Argomenti
Il poema di
Lucano e il Bellum civile del Satyricon. Prima
parte
Come diversi storiografi antichi per la storia, così Hegel per l'epica legifera che l'argomento
deve essere la guerra. Con una limitazione però: "Infatti di natura
autenticamente epica sono solo le guerre fra nazioni straniere ,
mentre lotte dinastiche, guerre intestine, turbamenti civili sono più adatti
alla rappresentazione drammatica (...) Da un punto di vista di un'azione epica
di tal genere e quindi insufficiente, voglio ricordare solo la Farsaglia
di Lucano"[1].
Giulio
Cesare aveva capito l'importanza dell'annona (i prezzi del mercato)
per attirare il favore della plebe: “ gnarus et irarum causas et summa
favoris/annona momenta trahi”(Pharsalia, III, 55 - 56), consapevole
che le cause delle ire e i movimenti estremi del favore popolare sono
trascinati dai prezzi.
Lucano aveva
irritato Nerone celebrando Catone presentato nella Pharsalia come
incarnazione della virtus, mentre Giulio Cesare era considerato il
distruttore della libertà. L’eroismo tragico di Catone si legge nel verso: “victrix
causa deis placuit sed victa Catoni” (I, 128).
Nella Pharsalia l’ eiJmarmevnh non è provnoia benigna ma un fatum avverso,
una invida fatorum series (I, 70). Il caso cieco
con la vittoria di Cesare suggella la rovina di Roma: “sunt nobis nulla
profecto - numina: cum caeco rapiantur saecula casu, - mentīmur regnare Iovem”
(VII, 445 - 448), dei non li abbiamo di certo, le generazioni sono in balia del
caso cieco, e affermiamo mentendo che regna Giove.
Lucano
partecipò alla congiura e cercò di salvarsi denunciando la madre Acilia (cfr.
Tacito, Ann. XV, 56, 58, 70). Invano.
La
requisitoria pronunziata da Eumolpo in via per Crotone contro il nuovo
indirizzo anti - virgiliano dell'epica, che sacrifica il mito alla storia, si
può forse, secondo alcuni, anche a Lucano.
Nel Satyricon il
poeta Eumolpo afferma la necessità di una cultura letteraria assai ampia e
profonda per il raggiungimento di risultati significativi: "ceterum
neque generosior spiritus vanitatem amat, neque concipere aut edere partum mens
potest nisi ingenti flumine litterarum inundāta" (118, 3), del resto uno spirito di razza non
ama il vuoto, né una mente può concepire o produrre un'opera se non è inondata
dall'ampio fiume della letteratura. La polemica verte contro le velleità dei
dilettanti pressocché improvvisatori. E' questo un discorso specifico sulla
poesia che richiede comunque grande disciplina: i modelli sono Omero, i lirici,
Virgilio e la curiosa felicitas (118, 5) l'accurata fecondità
di Orazio. Chiunque vorrà comporre un'opera impegnativa come le guerre civili
"nisi plenus litteris, sub onere labetur " (118, 6), se
non sarà colmo di cultura letteraria, cadrà sotto il peso. Perciò non si devono
presentare i fatti della storia con veste metrica, ma ci vuole ispirazione e
capacità trasfigurativa.
I gusti di Petronio "in
letteratura sia latina che greca sono classici: la sua critica a Lucano e
al Bellum civile stesso indicano che è un ammiratore ortodosso della pratica
poetica di Virgilio"[2].
Eumolpo in questo capitolo in effetti indica come modelli Omero e i lirici,
Virgilio e Orazio e prescrive:"curandum est ne sententiae emineant
extra corpus orationis expressae" (118, 5), bisogna evitare che le
sentenze risaltino staccate dall'insieme della composizione.
Segue una
tempesta che costa la vita a Lica. Quindi i nostri tre si avvicinano a
Crotone..
Eumolpo,
per riempire il tempo del viaggio, recita un lungo carme di 295 esametri sulla guerra civile tra
Cesare e Pompeo. Questo Bellum
civile che Eumolpo scriveva sulla nave (115, 2) tratta l'argomento
della Pharsalia di Lucano cercando di ripristinare del resto i
modi virgiliani. Diamogli una rapida scorsa.
