L’intervista
Recalcati: “Coraggio, il
virus ci ha feriti ma l’anima ha resistito".
“Anima e contagio” è il tema
di cui parlerà lo psicoanalista Massimo Recalcati venerdì, in chiusura della
Repubblica delle Idee, quasi a riassumere la tre giorni di dibattiti”
(Valerio Varesi, “la Repubblica”,
5 luglio 2020, pagina 11).
“Il virus ci ha feriti ma l’anima
ha resistito” è una banalità e pure un
occultamento della verità che è ajlhvqeia ossia “non latenza”.
Il virus infatti non ha
trattato tutti nello stesso modo.
Molti di noi ha chiuso in
casa, altri li ha mandati negli ospedali, altri ancora li ha feriti, nell’anima
e nel corpo, poi li ha uccisi.
Quelli che scrivono o dicono
menzogne e banalità come certi pseudo scienziati e tali psicoanalisti sono
stati lasciati nella caverna dove si trovavano già prima del virus.
Ricordo il più noto mito platonico per chi non lo conoscesse o l’avesse
dimenticato.
Socrate parla a Glaucone e gli dice: considera gli uomini rinchiusi in una specie di abitazione sotterranea, cavernosa, a grotta (ejn katageivw/ oijkhvsei sphlaiwvdei, Platone, Repubblica, 514 a). L’ingresso è aperto alla luce ma poi, scendendo, si trovano uomini che sono prigionieri fin da fanciulli, incatenati nel collo e nelle gambe in modo che possano guardare solo verso il fondo della caverna. Dietro di loro c’è un muro, poi dietro ancora una strada. Su questa strada passano uomini che hanno sulle spalle arnesi di ogni genere che sporgono oltre il muro: statue, animali di pietra e di legno (zw`/a livqinav te kai; xuvlina).
Ancora dietro questi c’è la luce di un fuoco alto e lontano fw`````" puro;" a[nwqen kai; povrrwqen (514b).
I prigionieri vedono solo le ombre riflesse dal fuoco sulla parete di fondo.
Costoro credono che quelle
ombre (skiav") siano la realtà (to; ajlhqev").
Se uno di loro venisse
slegato e costretto ad alzarsi e a guardare la luce del fuoco e gli oggetti,
rimarrebbe abbagliato e riterrebbe le ombre più vere degli oggetti che
tornerebbe a guardare perché gli farebbero male gli occhi.
Se poi venisse portato fuori pieno di riluttanza non riuscirebbe a vedere niente. Ma in seguito un poco alla volta si abituerebbe a vedere prima le ombre, poi i riflessi nell’acqua, quindi gli oggetti stessi, poi il cielo notturno, la luna e le stelle. Infine il sole. E capirebbe che il sole produce le stagioni e gli anni, e sovrintende a tutto quanto c’è nel mondo visibile (pavnta ejpitropeuvwn ta; ejn tw'/ oJrwmevnw/ ) ed è la causa di tutto quanto vedono.
A questo punto si ricorderà
dei compagni di schiavitù e li commisererà.
E penserebbe quello che dice
Achille a Odisseo nell’Ade (Odissea
XI, 489). Se tornasse nella caverna, gli occhi gli si riempirebbero di tenebra.
Gli ottenebrati direbbero che
l’ottenebrato è lui, e se cercasse li
liberarli per farli uscire, lo ammazzerebbero.
Questo mito, spiega Socrate,
significa che il mondo dove viviamo è una prigione e il sole è quel fuoco e noi
vediamo solo ombre.
giovanni ghiselli
p.s. Il
mio blog cerca di togliere la maschera alle persone e pure alle cose: “nam
verae voces tum demum pectore ab imo/eliciuntur <et> eripitur persona,
manet res" (Lucrezio, De rerum natura, III, 57-58), infatti
le parole autentiche allora finalmente escono dal fondo del cuore e si
strappa la maschera, rimane la sostanza.
Nessun commento:
Posta un commento