guerre civili romane Pieter Last Mann, Battaglia tra Costantino e Massenzio |
Argomenti
La guerra civile ha desertificato l’Italia. La virtù della moderazione.
Medea e Cesare. Trasvalutazione delle parole. Il male della navigazione.
La critica di Huysmans.
Lucano attribuisce
la desertificazione dell’Italia non a guerre contro nemici esterni come Pirro o
Annibale ma a quelle civili: le mura pencolano su case già mezzo crollate,
massi enormi caduti da muraglioni in rovina giacciono a terra, le dimore
abbandonate non sono custodite da alcuno, pochi abitanti vagano per le antiche
città, e l’Esperia è irta di cespugli (horrida quod dumis) e non viene
arata per molti anni multosque inarata per annos (Pharsalia, I,
28 ) e mancano le mani ai campi che le richiedono (Hesperia est desuntque
manus poscentibus arvis, 29).
La virtù che
consiste nell'evitare la dismisura si presenta frequentemente nella letteratura
antica.
La moderazione
appartiene al Catone Uticense della Pharsalia, celebrato da Lucano come uomo ricco di virtù
in testa alle quali c'è quella serbare la giusta misura ("servare modum ",
II, 381). Conseguono a questo mos altri non meno
buoni:" finemque tenere/naturamque sequi patriaeque impendere
vitam/nec sibi sed toti genitum se credere mundo" (II, 381 - 383),
attenersi al giusto limite, seguire la natura, spendere la vita per la patria,
e credersi nato non per sé ma per tutto il mondo.
Il quarto coro dell'Oedipus di Seneca raccomanda di evitare
ogni eccesso:" Quidquid excessit modum,/pendet instabili loco "
(vv. 909 - 910), tutto ciò che ha oltrepassato la giusta misura, vacilla su un
appoggio instabile.
La dismisura è svantaggiosa: commodus, “vantaggioso” e commodum,
“vantaggio”, sono connessi etimologicamente a modus.
Lucano, che
aveva scritto una tragedia su Medea, mette in rilievo la crudeltà della barbara
paragonata con quella non meno efferata di Cesare:" Sic barbara
Colchis/creditur ultorem metuens regnique fugaeque/ense suo fratrisque simul
cervice parata/expectasse patrem" (Pharsalia, X, 464 - 467),
così si crede che la barbara della Colchide temendolo quale vendicatore del
regno e della fuga, abbia aspettato il padre con la sua spada e nello stesso
tempo con la testa del fratello già pronta [1].
Nello
stesso modo Cesare trascinava Tolomeo per farne una vittima espiatoria e
scagliarne il capo contro i suoi servitori durante la guerra alessandrina.
Nella Pharsalia di
Lucano è il potere delle armi rabbiose che porta alla trasfigurazione delle
parole: "Imminet armorum rabies, ferrique potestas/confundet ius omne
manu, scelerique nefando/nomen erit virtus, multosque exībit in annos/hic furor"
(I, 666 - 669), incombe la rabbia delle armi, e il potere del ferro sfigurerà
ogni diritto con la violenza, e virtù sarà il nome di delitti nefandi, e questo
furore durerà molti anni.
La Tessaglia è la terra delle streghe: “damnata tellus fatis ( Pharsalia,
VI, 413).
Lì nacque l’uso di contare il denaro quod populos scelerata impēgit
in arma (VI, 406) cosa che spinse i popoli alle guerre scellerate.
La magia vuole essere controllo del mondo per mezzo dell’irrazionale.
La strega tessala più famosa è Erichto congiurata con il Caos: “innumeros
avidum confundere mundos” (Pharsalia, VI, 509).
Il male della navigazione
Exigit
poenas mare provocatum” (Seneca, Medea, v. 616).
Il mare sfidato che la fa pagare ai provocatori si trova anche nella Pharsalia di Lucano:"Inde lacessitum primo mare, cum rudis
Argo/miscuit ignotas temerato litore gentes/primaque cum ventis pelagique
furentibus undis/composuit mortale genus, fatisque per illam/accessit mors una
ratem" (III, 193 - 197), di qui[2] il mare per la prima volta
provocato, quando l'inesperta Argo mescolò genti che non si conoscevano sulla
costa profanata, e per prima mise la razza umana alle prese con i venti e con
le onde furiose del mare, e una morte attraverso quella nave si aggiunse ai
fati.
Viene condannata la confusione conseguente alla negazione del principium
individuationis. Ancora l' u{bri" di Serse.
Sentiamo Huysmans su Lucano e altri autori latini
“Né molto
più di Cicerone lo entusiasmava Cesare,
famoso pel suo laconismo; perché l'eccesso contrario diventava in questo aridità da caporalmaggiore, secchezza
da appunto, stitichezza incredibile e sconveniente.
Sallustio, pur sopravvalutato dai
"falsi letterati" era "meno sbiadito degli altri; Tito Livio, patetico e pomposo; Seneca, turgido e scialbo; Svetonio, linfatico ed embrionale.
Si
salva Tacito:"il più nerboruto nella sua voluta concisione,
il più aspro, il più muscoloso di tutti costoro”.
A Des
Esseintes non dispiaceva nemmeno Lucano
Con la Pharsalia il
latino si liberava dalle sue pastoie, diventava meno mortificato, più espressivo.
Quell' armatura cesellata, quei versi smaltati, ingioiellati se lo cattivavano;
ma la preoccupazione esclusiva della forma, quelle sonorità verbali, quegli
squilli di metallo non riuscivano a celargli del tutto il vuoto di pensiero, le
ampollosità che seminano di tumori la superficie della Farsalia" (Huysmans,
Controcorrente, p. 44)
"L'autore che amava davvero, che gli
faceva bandire per sempre dalle sue letture le roboanti tirate di Lucano,
era Petronio. Ecco
finalmente un acuto osservatore, un fine analista, un pittore meraviglioso (…)
Questo romanzo verista, questa fetta di vita romana tagliata nel vivo, che non
si preoccupa, checché si dica, né di riformare né di satireggiare i costumi;
che fa a meno d'una conclusione e d'una morale; questa storia senza intreccio,
dove non succede nulla, che mette
in scena le avventure della selvaggina di Sodoma che analizza con
imperturbabile acutezza gioie e dolori di codesti amori e di codeste coppie;
che senza che l'autore faccia mai capolino, senza che si lasci andare a un solo
commento, senza che approvi o maledica gli atti o i pensieri dei suoi
personaggi, dipinge in una lingua
da orafo i vizi d'una civiltà decrepita, d'un impero che si va
sfasciando - conquideva Des Essaintes, il quale nella raffinatezza dello stile,
nell'acutezza dell'osservazione, nel fermo piglio con cui la narrazione veniva
condotta, intravvedeva singolari parentele, curiose analogie con i pochi
romanzi del tempo suo che non gli dispiacevano"[3].
giovanni
ghiselli. Pesaro 30 luglio 2020, ore 16, 50
p. s.
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