La prima
parte sostituisce alla prospettiva storica del poema lucaneo quella
moralistica: i Romani avevano già occupato (globalizzato diremmo ora) il mondo
e ancora non bastava:"orbem iam totum victor Romanus habebat,/qua mare,
qua terrae, qua sidus currit utrumque./nec satiatus erat" (119, vv. 1
- 3), il Romano vincitore possedeva già l'universo mondo, per dove il mare, per
dove le terre, per dove corrono l'una e l'altra costellazione. E non era ancor
sazio.
Tale
impianto del resto non è estraneo alla storiografia: si può pensare a
Sallustio: "primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi
materies omnium malorum fuere " (De
coniuratione Catilinae , 10) prima crebbe la brama del denaro, poi quella
dell'impero, ed esse furono per così dire l'esca di tutti i mali.
Si può anche
ricordare il discorso di Calgaco nell'Agricola di Tacito:"Raptores
orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples
hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens
satiaverit" (30).
Torniamo a
Eumolpo:"si quis sinus abditus ultra,/si qua foret tellus, quae fulvum
mitteret aurum,/hostis erat, fatisque in tristia bella paratis/quaerebantur
opes" (119, vv. 4 - 7), se c'era qualche golfo nascosto più in là, se
qualche terra che esportasse biondo oro, era nemica, e preparato a tristi
guerre il destino, si cercavano le ricchezze.
Non è affatto vero dunque che questo poemetto si limita a riproporre il
repertorio mitologico virgiliano, né, tanto meno, lo fa in maniera governativa,
anzi è totale la condanna dell'imperialismo avido.
Con toni non
dissimili Seneca nel De ira ricorda che i re
incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica
di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges
saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt
ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1).
Quanto
all'oro che spinge ai delitti, nell'Eneide la decadenza delle
età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi delle
ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic
placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor aetas/et
belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324 - 327), i
secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[3]:
così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette
l'età scolorita e la furia di guerra e l'amore del possesso.
Tuttavia Virgilio aspetta una rinnovata età dell’oro grazie ai suoi
committenti.
Ovidio
nelle Metamorfosi descrive l'ultima età, quella del ferro e
del male integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irruppe
nel genere umano" fugitque pudor [4] verumque fidesque[5];/in quorum subiere locum fraudesque
dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi…effondiuntur
opes, inritamenta malorum; iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/
prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia
concutit arma./ Vivitur ex rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a
genero, fratrum quoque gratia rara est./Imminet exitio vir coniugis, illa
mariti;/lurida terribiles miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios
inquirit in annos./Victa iacet pietas, et Virgo caede madentis,/ultima
caelestum, terras Astraea reliquit" (I, 129 - 131 e 140 - 150) e fuggì
il pudore la sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le
frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso
(…) si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro
funesto[6] e,
più funesto del ferro, l'oro[7] era
venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con
l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano. Si vive di
rapina; l'ospite non è al riparo dall'ospite, non il suocero dal genero, anche
l'accordo tra fratelli è poco frequente. Il marito minaccia di rovina la
moglie, questa il marito; mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti
matrigne; il figlio scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace
sconfitta la carità e la Vergine Astrèa, ultima dei celesti, ha lasciato le
terre sporche di strage.
E'
l'era della completa peccaminosità: dell'odio e della guerra di tutti contro
tutti.
Analogamente Tibullo attribuisce il vizio
della guerra alla brama dell'oro:"Divitis hoc vitium est auri, nec
bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10,
8 - 9), questa è una colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa
di faggio stava davanti alle vivande.
Siamo già
nell'età del business.
Continua
giovanni
ghiselli
[3] Saturno che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium ,
"his quoniam latuisset tutus in oris " (v. 323), poiché
era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
[4] Il pudore è considerato
già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle Opere il
poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno
con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano,
useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d&
ejn cersiv , v. 192) e
se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi
sarà più scampo dal male "kakou' d& oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta
forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina:"Pudor
è il senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò
che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità
molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto
importante; al culto della Pudicitia patricia la plebe aveva
affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia ". (A. La Penna, C. Grassi, Virgilio, Le
Opere, Antologia ., p.
373 ).
[5] Altro valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De
officiis (del 44 a. C.) dà una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides,
id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23),
orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e
la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
[6]E' un topos antitecnologico che risale a Erodoto: "il ferro fu inventato per il male dell'uomo" ( Storie,
I, 68).
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