mercoledì 13 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 5

Vincent Van Gogh, Il vento
-vento (1096): si ricorderà che nel carme 70 di Catullo il vento costituisce, insieme con l'acqua[1], la materia instabile su cui non si possono scolpire le parole di devozione e fedeltà di Lesbia per il poeta innamorato.
L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle in un frammento (811 Pearson): "o{rkon d& ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw", giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua. E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma: "ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn e[rwti-oJvrkou" mh; duvnein ou[at j ej" ajqanavtwn" (A. P. V 6), ma dicono il vero che i giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali.
 Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium et mutabile semper/femina ", come aveva già detto Virgilio [2].
L'Arianna dei Fasti[3] toglie fiducia a tutti gli uomini:"dicebam, memini, " periure et perfide Theseu" :/ille abiit; eadem crimina Bacchus habet: /nunc quoque "nullo viro" clamabo " femina credat " (Fasti , III, 475-477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": / quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo".

-umor: etimologicamente imparentato con uJgrovth", umidità e uJgrov" , umido. Nella tragedia greca la polvere, che deriva dalla mancanza di umido, è segno di sterilità, un simbolo ripreso da T. S. Eliot.
"sic in amore Venus simulacris ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus quicquam teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore toto./Denique cum membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus/atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde abradere possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere interdum velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (IV, vv. 1101-1114), così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come, congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo pregusta il piacere e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina, inchiodano avidamente il corpo e mescolano le salive della bocca, e ansimano premendo coi denti le labbra, invano poiché di lì non possono raschiare via niente, né penetrare e sparire nel corpo con tutto il corpo, infatti sembrano talvolta volere farlo lottando: a tal punto sono avidamente attaccati nei lacci di Venere, mentre le membra sdilinquite dalla violenza del piacere si struggono.-corpora coram (1101) "nota la clausola allitterante e fortemente assonante, dopo la dieresi bucolica...Teneris abradere membris è di nuovo una iunctura ossimorica (vedi sopra: vv. 1080-1081), in cui si uniscono un verbo connotato di violenza e un epiteto (teneris) indicante delicatezza e affettività (come, al v. 1080, labellis ). L'insistenza sull'impotenza degli amantes a raggiungere la soddisfazione (nec...queunt...nec possunt), cui così freneticamente aspirano, genera la consueta reazione mista di pietà e derisione"[4].

Vorrei aggiungere un mio contributo comparativistico: ne Il castello di Kafka viene descritta una copula del genere per denunciare l'impossibilità o l'impotenza dell'amore tra K. e Frieda:"poiché la seggiola era accanto al capezzale, vacillarono e caddero sul letto. E lì giacquero, ma non con l'abbandono di quella prima notte. Lei cercava qualcosa, e lui pure, e ciascuno, furente e col viso contratto, cercava, conficcando il capo nel petto dell'altro: né i loro amplessi né i loro corpi tesi li rendevan dimentichi, ma anzi li richiamavano al dovere di cercare ancora; come i cani raspano disperatamente il terreno, così essi scavavano l'uno il corpo dell'altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare un'ultima felicità, si lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso. Solo la stanchezza li pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi sopraggiunsero le due serve. "Guarda quei due sul letto" disse l'una, e per compassione li coprì d'un lenzuolo"[5].

Membris collatis (1105) è ablativo assoluto con il participio di confero. In questa espressione c'è l'idea di un corpo a corpo ostile (cfr. arma, manum, pedem, signa conferre nel senso di ingaggiare il combattimento).
- Flore fruuntur è clausola allitterante dopo la dieresi bucolica"[6].-
Eost=eo est.
-Ut muliebria conserat arva (1107): "Per rendere efficace e visibile la dinamica del rapporto sessuale, Lucrezio non rifugge da immagini potenti e crude, prese a prestito dall'agricoltura"[7]. Per questa immagine metaforica cfr. la scheda "assimilazione della donna alla terra"[8].-
1109 oris… ora la ripetizione: "è inutile per il senso, ma permette la raffinatezza del poliptoto a cornice (oris... ora)"[9].
-nequiquam (1110): "la pesante parola, che costituisce un molosso (una sequenza, cioè, di tre sillabe lunghe) ed è collocata nel risalto della sede iniziale davanti a cesura semiternaria, non lascia scampo alle illusioni degli amantes "[10]. Lo stesso avverbio sesquipedale si ripete al v. 1133.
-in corpus corpore (1111): il poliptoto a contatto è espressivo del desiderio simbiotico dei due amanti, ma la simbiosi non è amore:"In contrasto con l'unione simbiotica, l'amore maturo è unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità"[11].-
certare videntur (1112): la volontà simbiotica include quella di lottare per la sopraffazione poiché ognuno dei due vuole essere l'elemento predominante e un rapporto alla pari non è possibile siccome anche le relazioni erotiche, come tutte quelle umane, se non vengono corrette dalla moralità, sono connotate dalla legge del più forte che sottomette e sfrutta chi è più debole.

Abbiamo già sentito Tucidide (V, 105, 2) per la sfera politico-militare, ora diamo la parola a C. Pavese per quella più genericamente umana e più specificamente amorosa: "Tipologia delle donne: quelle che sfruttano e quelle che si lasciano sfruttare... Le prime sono melliflue, urbane, signore. Le seconde sono aspre, maleducate, incapaci di dominio di sé. (Ciò che rende villani e violenti è la sete di tenerezza.) Tutti e due i tipi confermano la impossibilità di comunione umana. Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli"[12].



CONTINUA




[1] Del resto Catullo attribuisce la medesima malafede alle femmine umane, in particolare alla sua amante, e forse Teseo che abbandona Arianna ai suoi occhi rappresenta il vendicatore delle infedeltà da lui stesso subite dalla propria donna :" Nulli se dicit mulier mea nubere malle/quam mihi, non si se Iupiter ipse petat./Dicit ; sed mulier cupido quod dicit amanti/in vento et rapida scribere oportet aqua " (70 ), la mia donna dice di non volere unirsi ad altri piuttosto che a me, neppure se Giove la corteggiasse. Dice così, ma quello che la donna dice all'amante smanioso, bisogna scriverlo nel vento e nell'acqua che le porta via.
[2]Eneide, IV, 569-570.
[3] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.
[4]G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 5, p. 54.
[5]F. Kafka, Il castello, p. 84.
[6]G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 5, p. 54.
[7] Lucrezio, La Natura Delle Cose, commento di I. Dionigi, p. 410.
[8] non bisogna dimenticare che, se nel Menesseno (238 a) Platone scrive :"ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei ajlla; gunh; gh'n, non è stata la terra a imitare la donna, nel concepimento e nel parto, ma la donna la terra ", nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre e della natura in genere.
[9]G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
[10]G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
[11]E. Fromm, L'arte d'amare, p. 35.
[12]Il mestiere di vivere, 15 ottobre 1940.

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