NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 31 luglio 2020

Introduzione a Lucano. Sesta parte del poema "Pharsalia"


Argomenti
Il poema di Lucano e il Bellum civile del Satyricon. Prima parte

Come diversi storiografi antichi per la storia, così Hegel per l'epica legifera che l'argomento deve essere la guerra. Con una limitazione però: "Infatti di natura autenticamente epica sono solo le guerre fra nazioni straniere , mentre lotte dinastiche, guerre intestine, turbamenti civili sono più adatti alla rappresentazione drammatica (...) Da un punto di vista di un'azione epica di tal genere e quindi insufficiente, voglio ricordare solo la Farsaglia di Lucano"[1].

Giulio Cesare aveva capito l'importanza dell'annona (i prezzi del mercato) per attirare il favore della plebe: “ gnarus et irarum causas et summa favoris/annona momenta trahi”(Pharsalia, III, 55 - 56), consapevole che le cause delle ire e i movimenti estremi del favore popolare sono trascinati dai prezzi.

Lucano aveva irritato Nerone celebrando Catone presentato nella Pharsalia come incarnazione della virtus, mentre Giulio Cesare era considerato il distruttore della libertà. L’eroismo tragico di Catone si legge nel verso: “victrix causa deis placuit sed victa Catoni” (I, 128).
Nella Pharsalia l’ eiJmarmevnh non è provnoia benigna ma un fatum avverso, una invida fatorum series (I, 70). Il caso cieco con la vittoria di Cesare suggella la rovina di Roma: “sunt nobis nulla profecto - numina: cum caeco rapiantur saecula casu, - mentīmur regnare Iovem” (VII, 445 - 448), dei non li abbiamo di certo, le generazioni sono in balia del caso cieco, e affermiamo mentendo che regna Giove.

Lucano partecipò alla congiura e cercò di salvarsi denunciando la madre Acilia (cfr. Tacito, Ann. XV, 56, 58, 70). Invano.

La requisitoria pronunziata da Eumolpo in via per Crotone contro il nuovo indirizzo anti - virgiliano dell'epica, che sacrifica il mito alla storia, si può forse, secondo alcuni, anche a Lucano.
Nel Satyricon il poeta Eumolpo afferma la necessità di una cultura letteraria assai ampia e profonda per il raggiungimento di risultati significativi: "ceterum neque generosior spiritus vanitatem amat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine litterarum inundāta" (118, 3), del resto uno spirito di razza non ama il vuoto, né una mente può concepire o produrre un'opera se non è inondata dall'ampio fiume della letteratura. La polemica verte contro le velleità dei dilettanti pressocché improvvisatori. E' questo un discorso specifico sulla poesia che richiede comunque grande disciplina: i modelli sono Omero, i lirici, Virgilio e la curiosa felicitas (118, 5) l'accurata fecondità di Orazio. Chiunque vorrà comporre un'opera impegnativa come le guerre civili "nisi plenus litteris, sub onere labetur " (118, 6), se non sarà colmo di cultura letteraria, cadrà sotto il peso. Perciò non si devono presentare i fatti della storia con veste metrica, ma ci vuole ispirazione e capacità trasfigurativa.
I gusti di Petronio "in letteratura sia latina che greca sono classici: la sua critica a Lucano e al Bellum civile stesso indicano che è un ammiratore ortodosso della pratica poetica di Virgilio"[2].
Eumolpo in questo capitolo in effetti indica come modelli Omero e i lirici, Virgilio e Orazio e prescrive:"curandum est ne sententiae emineant extra corpus orationis expressae" (118, 5), bisogna evitare che le sentenze risaltino staccate dall'insieme della composizione.
Segue una tempesta che costa la vita a Lica. Quindi i nostri tre si avvicinano a Crotone..
 Eumolpo, per riempire il tempo del viaggio, recita un lungo carme di 295 esametri sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo. Questo Bellum civile che Eumolpo scriveva sulla nave (115, 2) tratta l'argomento della Pharsalia di Lucano cercando di ripristinare del resto i modi virgiliani. Diamogli una rapida scorsa.

