, vedendo che riprendevo a scrivere, gridò: “buon lavoro”
“Buona corsa”, risposi. Ricominciò a correre inseguendo la bruna
Il cielo intanto si era fatto un po’ grigio, e non erano nemmeno le otto, con l’ora legale
“L’estate è finita”, pensai
Gli uccelli però cantavano lieti, imprevidenti dell’autunno, oramai non lontano. Ifigenia era come loro, improvvida, forse anche peggio: neghittosa, dissoluta, incapace, però ancora lieta e molto attraente.
Il cielo si faceva sempre più grigio e una leggera caligine toglieva chiarezza alle cose. Le due ragazze non c’erano più.


giovanni ghiselli 13 dicembre 2017.

p. s.
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