Rubens, Democrito |
Riflessione
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Uno vale
uno? (p. 59) Dionigi parte dalla citazione di una frase che Seneca attribuisce
a Democrito il filosofo “che il mondo a caso pone”, e un affresco di Bramante
del 1487 (Milano, Pinacoteca di Brera) mostra mezzo calvo e ridente, o
irrisorio, accanto a Eraclito triste, chiomato aggrottato. Cacciari lo commenta
facendo riferimento al” riso liberatore” del Momus di Alberti (La mente
inquieta Saggio sull’Umanesimo, tavola 6). Nella Lettera 7 di Seneca dunque
leggiamo: “Democritus ait: unus mihi pro populo est, et populus pro uno”
(§10). Dionigi traduce: “secondo me, una sola persona vale quanto tutto il
popolo e il popolo quanto una sola persona”. Quindi il Rettore emerito
dell’Università di Bologna commenta questa sentenza scrivendo: “indubbiamente
improntata a un’etica aristocratica, sta a ricordarci da un lato che la verità
non dipende dal consenso e dal numero, anzi spesso ne è nemica, dall’altro che
immenso e imponderabile è il valore di ogni uomo”. Seneca procede ricordando la
risposta di un autore sul cui nome si è incerti: a un tale che gli aveva
domandato perché attendesse con tanta cura a un’opera che sarebbe giunta a
pochissimi, rispose: “satis sunt mihi pauci, satis est unus, satis est nullus”
(§11). Significa l’indipendenza dell’artista dal bisogno e dalla ricerca del
successo che non certifica il valore dell’opera. Dionigi procede nel tradurre e
commentare questa Lettera di Seneca che seguita citando Epicuro: “Noi siamo
l’uno per l’altro un teatro sufficientemente grande. In latino: satis enim
magnum alter alteri theatrum sumus (§11). “Come a dire che ognuno di noi si
specchia nell’altro, è l’immagine dell’altro, cattura il volto dell’altro:
perché il primo spettacolo non è il mondo, non è Dio, ma l’uomo stesso”. L’uomo
“che si specchia nell’altro” è Teseo che nell’Edipo a Colono di Sofocle dice a
Edipo giunto cieco, povero e malfamato nel sobbogo di Atene: "e[xoid j ajnh;r w[n" (v.567), so bene di essere uomo e che del domani
nulla è in potere mio più che tuo. Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura sconciata come è Edipo vecchio, provarne
pietà e incoraggiarla ponendole domande: "kaiv s j oijktivsa" - qevlw jperevsqai, duvsmor j
Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio
domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei
fermato qui. Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo
tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice
il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato fuggiasco come
te" (vv.562 - 563). Attraverso la visione delle sofferenze segnate sul
volto di Edipo, Teseo ricorda le proprie. E capisce. Arriviamo alla conclusione
di Dionigi: “questa è la vera equivalenza degli uomini, il vero uno vale uno:
principio che noi abbiamo sciaguratamente banalizzato trasformando l’identità
della dignità umana e l’unicità della persona in identità di ruoli ed
equivalenza di competenze. Anche su questo punto la saggezza classica ci viene
incontro e ci consegna la sua severa e inequivocabile lezione, laddove con
Eraclito (VI - V secolo a. C.) ci ammonisce che “uno solo, se è il migliore,
vale diecimila” (frammento 49 Diels - Kranz).
giovanni ghiselli
Purtroppo oggi l'etica aristocratica e'sconosciuta ai piu'e i luoghi comuni passano per verita'nelle menti prive di spirito critico Margherita
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