La prima parte sostituisce alla prospettiva storica del poema lucaneo quella moralistica: i Romani avevano già occupato (globalizzato diremmo ora) il mondo e ancora non bastava:"orbem iam totum victor Romanus habebat,/qua mare, qua terrae, qua sidus currit utrumque./nec satiatus erat" (119, vv. 1 - 3), il Romano vincitore possedeva già l'universo mondo, per dove il mare, per dove le terre, per dove corrono l'una e l'altra costellazione. E non era ancor sazio.
Tale impianto del resto non è estraneo alla storiografia: si può pensare a Sallustio: "primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere " (De coniuratione Catilinae , 10) prima crebbe la brama del denaro, poi quella dell'impero, ed esse furono per così dire l'esca di tutti i mali.
Si può anche ricordare il discorso di Calgaco nell'Agricola di Tacito:"Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit" (30).

Torniamo a Eumolpo:"si quis sinus abditus ultra,/si qua foret tellus, quae fulvum mitteret aurum,/hostis erat, fatisque in tristia bella paratis/quaerebantur opes" (119, vv. 4 - 7), se c'era qualche golfo nascosto più in là, se qualche terra che esportasse biondo oro, era nemica, e preparato a tristi guerre il destino, si cercavano le ricchezze.
Non è affatto vero dunque che questo poemetto si limita a riproporre il repertorio mitologico virgiliano, né, tanto meno, lo fa in maniera governativa, anzi è totale la condanna dell'imperialismo avido.

Con toni non dissimili Seneca nel De ira ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1). 

Quanto all'oro che spinge ai delitti, nell'Eneide la decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi delle ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324 - 327), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[3]: così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette l'età scolorita e la furia di guerra e l'amore del possesso.
Tuttavia Virgilio aspetta una rinnovata età dell’oro grazie ai suoi committenti.

Ovidio nelle Metamorfosi descrive l'ultima età, quella del ferro e del male integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irruppe nel genere umano" fugitque pudor [4] verumque fidesque[5];/in quorum subiere locum fraudesque dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendieffondiuntur opes, inritamenta malorum; iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma./ Vivitur ex rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a genero, fratrum quoque gratia rara est./Imminet exitio vir coniugis, illa mariti;/lurida terribiles miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios inquirit in annos./Victa iacet pietas, et Virgo caede madentis,/ultima caelestum, terras Astraea reliquit" (I, 129 - 131 e 140 - 150) e fuggì il pudore la sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso (…) si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[6] e, più funesto del ferro, l'oro[7] era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano. Si vive di rapina; l'ospite non è al riparo dall'ospite, non il suocero dal genero, anche l'accordo tra fratelli è poco frequente. Il marito minaccia di rovina la moglie, questa il marito; mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti matrigne; il figlio scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace sconfitta la carità e la Vergine Astrèa, ultima dei celesti, ha lasciato le terre sporche di strage.
 E' l'era della completa peccaminosità: dell'odio e della guerra di tutti contro tutti.
Analogamente Tibullo attribuisce il vizio della guerra alla brama dell'oro:"Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 8 - 9), questa è una colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande.
Siamo già nell'età del business.

Continua
giovanni ghiselli


[1]Hegel, Estetica , pp. 1403 e 1404
[2] J. P. Sullivan, op. cit., p. 81.
[3] Saturno che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium , "his quoniam latuisset tutus in oris " (v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
[4] Il pudore è considerato già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle Opere il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d& ejn cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou' d& oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina:"Pudor è il senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia ". (A. La Penna, C. Grassi, Virgilio, Le Opere, Antologia ., p. 373 ).
[5] Altro valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De officiis (del 44 a. C.) dà una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
[6]E' un topos antitecnologico che risale a Erodoto: "il ferro fu inventato per il male dell'uomo" ( Storie, I, 68).
[7] Si può pensare anche a quello nero: il petrolio per il quale si è versato tanto sangue.

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